
Come farfalla
Che cerca fiore
nel grigio
di una città,
coltivo nettare
blu, per attingere
quando il vento
spezzerà
anche piccoli
sbocci, quella che io
chiamai poesia…
Leggendo il poeta livornese vengono in mente le poesie in musica di Francesco Guccini come culodritto “ che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari
Di longobardi, di celti e romani dell’ antica pianura, di montanari,
Reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
Di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi
con un pizzico di Filosofia del maestro Franco Battiato, uno shock in my town fatto di maschere e ipocrisia. Ipocrisia della chiesa, della società, del mondo che ci circonda, un calcio al destino degli uomini, un fottersene, orticaria di pensiero e opinioni, una libertà perduta.
Analizzando le poesie di Mazzamuto è un continuo incazzamento di pugni verso la nostra società che ha perso miseramente la ragione, un vomitare merda verso tutto e tutti, l’autore con questo volume antologico, scritto tra il 1983 e il 1997, squarcia il tempo colpendoci più volte nella bocca dello stomaco, una volta mascherato da Cassius Clay e la volta successiva da Jepp Swenson.
Una versione particolare del mondo, in forma colloquiale, dove cammina il diavolo sputando fuoco, un inferno di maschere, dei senza volto nel regno delle illusioni…
Lacrime di libertà, una farfalla che cerca un fiore nel grigio della città, una mano dormicchiante che ci invita in una danza omicida.
La poesia di Mazzamuto ci dissangua succhiando nettare vitale direttamente dalla bocca, un bacio di morte… metaforicamente parlando.
Dammi ancora la mano anche se quello stringerla è solo un pretesto
Per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato
o mi ha mai chiesto;
Stride nella notte
un suono tagliente
divide l’ombra
appesa dal sogno
sognato.
La mano che sta
dormendo invia
la danza omicida.
Là dove
beata nel sangue
da filtrare la zanzara
si strofina con dolcezza.
Boom… boom…
ora giace
rifiorita su zampe
irrigidite