“S’io fossi foco” di Lodovica San Guedoro, Felix Krull editore. A cura di Alessandra Micheli

Vallo a spiegare adesso, Alessandra, perché ti innamori di un autore.

Vagli a raccontare delle sensazioni che spesso nulla hanno di oggettivo e che semplicemente scaturiscono in un riconoscimento.

Come se ci fossero amici separati dalla nascita e incontrati per caso, lungo una strada buia.

Con la san Guedoro è stato amore a prima vista.

O riconoscimento a prima vista.

Un’amica lontana e mai dimenticata, una passione scaturita da un certo modo di fare letteratura e che, diciamocelo, è quello che da bambina mi ha sedotto e fatto innamorare.

E non è facile, credetemi, elencarvi i motivi per convincervi che questa pazza signora è la lettura giusta per tutti coloro che un po’ si sono stufati di certi schemi rigidi, che ci propinano come letteratura fatta bene.

Un libro deve raccontare senza raccontare.

Deve mostrare ma non svelare.

Deve incuriosire ma sempre con decoro.

Deve essere politicamente corretto, epurato da ogni tono surreale che il lettore non può comprendere appieno ma solo intuire.

Deve si denunciare ma senza esagerare.

Deve essere educato, silenzioso, pulito, diretto, susseguoso sempre equilibrato.

E dov’è finito il flusso id parole senza virgole che tanto amavo sulla bocca di Miss Dalloway?

Cosa ne è della delirante invettiva di un Rimbaud incazzato con il mondo?

Non ci sono più.

Racchiusi nei cassetti di una memoria che si fa nostalgica, che mai si senta a suo agio in un mondo dritto che non ha posto per noi sghembi.

La San Guedero è una ventata di freschezza in questo stantio grigiore.

La San Guedoro è la voce fuori campo, l’Erinni che si scatena senza compassione e senza trovare alibi su un mondo che siamo perdendo. Un mondo che scivola via allontanandosi dalla bellezza, dal buon gusto e dalla creatività.

Un mondo che addita l’immaginazione e la rottura di schemi oramai vetusti, come il peggior crimine che si possa fare all’arte.

Quell’arte nata in seno di Prometeo, reo di rubare il fuoco a divinità intoccabili.

Ecco Lodovica lo fa.

Ruba il fuoco fregandosene di regole e dei lettori assuefatti alla banalità.

E ci regala un libro assurdo eppure molto coerente.

La follia allora non è dell’artista che crea parole come fiamme.

Un libro in cui il suo sarcasmo non si ferma e ci accusa, deride irride e mette di fronte alla decadenza che Noi abbiamo voluto, celebrato e mantenuto.

Ma di quel mondo che si nega al fuoco purificatore.

Al fuoco che dovrebbe bruciare le nostre marce abitudini.

Un fuoco necessario per illuminare le ombre del bosco e ridonarci le vesti di Vasillissa, la Dea liberata dal gioco delle consuetudini, dalla routine delle abitudini, per abbracciare la natura selvaggia e incomprensibile della Baba Yaga.

La San Guedoro non fa sconti.

E in questo mondo politicamente corretto, in cui si è attenti alla forma e mai alla sostanza, ecco che sul podio del colpevole saliamo noi, immagini sfiorite del femminino sacro.

Noi, che invece di proseguire per la STRADA della libertà ci adagiamo e ci vantiamo di essere immagini perfette di un maschile che ci rende si tutte fate e poco streghe, ma che nel farlo ci ingabbia.
E noi ci pavoneggiamo davanti allo specchio, fingiamo di non vedere le catene ai polsi che tintinnano, rendendoci più simili a laceri fantasmi che a eleganti e fiere Morrigan.

Noi, che siamo sempre meno lupe e più statuine, ballerine costrette da un malefico carillon a ballare per la gioia di chi ci osserva, dobbiamo prendere le sue parole, feroci come lame, e lasciare che esse ci feriscano.

E che il sangue grondi sui sogni perduti e formi di nuovo la parola libertà.

Grazie Lodovica.

Attraversando e riattraversando il pianeta per dritto e per sghembo, non ha visto altro che donne nude, donne semivestite, donne svestite, donne in atto di svestirsi o di rivestirsi, donne che si atteggiavano come porchette su piatti da portata, donne che simulavano orgasmi o che li avevano, donne che gridavano, gesticolavano, inveivano, si divincolavano, supplicavano, ordinavano, ordivano, si contorcevano come contorsioniste di professione, donne che facevano le astronaute o le sceriffe o le Nembo Kid o le sterminatrici galattiche e poi, però, avevano paura di andare in ascensore, donne che piangevano, donne che si suicidavano, donne che imprecavano, donne che venivano violentate con e senza il loro consenso, con o senza tacchi, con o senza silicone, donne che si pittavano come indiani sul piede di guerra e indossavano perizomi, chiamati tanga, per prodursi in danze lubriche, donne che facevano le sdolcinate sbattendo enormi ciglia finte, donne che facevano table dance e sedute spiritiche, donne fortissime e donne debolissime, tutte svitate, tutte convinte di essere bellissime e insuperabili, il fiore della creazione, il sale della terra e contemporaneamente delle sceme, tutte fuori di sé, tutte pronte a denudarsi e a vendersi, le giovani perché fin dalla nascita non avevano mai visto o conosciuto altro che donne nude, le vecchie per dimostrare di avere tutti i requisiti per competere con le giovani, le adolescenti per dimostrare di essere già donne, le sportive per dimostrare di essere sexy, le intellettuali per dimostrare di non essere, poi, così burbere e di avere delle tette anche loro, essere donna ed essere nuda erano una sola cosa, una donna non poteva non essere nuda e quella nuda non poteva che essere una donna… Donne, donne, donne, da una parte, e, dall’altra parte del fossato, uomini, uomini, uomini, con le barbe non fatte, che ininterrottamente le fotografavano o le guardavano in fotografia e dicevano bella! e si masturbavano… “Porca miseria, ma che avete sulla Terra?!

5 pensieri su ““S’io fossi foco” di Lodovica San Guedoro, Felix Krull editore. A cura di Alessandra Micheli

  1. Quest’arte estremamente inventiva che la falsa opinione degli uomini chiama follia e che, parente
    del sogno, della poesia, dell’astrologia, della magia, della divinazione, della commedia e della tragedia, conduce l’iniziato a sublimi altezze e a terrificanti abissi, irraggiungibili dagli altri comuni mortali, che solo i poeti sono in grado di avvicinare, che meravigliosamente Parsifal, il puro folle, fu predestinato col suo piede a calcare; gli fa provare sentimenti e vedere cose che… Ma vediamo quali cose. Diamo
    inizio alla cronaca. (Dal prologo de “L’allegro manicomio”) L.S.G.

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