“Shirley” di Susan Scarf Merrell, Nua edizioni. A cura di Alessandra Micheli

C’è qualcosa di affascinante nell’oscurità.

Non so definirlo bene e non sono certo consapevole di tale fascino.

Ma ne sono attratta, in un modo quasi inconsapevole.

Per quanto decanti il mio amore per l’estate, per il sole per il cielo azzurro, il mio cuore brama l’inverno, abbraccia la notte e non teme la solidità del ghiaccio.

E adora, inutile nasconderlo le atmosfere gotiche, quel leggero vento che sbatte ansioso alle finestre.

Come una richiesta costante di attenzione.

Ama i manieri che si rifugiano nella penombra, densi di ombre e strane presenze, laddove il silenzio non è altro che un grido rarefatto, impossibile da ascoltare per orecchie abituate alla cacofonia della vita che scorre.

Il silenzio sussurra storie e voci.

Ti rapisce l’anima e la porta con se nelle regioni segrete dell’abisso, laddove è il tuo io a richiamare carezze perdute.

Penso che sia questo il segreto che ritrovo in antichi, decadenti e infestati manieri.

Li ritrovo me stessa.

Quella me rifiutata dal tempo e dalle convenzioni sociali.

Quella me che può danzare nel fuoco, senza sottrarsi, senza temerlo. Giocare con le sue saettanti lingua senza temere il dopo.

E’ tutto un attimo vissuto appieno, con la sconsideratezza di chi è avvezzo ai misteri e con loro pasteggia spesso, come amici lontani e mai davvero accettati.

E’ quella la suggestione che mi ha fatto amare il famoso libro L’incubo di Hill House, laddove una casa, simbolo di tutto ciò che è rassicurante e benevolo mostra la sua ghignante faccia deforme.

E Shirley Jackson è una figura cosi inquietante e al tempo stesso…seduce, seduce le menti fragili e forti, le menti che chiedono che la creatività metta le radici nelle stanze segrete, chiuse a chiave del nostro..io.

E cosi ecco Shirley.

Capolavoro potente e oscuro.

Brumoso e fatto di sottili fili di luce che dalle nuvole cariche di tempesta, che come artigli si posano sulle nostre menti.

Cosi disposte a lasciarsi sedurre.

Susan non scrive un thriller.

Susan mette in scena una delle opere teatrali più imponenti a cui io abbia mai avuto il piacere di assistere: la danza alienata di uno scrittore messa nudo.

Con quei suoi segreti, con quella sua schiavitù che lo lega indissolubilmente alle sue opere, quasi fossero le chiavi per uscire dalla gabbia e gustare la ritrovata libertà.

E allora comprendi che essere fuori dal tempo, alieni alle proprie regole sociali non è altro che un atto suicida che ci porta a abbracciare il fuoco.

E da lui lasciarci bruciare.

Shirley è così.

Pazza, folle, eppure cosi romantica con quella sua strana ritrosia a vivere in una realtà che non le appartiene.

Cosi decisa a idealizzare il ruolo di moglie perfetta eppure incapace di viverlo, fino a superarlo e stracciarlo in mille piccoli pezzi.

Non è un libro per tutti.

Forse è solo per chi come l’autrice non si sente mai a suo agio con i panni indossati.
Chi è cosi affascinato dall’oscurità da invidiare un po’ la nostra Shirley, che Hill House lo ha creato rendendolo non solo nido di parole ma entità da accarezzare.

Una casa piena di consapevolezza, capace di amare accogliere e perdonare questo folle umano, anche quando lui stesso non riesce a perdonarsi.

Cosa dire ancora di Shirley se non incanto fatto verbo?

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