
Si sente spesso parlare di famiglia e di radici.
Tutti convinti oramai che siano proprio quelle a indicare in un certo senso il nostro destino.
E sopratutto il legame con la madre e con la parte femminile della famiglia a essere spesso protagonista di tante saghe amate.
Comportamenti tramandati di generazione in generazione, una catena lunga secoli che ti fa sentire in due modi: libera o imprigionata.
Perché chi non ha la fortuna di avere qualcuno che ha avuto la possibilità di vivere in modo sano i rapporti la catena dell’esempio materno stringe i polsi, stringe il collo e soffoca.
E quasi sempre si ripercorrono le strade sbagliate di chi ci ha preceduto, si seguono i passi incerti di chi quel dolore, l’abbandono, l’incuria o l’egoismo non è proprio riuscito a superarlo.
Non nascondiamolo signori miei.
Madre è una parola dal suono soave ma che può diventare un macigno capace di opprimere il costato e di precludere ogni possibilità di serenità. Le donne posso salvarsi o uccidersi, farsi tanto bene cosi come tanto male.
La storia di Sveva e Alma non è altro che il racconto sofferto di questo rapporto, tra una figlia e una madre assente, assente a se stessa sopratutto.
Infelice esempio di chi le ali ha preferito farsele tarpare, di chi ha fatto vincere le consuetudini e le apparenze, in una vana speranza che esse siano capaci di donare il riscatto tanto ambito.
Tanto male in questo specchio.
Occhi spenti e una vita che non riesce a fiorire.
Ma è anche la storia di come l’amore non dipende dai ruoli ma si sviluppa tra anime affini.
Non serve partorire qualcuno per esserne madre.
Bisogna saperlo vedere, stupirsi della sua bellezza e volere che essa fiorisca a ogni primavera.
Volere che il gelo dell’inverno sia solo il luogo giusto per dormire e sognare, per seminare e accogliere quel seme nella soffice coltre nevosa. Sveva non ha la felicità di guardare fiera la sua madre biologica negli occhi.
Ma ha la fortuna di averne un altra, una donna fuori dagli schemi, fantasiosa, ribelle, strana aliena a tutto ciò che è convenzionale e rigoroso.
Una donna sghemba e al tempo stesso ingombrante..
E qua… io sono incapace id proseguire.
Perché Alma mi ricorda troppo la mia di mamma.
Colei che era sempre un passo avanti alla storia e alle epoche.
Colei che nessuno poteva domare.
Che intesseva i suoi sogni con la forza di un uragano, e brindava con me, bimba alla luna, in folli, assurdi te nel regno delle meraviglie.
E allora tante parole non servono.
Non sono necessarie e sono troppo preziose per raccontarle qua sul foglio.
Sveva in fondo sono io.
Invitata da qualcuno che sapeva osservare oltre i confini della vita a buttare fuori ogni groppo amaro.
Invitata a ricamare il mio arazzo con fili di sole, con arcobaleni dai mille colori.
E Alma è la mia mamma.
E solo con questo comprenderete la forza e la potenza di un libro che sa indagare sia il male, quel male che porta le figlie a essere fagocitate dal dolore mai espresso, ma sia il bene, quello che regala alle fortunate un paio di ali.
Per volare oltre il cielo, lassù in orizzonti infiniti
Siate sempre capaci di avere occhi capaci di guardare l’essenza del mondo.
Siate sempre un po’ Alma.
Alma non voleva giocare con un extraterrestre, lei voleva essere l’extraterrestre.
Alma era una ribelle di natura. Una di quelle a cui non stava bene niente.
Alma era una figlia complicata e precoce nella ribellione alle regole, agli stereotipi, a tutte le recite di cui era stata spettatrice per anni e che le avevano dato il voltastomaco.
Ne aveva abbastanza di rapporti tenuti insieme con la colla, fatti di spifferi e crepe dentro le quali filtravano mostri e fantasmi.
Alma era bellissima, ma tutta quella bellezza era completamente fuori da ogni canone estetico
Alma, sapeva leggere i loro cuori attraverso uno sguardo.
Per la mia Alma
che da lassù guida i miei tentennanti passi.
Spero di poter correre verso l’orizzonte mamma.