
Sembra quasi una coincidenza che in questi giorni sia finita ad approfondire gli aspetti del mondo di Lovecraft e che al contempo mi sia trovata tra le mie mani questo libro.
“Un’ombra si era abbattuta lentamente su Soho e aveva incupito le anime dei suoi abitanti. Un’ombra che proveniva dal cielo o forse dal profondo della terra.”
Tutto ha inizio in una piccola cittadina anonima, Soho, dal passato misterioso e inquietante.
Inverni gelidi, notti nebbiose.
Un cimitero su a nord, aggrappato alla collina.
Abitanti schivi e barricati in una comunità chiusa e diffidente.
Un tributo alle più celebri Arkham o Innsmouth.
Poi ecco far capolino il protagonista: non un adulto studioso, o un detective intrepido, ma un semplice ragazzo, un adolescente di sedici anni orfano di entrambi i genitori.
Uno degli orrori più grandi per un giovane.
Da ragazzo intraprendente, amante di letture avventurose e in cerca di riscatto dall’anonimato di una cittadina come Soho, dopo la perdita del padre lo vediamo trasformato in un’ombra smarrita.
Henry Powers è solo, deriso dai coetanei, deluso, smarrito.
Un salvatore inaspettato lo prenderà sotto la sua ala, riportando vitalità nella sua esistenza: il Dottor Alfred Grembel Din (dottor Effe), fisico e astrologo.
Anche lui emarginato e vittima del bigottismo di piccole comunità che difficilmente accettano l’estraneo.
“Il dottore non era ben visto in paese, anzi, molti lo ritenevano uno svitato che non riusciva nemmeno ad allacciarsi le scarpe. La maggior parte di chi aveva contribuito ad alimentare queste voci, era gente che non sapeva né leggere né scrivere, ma è sempre la massa e l’ignoranza a far più voce della conoscenza.”
Ecco quindi un ricercatore visionario e folle, figura che in ogni romanzo di fantascienza spruzzato di horror, dal sapore gotico e mistico, non può non trovare una perfetta collocazione.
Come a voler ricordare che frequentemente è l’uomo stesso, nella sua instancabile ricerca di verità e conoscenza, a causare il suo stesso male.
A svegliare oscure presenze e richiamare fantasmi sopiti.
Il rapporto che si crea tra i due diventa una vera e propria relazione tra mentore e discepolo, arricchita da un sano affetto.
Henry ritrova un suo equilibrio in quella nuova vita imbevuta di stranezze e scienza.
Il dottor Effe e l’amico John, compagno d’infanzia nelle adrenaliniche esplorazioni di vecchie case abbandonate a Dark Hall Street, sono tutto quello che a Henry serve per stare a galla.
Per alzare la testa al di sopra dello sfondo cupo e misterioso di una vita monocromatica.
Per tornare con la sua voglia di meraviglia e con la determinazione di quando era bambino a combattere draghi e creature malvagie.
Ho affrontato questa lettura scendendo piano piano nella storia, uno scalino alla volta, vivendo la iniziale quotidianità degli eventi di un adolescente per poi iniziare a scorgere i segnali di un cambiamento imminente, dettagli sparpagliati come sassolini bianchi su un sentiero fangoso di montagna.
La comparsa di strani comportamenti nel dottor Effe, un inquietante macchinario dal funzionamento sconosciuto, luci verdi sinistre e pulsanti nella notte, aprono il varco che delimita un confine.
Tra qui e là, tra l’universo da noi percepito e quello sconosciuto popolato da orrori e creature mostruose, tra sottosopra e Soho.
Ci apprestiamo a svelare il cuore della vicenda.
Un cuore pulsante alimentato dalla linfa venefica dell’alieno e sconosciuto.
In questo testo ho trovato molti aspetti della letteratura che adoro, intrecciati in un’unica storia: imbattermi in un horror in stile lovcraftiano con un ragazzino plasmato dagli anni ’80 come protagonista ha generato lecitamente una iniziale perplessità.
L’evoluzione di questa impressione è stata però rapida: da piacevole stupore a convinta soddisfazione nel trovare una storia funzionale e promettente.
Vicenda chiaramente concepita per articolarsi in più episodi (una trilogia), garantendo così nella serialità un approvvigionamento a lungo termine di storie avventurose per il lettore.
Non nascondo di aver sorriso vedendo Henry in sella alla sua bici, come un avventuroso ragazzo dei Goonies, o uno sfigato e determinato membro del Club dei perdenti.
Spesso mi capita di chiedermi se certe citazioni, easter eggs e tributi li veda forzatamente io, che tutto distorco e adatto alla mia visione un po’ nerd, o se siano intenzionalmente disseminati dall’autore.
Magari dovrei chiederlo a Cristian.
Ed esercitarmi in vista del secondo capitolo.
Lei, cara Alessia, mi lusinga delle sue belle parole. Trovo sia davvero interessante ciò che ha scritto e non nego che mi abbia emozionato leggere questa sua ben articolata recensione. Con mio enorme piacere devo ammettere che i suoi pensieri sulle varie citazioni e riferimenti sono assolutamente fondati. Un caloroso abbraccio.
Cris V. F.
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