“L’angelo trafitto” di Alberto Buchi, Nero Press. A cura di Romina Russo

Ciascuno di noi è il risultato di ciò di cui ha fatto esperienza in passato.

Un’infanzia infelice, un trauma difficile da superare, un lutto impossibile da elaborare, una violenza atroce che pare reclamare costantemente vendetta, possono segnare indelebilmente un individuo, dirottarne il percorso, condurlo verso un nulla capace di fagocitarne l’esistenza nel più terribile degli incubi.

Ed è proprio la mancata accettazione del proprio vissuto, l’incapacità di chiuderne i capitoli precedenti per iniziarne uno nuovo, ad accomunare i protagonisti di questo romanzo di Buchi.

Maddalena non riesce ad accettare la morte dei suoi genitori; l’ispettore Carcano, a distanza di anni dalla terribile aggressione che lui e sua moglie Sara hanno subito ed il conseguente aborto della bimba che aspettavano, non trova altra soluzione al suo male di vivere che alzare un muro di silenzio fra lui e la donna che tanto ha amato; Sandro Marto, dopo aver perso prematuramente la moglie Anna per un male incurabile, si trascina in un’esistenza da derelitto, costantemente in lotta con i suoi ricordi e con le terribili visioni che, da sempre, le sue capacità di sensitivo gli procurano.

Ciascuno di questi personaggi pare arrancare in un’oscurità che si fa sempre più cupa, incapace di liberarsi da quelle catene che lo tengono avvinto a ciò che è stato e che ormai non è più.

Ciascuno di loro pare votarsi consapevolmente all’autodistruzione, a un annichilimento rassegnato e inerme in un mondo dai colori lividi e spenti.

Una pericolosa setta satanica rapisce una diciottenne, Maria, con l’intenzione di sacrificarla per rievocare un episodio narrato in un Vangelo apocrifo e sovvertire l’ordine del cosmo, dando inizio al trionfo del Male. Maddalena, Carcano e Marto si ritrovano invischiati, loro malgrado, nelle conseguenze di questo rapimento.

Ed è a questo punto che diventa evidente che l’unico modo per sciogliere i nodi del presente è sbrogliare la matassa del passato.

Un’opzione non più procrastinabile, perché c’è in ballo la vita di una ragazza innocente, il destino di una coppia di giovani, la sorte di un’intera comunità sulla quale ormai incombe la minaccia di una setta il cui leader carismatico è pronto a tutto, pur di realizzare il suo folle progetto.

“Devi ripartire. Da te stesso. Accetta quello che sei e la realtà, anche se crudele, perché tutto appartiene a un disegno più grande.”

Sandro Marto decide di accogliere il monito che riceve dal fantasma della moglie scomparsa, che gli fa visita frequentemente. Capisce che non può più rifiutare ciò che gli è accaduto. Tantomeno il suo dono, quella sua capacità di vedere anche ciò che agli occhi altrui è invisibile, finalmente consapevole che questa sua caratteristica è la sola arma di cui Carcano dispone per poter arrivare alla setta e salvare Maria.

E a fugare le iniziali perplessità dell’ispettore sarà proprio il questore De’ Giorgi, il cui figlio, Luciano, fidanzato di Maddalena, è divenuto anch’esso un convinto adepto della congrega demoniaca e sta correndo rischi enormi:

Io credo che al mondo esistano forze che vanno oltre la nostra comprensione. Bene o Male, non sono solo parole, ma dirette conseguenze dell’azione di Dio o di Satana. Io credo nella loro esistenza, e forse, anche nell’esistenza di persone con capacità inspiegabili.”

Il Bene e il Male esistono.

E, ancor più tangibilmente, coesistono.

In ciascuno di noi.

Lo sa bene l’ispettore Carcano, che ha compiuto atti indicibili per vendicarsi sui malviventi che hanno distrutto la sua vita e la sua serenità.

E anche se il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, come quello tra realtà e incubo, sembra farsi sempre più labile, anche lui avverte ormai chiaramente che è giunto il momento di congedarsi per sempre con il passato, di affrontare il dolore, di agire.

L’arrivo di Marto e di Carcano nello spettrale villaggio abbandonato in cui la setta sta celebrando i suoi riti macabri e osceni e la vita di Maria sta per essere immolata al Maligno, sembra quasi una nekyia, una catabasi negli Inferi che, come nella più genuina tradizione omerica, mette i protagonisti di fronte a verità nuove e sconvolgenti.

Tutto è corrotto, deforme, nauseante.

I membri della setta, nella bestialità mostruosa delle loro pratiche, nella disgustosa disinvoltura in cui si abbandonano ai loro più bassi istinti, incarnano la vera condanna, la dannazione che abbraccia chi sceglie di non affrontare la vita, di non farsi carico di responsabilità e sentimenti, annientandosi in una condizione ferina che pare l’unica scelta possibile.

Lo capisce Maddalena, che va incontro alla sua fine con una pace rinnovata nel cuore.

Lo capiscono Carcano e Marto, che raggiungono il loro obiettivo sprofondando nell’abisso.

Un abisso dal quale, faticosamente, riemergeranno, profondamente cambiati e illuminati da una consapevolezza del tutto nuova: la certezza dell’esistenza di altre strade da percorrere, di tanta vita ancora da vivere, di un Bene sempre pronto a palesarsi di fronte agli occhi di chi desidera realmente vederlo.

Ma soprattutto la consapevolezza che il passato, per quanto possa essere un fardello pesante da portare sulle spalle, resta, tuttavia, un bagaglio irrinunciabile per proseguire il nostro viaggio.

E che ogni ferita o cicatrice che ci portiamo dentro, è un ricamo unico e prezioso, capace, prima o poi, contro ogni nostra aspettativa, di abbellire il tessuto della nostra anima.

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