“La spirale del diavolo” di Fernando Santini, Dark Zone. A cura di Alessandra Micheli

Vi prego concedetemi di presentarmi
Sono un uomo raffinato e di buon gusto
Sono stato in giro per moltissimi anni
Ho rubato anima e fede di molti uomini.
Ed ero presente quando Gesù Cristo
Ebbe il suo momento di dubbio e sofferenza
Ho fatto sì che Pilato
Se ne lavasse le mani e segnasse il suo destino
Lieto di conoscervi
Spero che indovinerete il mio nome

Ma ciò che vi confonde
È la natura del mio gioco

Rolling Stones

Avete presente le matriosche?

Io ne ho una collezione infinita.

Mi affascinano perché rappresentano alla perfezione i concetti filosofici a cui sono più legata.

Tra questi i residui parietani.

Ve li spiego in modo maccheronico…

Secondo Vilfredo Pareto ogni valore, ogni ideale, ogni azione contengono una parte visibile che è il manifesto delle nostre intenzioni.

Tipo credo nell’umanitarismo perché la cooperazione è fondamentale.

Non sono razzista perché io tollero e accolgo.

E via dicendo.

In realtà è solo apparenza.

Nel sottoterra, in quel motto alchemico che cita testualmente:

Visita l’interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta

E cosa troviamo in questo sottoterra?

I residui illogici, quindi irrazionali di tante decisioni, prese di posizioni e comportamenti apparentemente probi, razionali e etici.

E li si apre un mondo.

Dietro ogni nostra battaglia si cela proprio il sentimento descritto dai Rolling Stones: simpatia per il diavolo.

Che in ogni caso non è un essere dotato di corna ma qualcosa di peggio.

Eh si perché se fosse materiale i mezzi per combatterlo ci sarebbero e comporterebbero azioni.

Invece il male si presenta come uno strano vento, un sussurro appena accennato e sopratutto il bisogno primario per l’uomo: farsi vedere.

Più azioni perturbanti e disordinate compio più il mondo mi vede.

E più ne compio più mi sembrano meno perturbanti che mai.

E cosi il successo, l’esaltazione, la superbia che ci porta a sentirci pari a dio se non superiori ci fa deragliare.

E compiere atti che secondo alcuni di umano non hanno nulla.

O forse hanno il sorso di visibilità di cui abbiamo bisogno.

E proprio questa simpatia per il diavolo protagonista in questo libro.

Una simpatia che nasce, appunto dal profondo, dal bisogno di mordere la realtà e lasciare il segno, come se questo segno potesse darci la possibilità pratica di esistere.

Noi non ci sentiamo protagonisti di nulla.

E ci sembra di vivere sempre ai margini.

Come se soltanto la luce dei riflettori è capace di delineare ogni linea del volto.

Nella spirale dei diavolo succede proprio questo: non è un rapporto di sottomissione alle regole societarie ma una sorta di scambio profondo che ha come fine, non il cambiamento ma la stagnazione.

Ed è questo il problema di certi tipi di dominio.

Il rapporto bivalente che si instaura ad esempio tra vittima e carnefice.

Che risultati può dare?

Nel testo di Santini viene illustrato il risultato che noni vogliamo e tentiamo di ignorare: la vittima serve al carnefice per essere visibile e il carnefice ha bisogno della vittima per identificarsi.

E cosi il bullismo che è strenuamente ( per fortuna aggiungo) combattuto dalla nostra società rivela il suo volto più diabolico: in questo rapporto squilibrato ognuno tenta di definirsi, darsi un contorno e raccontarsi.

Male, ma si racconta.

Si racconta nell’ottica di una società dedita alla sopraffazione, alla vittoria del più forte a una sorta di riscatto weberiano: se io ottengo ogni desiderio considerato fondamentale dalla nostra società significa che sono benedetto.

Da cosa beh è il tema del libro ovviamente.

Ed è la spirale del diavolo, improntata verso la simpatia inconsapevole che questo male suscita su di noi si risolve in molte delle dicotomie presenti in queste dinamica: non solo nel tema del debole/forte ma anche periferia, centro che non è altro che un rapporto di forza e un confronto culturale basto, anch’esso sulla supremazia.

E cosi il male che ne emerge: un diavolo che ti promette la non invisibilità, ti promette applausi, ti promette fama, poco importa se nefasta.

Il satanismo quindi viene osservato con un perfetto stile sociologico come la necessità, derivata dal disagio sociale, di sovvertire l’ordine naturale che viene avvertito un po da tutti i protagonisti come ingiusto, incoerente, e non equo, per trovare vendetta, sentirsi forte e nutrirsi della paura e dell’energia che la stessa dona.

Il satanismo può risultare cosi il patto finale, disperato, patetico di chi si sente eswcluso dal perfetto mosaico societario.

E’ il concetto occidentale di male d peccato che ci appare in tutta la sua fosca immagina il bisogno di spingersi al limite estremo senza remore, regole o compassione.

Santini non ci lascia respiro.

Incalza e indaga nell’intima essenza di ognuno di noi mettendoci di nuovo alla prova cosi come ha sempre fatto con Sice.

Ma stavolta il suo stile è molto kubrichiano, ossia usa il perturbante.

E in alcune scena apparentemente meno efferate del pasto principale che la sala, cinematograficamente parlando, salta, si indigna inorridisce.

Ed è la sua capacità di inserire l’inusuale, l’inatteso e il gratuito che rende questo libro un raro capolavoro.

Ancora una volta Santini ci regala emozioni.

E riflessioni.

E quindi vi consegno questo testo..e vi sfido a leggerlo e a sopportare la vista del vero orrore.

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