
Ci sono autori che per me, rappresentano una garanzia.
Non solo per la bellezza e la cura dello stile e della trama.
Ma perché so che, dopo l’accurata lettura, starò ore a riflettere, a rimuginare e a farmi domande.
In fondo, leggo proprio per questo.
Non tanto per entrare in mondi incantati, o per distrarmi.
Ma perché leggere disciplina il pensiero.
Lo apre e lo fa diventare sfaccettato come un diamante.
E complesso, come una di quelle macchine misteriose uscite direttamente dia sogni di Tecla, quelli più arditi.
Nessuno legge davvero per indossare altri panni.
Chi ama questo strano mondo ha solo bisogno di guarda i suoi, di panni, con altri occhi, da un altra prospettiva, con altri valori.
Leggere e sopratutto leggere Bertoli, è come scalare un monte.
E da li osservare la vastità del paesaggio, fino a sentirsi parte di un cielo che avvertiamo troppo lontano.
Oppure sprofondare in quell’abisso di fango che profuma di umanità a volte corrotta, a volte cosi chiusa nelle sue personali paranoie.
Ma sempre alla prese con l’ardua faccenda del destino.
Del fato, del libero arbitrio.
Siamo davvero liberi?
E se lo siamo perché a volte le nostre scelte sembrano uscire direttamente da uno strano gioco?
Possiamo avere tutto.
Sognare ogni gloria.
Ma la mano della moira reciderà sempre il filo, come la sorte comanda.
E cosi quale miglior riflessione può nascere, se non tornando a ritroso?
Nel passato, magari cosi lontano da noi, cosi incuneato in un solitario vicolo senza uscita, fatto di profezie, di divinità strane, di convinzioni che oggi ci appaiono ridicole.
Ma dove la decadenza di un corpo troppo mortale ancora ci affligge.
Noi siamo carne e sangue, istinti e impulsi.
E non sempre riusciamo a domarli con mano sicura.
Spesso paragonati a cavalli imbizzarriti.
Spesso senza un nobile cavaliera a farli sentire guidati e protetti.
Lanciati allo sbaraglio, verso una vita che nessuno ti insegna.
Verso azioni che hanno conseguenze stranamente sacrali; come se davvero qualcuno lassù ci punisse con il ne se esiste il bene.
La disperazione se proviamo a toccare con un solo dito la sua perfezione immota e remota.
Daidalon ha in fondo tutto.
E’ il genio umano, da ammirare e forse invidiare.
Lui che crea, inventa e da un abbraccio al progresso, sfidando le convezioni e la nostra tendenza alla stasi.
Lui sempre in movimento, apparentemente cosi libero proprio perché toccato dal marchio del ribelle, cosi come possono esserlo solo le grandi menti.
Eppure…cosi schiavo,in realtà dei famelici demoni dell’ambizione e della stessa invidia di cui è oggetto.
Non un personaggio positivo.
Non certo uno in cui identificarci.
Oppure no?
In fondo non è che il novello Icaro, che incurante delle raccomandazioni quel sole cocente viole sfidarlo.
Vuole sfidare i limiti e andare oltre morale e persino etica.
Perché solo cosi, solo sfidando dio, può forse sentirsi padrone del destino.
Ma in fondo, lui lo sa, come lo sappiamo noi, Dio non si può gabbare.
E presenta sempre il conto.
Prima o poi.
In fondo siamo si liberi, ma liberamente oppressi dalla sorte, da quella divinità fatta delle perfette leggi della Maat cosmica.
Un libro intenso che fonde il giallo e lo storico, con un abilità rara, che solo Marco Bertoli possiede.