
Edgar Allan Poe è considerato, a ragione, uno dei padri fondatori del genere dell’orrore, con un uso magistrale e caratterizzante di tematiche appartenenti al gotico: eventi al limite del soprannaturale, l’utilizzo della suspence e la presenza assidua e morbosa della morte.
Spesso e volentieri, però, Poe mette da parte le ambientazioni tipicamente gotiche e preferisce collocare i suoi racconti in luoghi consueti, quotidiani, ricercando l’effetto terrificante nel tormento umano che facilmente si radicalizza in un simbolismo preciso e ben identificabile.
Potremmo quasi definire questo utilizzo di creature e strumenti che racchiudono in sé il significato profondo di tutta la narrazione come degli antecedenti di quei correlativi oggettivi tanto cari alla letteratura, in prosa e in versi, del Novecento.
Il racconto più esemplare di questa tecnica così immaginifica non può che essere Il gatto nero; un racconto sfuggevole e analizzabile ponendo l’accento su un tema diverso ad ogni lettura, a partire dal tema della follia, apparentemente scatenata dall’alcolismo, ma ad uno sguardo più approfondito forse insita nella natura perversa del narratore inaffidabile che cerca in tutti i modi di portarci dalla sua parte, trovando giustificazioni alle sue azioni; troviamo il tema dibattuto a lungo, fin dall’antichità da filosofi e scrittori, del rapporto vago e nebuloso tra verità e giustizia, che sembrano divergere fino ad arrivare su due rette parallele.
Ma visto la festività imminente ci sembra adatto concentrarci su un tema che può apparire più superficiale, ma che nasconde risvolti intensi e radicati nella cultura Europea dai tempi che furono: il tema della superstizione, in particolare riguardo ai gatti neri, come ben si evince da questo passaggio:
“Parlando della sua intelligenza, mia moglie, che in fondo non era un po’ tinta di superstizione, faceva spesso allusione all’antica nozione popolare, che considerava tutti i gatti neri come streghe travestite.”
La storia dei gatti, soprattutto quelli neri, nel corso dei secoli ha avuto alti e bassi.
Inizialmente furono adorati, nell’antico Egitto, come emissari della dea Osiride, regina dell’oltretomba e talvolta della dea gatta Bast, inizialmente essa era una divinità guerriera per poi divenire una figura protettiva e rassicurante, patrona della fertilità, della maternità e della vita domestica.
I gatti venivano mummificati allo stesso modo degli umani e le loro mummie venivano offerte alla dea Bast.
Forse proprio questo forte legame con il mondo pagano fu una delle cause per cui i felini nel mondo Cristiano, in particolare nel corso del Medioevo, furono additati come compagni delle streghe, incarnazioni del demonio.
In generale nei bestiari medioevali, vengono elencate diverse specie di animali “demoniaci”, tutti animali notturni come il pipistrello, il lupo, il corvo e il gatto, che si merita questa definizione per il suo legame antico con l’al di là e colpevole di incarnare tutte le perversioni femminili: capriccioso, astuto, cacciatore spietato.
Se il gatto poi fosse stato nero, allora avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere perseguitato in quanto il loro colore era ritenuto una metafora più che sufficiente della malvagità.
Vi furono anche dei provvedimenti ufficiali come la bolla papale Vox in rama di Gregorio IX nella quale condanna la pratica del Sabba e incita i cristiani a condannare tutte le pratiche eretiche delle cosiddette streghe, tra cui anche i riti iniziatori che avrebbero coinvolto i gatti neri.
Come risultato il papa ottenne uno sterminio spregiudicato di questi animali, che di fatto venivano bastonati, gettati dai campanili delle chiese e arsi sul rogo con le loro padrone.
Alcuni curiosi ritrovamenti, nella Torre di Londra e sotto la Christ Church, hanno fatto pensare che fosse diffusa la pratica di murare vivo un gatto nelle fondamenta di una nuova costruzione; ma questi devono piuttosto essere visti come eventi fortuiti, casi per cui un povero gattino si sia trovato intrappolato in un labirinto in muratura.
Poe, dunque, si è ispirato a questo vivido immaginario popolare per acuire il senso di angoscia e perversione ambigua che trasuda dalle sue pagine?
Pluto, e il suo successore, sarebbero quindi l’incarnazione del re degli inferi, in grado anche di corrompere l’animo del protagonista con la loro malvagità, mostrandoci quanto facilmente sia corruttibile l’animo umano di fronte al Male travestito e nascosto nella vita di tutti i giorni?
Potrebbe essere, ma se ci affrettassimo a dare un giudizio peccheremmo di superficialità.
Vi è infatti un’altra leggenda riguardante i gatti neri che vale la pena citare in relazione a questo racconto: la leggenda scozzese del Cat Sith, il re dei gatti.
Secondo la versione popolare il Cat Sith sarebbe un gatto nero, con una macchia bianca sul petto che gli altri gatti riconoscono come proprio signore e anche gli umani gli sono devoti, egli infatti benedice le case di chi offre in dono a lui e ai suoi simuli del latte e maledice quelle di chi non rispetta i piccoli felini.
Un gatto nero, con una macchia bianca, che sembra maledire un nemico dei felini domestici, direi che questa storia ci suona familiare.
Allora forse il gatto nero potrebbe essere un emissario della giustizia, una giustizia privata e capricciosa come i gatti, ma che in ogni caso sarebbe opposta alla malvagità del narratore e anzi spingendosi ancora oltre potremmo affermare che la giustizia felina è l’unica che riesce a contrastare e porre fine a una violenza altrimenti inarrestabile.
Se volete un consiglio, la prossima volta che un gatto nero attraversa la strada davanti a voi, fermatevi, ma soltanto per offrirgli un po’ di latte, non si sa mai, magari siete di fronte al prossimo re dei gatti!