“Deosil. Whyborne & Griffin #11” di Jordan L. Hawke, Triskell. A cura di Alessandra Micheli

Per la prima volta in cinque anni, questa recensione non volevo proprio scriverla.

Ma per nulla.

E direte voi, perché Ale?

Ha dei problemi questo libro?

Si li ha.

Ha il problema di essermi entrato dentro il cuore.

Ha il problema di aver creato non dei personaggi ma degli amici.

Ha il problema di avermi restituito quel luogo segreto dell’anima e resolo reale, vivo, tanto da poterlo toccare con mano.

Sapete le fantasie da bambini?

Ognuno di noi ha avuto per dirla alla Gabriel il suo secret world, quel luogo in cui rifugiarsi quando il mondo diventava troppo strano o quando un piccolo dolore ci toccava l’anima.

Un paese che non c’è ma che per noi, dio se esisteva!

Poi si cresce.

E quel mondo nostro, segreto, unico diventa quasi una vergogna.

Lo si scorda, lo si nasconde dentro un cassetto.

E magari poi con l’età che avanza, quando degli altri ci frega poco ci si rifugia lasciando il mondo alla sua follia e gli altri alle proprie fragilità. Tocca un po’ a tutti questo destino.

Persino a chi come me non l’ha mai davvero lasciato.

Anche con il biasimo del dissenso sociale, io lo avevo sempre con me. Magari un po’ sbiadito e sfacciato.

Ma non potevo rinunciare a un posto che semplicemente mi voleva cosi com’ero.

Strana, mai al posto giusto, sempre sghemba, mai in sincronia con il passo danzante dell’altro, ombrosa e aliena ai divertimenti di tutti. Convinta che ci fosse tanto altro dietro l’apparenza, che un fruscio tra gli alberi fosse una fata imbizzarrita decisa a farsi sentire.

Anche se il tempo mi voleva sempre meno Ale e più personaggio, era difficile rinunciare la mio secret world.

Però il tempo si impunta, la società è una morta di martello pneumatico nella testa e ci convince, che siamo troppo grandi per credere in una dimensione popolata da elfi fate e folletti.

E nel momento in cui non credi più che, come dice Barrie, una fata muore.

E noi tropo sghembi, feriti, distrutti e spezzati dobbiamo fingere.

Di essere interi.

Che la libertà è rinunciare a se stessi.

E cosi dicono tutti che non c’è…ma tu lo hai visto e sai dov’è..

tanto per concludere questo mio ricordo con la frase di un grande Ruggeri. E poi..quando oramai ero decisa quasi a omologarmi è arrivata Widdershins.

Non potete sapere, voi che non avete mai volato cosa significhi incontrare un posto che conoscei, anche se è nuovo e originale.

Non sai e non so se lo saprai mai Jordan, cosa ha significato per me leggerti.

Quante lacrime, sorrisi e sobbalzi nella notte.

Quanto mi sono sentita accettata, accolta, amata.

Nonostante tutto.

Nonostante non fossi perfetta.

Ed è vero.

Widdeshins riconosce chi gli appartiene.

E mi ha chiamato a se.

E anche se questo è l’ultimo libro, l’ultima avventura lei resterà dentro di me, per mille altre vite.

E tornerò come un frammento di qualcosa di senziente, che ha bisogno di noi per sentirsi amato.

Ecco il segreto di questi libri.

Di Perceval, Griffin Iskhander e della mia Persefone e la dottoressa Putnam.

Loro si sentono, meravigliosamente amati e non per qualcosa di particolare o per la loro bellezza.

Semplicemente perché sono umani, pieni di calore, con i loro sbagli con la loro fragilità.

E oggi che scrivere è un modo per dirvi arrivederci ( mi rifiuto di dirvi addio) una parte di me si sente un po’ orfana.

L’appuntamento con voi mi ha aiutato a essere fiera di ogni dolore e di ogni cicatrice.

Fiera di amare e di essere cosi come sono.

Fiera perché sono convinta che Widdershins esiste,dentro di noi e fuori di noi, ogni volta che in questa grigia realtà usiamo il colore della nostra fantasia.

Mi mancherete.

Tanto.

Ma avere nostalgia è in fondo il prezzo per avervi conosciuto.

E io sono grata.

Perché sono fiera di essere strana e di appartenere a Widdhersins.

Mi sono fermato in questo posto non riparato

Tutto ciò che era accaduto prima non aveva lasciato traccia

Giù vicino al binario ferroviario

Nel nostro mondo segreto ci siamo scontrati

Peter Gabriel

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