“Il macabro nel sud Italia. Immaginate l’oblio” di Gerardo Spirito e Marco Marra, Horti di Giano. A cura di Romina Russo

Pensiamo al mondo rurale, alla vita semplice di un tempo, come a una dimensione felice, a un’oasi di bucolica serenità, al trionfo di quella frugalità cui inneggia il motto less is more, tornato tanto in auge negli ultimi anni.

Immaginiamo distese verdi a perdita d’occhio, i riflessi purpurei dei tramonti che tingono i campi di spighe dorate, boschi freschi e placidi, in cui le fronde oscillano accarezzate da venti gentili, al ritmo del gorgoglio di un ruscello.

E non immaginiamo neanche lontanamente l’orrore, che come un rettile di ghiaccio serpeggia negli anfratti di questo mondo “dipinto.”

Non ci figuriamo l’oscurità, che corrode i giorni e le anime, come la muffa che macchia le pareti di case fatiscenti tanto quanto i cuori di chi le abita.

Marra e Spirito, già dal titolo della loro interessante raccolta antologica, ci invitano ad immaginare tutto questo.

Perché nella storia e nel folklore di quel Meridione che evoca sole, calore umano e terra nera e fertile, si celano racconti di eventi orripilanti.

E quale sia il confine tra le ipotetiche e fantasiose aggiunte della tradizione orale e l’effettiva e documentata realtà storica dei fatti narrati, è un interrogativo angosciante che non ci abbandona neppure dopo aver voltato l’ultima pagina.

“Lontano dalle rotte turistiche, lontano dalle spiagge affollate, esistono zone dove imperversano la lotta per la sopravvivenza e tradizioni immonde scavate nella carne della terra e degli uomini.”

Così scrive Luigi Musolino nella sua ottima prefazione a questo volume.

Tradizioni immonde, superstizioni, culti pagani che rasentano il satanismo, pratiche blasfeme e innominabili.

“Non vi biasimerò, credetemi, se un domani doveste espormi un’idea riguardo il fatto che l’unico e vero mortale flagello nella storia dell’uomo sia stato, sia e sarà l’ignoranza.”

L’ ignoranza.

Il denominatore comune di ciascuna delle storie raccontate.

E non quell’ignoranza buona, schietta, quella dei nostri nonni, che talvolta non sapevano leggere e scrivere, ma erano animati da un’ incommensurabile voglia di imparare e migliorarsi.

Qui si parla di un’ignoranza torva, malevola, rassegnata.

Quell’ignoranza che si pasce della disperazione, che si adatta al marciume, che respira il lezzo nauseabondo del lerciume e dell’incuria come fossero brezza marina.

Un’ ignoranza che non cerca la luce, ma la maledice.

Che si nutre di superstizioni, che fomenta il pregiudizio, che grufola lieta nella mota della disperazione, del sospetto e della maldicenza.

Un’ ignoranza che attende e persegue una rivalsa sociale che coincida con il trionfo del Male, del caprone nero che intere comunità celebrano ed evocano durante cerimonie oscene attraverso rituali rivoltanti.

E i pochi che mostrano di avere, seppur vagamente, contezza della spaventosa anormalità di ciò che accade all’interno delle loro comunità, delle anomalie che ne segnano la quotidianità, finiscono per esserne le vittime prescelte, come meccanismi fallati di un ingranaggio maligno al quale non è concesso incepparsi.

Il piccolo centro di Vinobo pare essere il locus infestus verso il quale converge il Male che trasuda da ogni storia.

Il bosco è come la porta d’accesso a un incubo senza fine, all’annientamento di tutto ciò che è giusto, umano e morale, a quella corruzione dello spirito che, per i personaggi dei racconti, pare l’unica via d’uscita da una vita grama.

“Tutto quello che non entra nel bosco, muore rosicchiato dai vermi. Tutto quello che non sogna, muore rosicchiato dal silenzio.”

Un silenzio che è un grido d’orrore talmente devastante da non poter essere liberato.

E mentre leggiamo di corpi e anime ugualmente straziati, di morbi terribili, di fenomeni inspiegabili, di uomini la cui esistenza pare marchiata a fuoco da una ferinità rivoltante, non riusciamo neppure per un istante a distogliere lo “sguardo” da quell’orrore e dal suo mistero.

Restiamo attoniti, inspiegabilmente affascinati, a contemplare un quadro macabro insondabile e ipnotico.

Mentre nelle tempie pulsano, minacciose, quelle parole terribili e martellanti:

“C’è qualcosa di terribile in ognuno di noi, un demone che vive nei nostri cuori.

La fortuna sta tutta nel non essere mai costretti a risvegliarlo.”

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