
“Il mio ancestrale bisogno di ventre e carezza”
Attorno alle diverse accezioni e al diverso esito del bisogno, l’autrice costruisce una struttura letteraria molto variegata.
Riconoscimento, negazione, soddisfazione del bisogno intimo, rappresentano tutti momenti poetici di auto-analisi mediata, cioè il nucleo motivazionale visto attraverso gli elementi naturali e concreti, non solo metafora, ma accostamento essenziale, una comunità di intenti percettivi che riporta in noi i tempi e i modi trascendentali dell’essere umano: le stagioni dell’anima, il defluire delle sensazioni, il riconoscimento del luogo probatorio del nostro essere, vivere, sperimentare, patire e comunicare.
Un’autoaffermazione in versi che segue il percorso poetico della ricostruzione asincrona di sé stessi.
Tanti singoli vissuti esperiti dall’essenza dietro le parole dell’autrice, che rinviano a strutture di senso, emozioni e memoria più vasti di una vita intera, così vasti che ne possiamo percepire solo un frangente alla volta e da questo, da ogni verso, da ogni strofa, riallacciarci senza soluzione di continuità alla poesia in divenire, fino alla sua conclusione, e da lì alla silloge intera, bipartita tra una prima parte di liriche autoconclusive e una seconda parte dedicata a una narrazione poetica di lungo respiro.
Nelle une e nell’altra, si leggono rimandi tanto a sensazioni quotidiane e immanenti quanto a concetti universali suggeriti da questo sperimentare su sé stessa l’effetto di valutazioni e osservazioni atipiche, fuori schema, del mondo circostante come riflesso di un moto interiore che cerca di farsi spazio all’esterno, e lo fa tra le pieghe di asserzioni di sostanza e mutamenti di forma, che quasi mai esprimono dubbi, in quest’opera, ma l’evoluzione di una prospettiva sull’incontro e sul dialogo che passa dall’altro a lei stessa (noi stessi) e vice versa.
Un’opera che nulla nasconde della solitudine della riflessione poetica, ma che la traduce e la trasmette in nuova energia e speranza.