“La villa dei cadaveri. Ferie piemontesi per il commissario Aurelio Baldanzi” di Luisa Ferrari, Fratelli Frilli editori. A cura di Alessandra Micheli

Perdonami Hercule.

Pensavo che nulla avrebbe scalfito il nostro vetusto amore.

Ne il tempo, ne i libri gialli che straripano arroganti dalla mia modesta cassetta della posta.

Smaniosi come una delle lettere recapitate a Harry Potter nel primo film. Eppure…

E’ successo.

Il tuo adorabile baffo, il tuo irritante tono, la tua supponenza che trovavo cosi affascinante è stata battuta, scalzato dal mio cuore in modo repentino e immediato senza un avvertimento e anche senza una lacrima di rimpianto.

E non in favore di una possente intelligenza, pari a quella che tronfio mostravi, ma di fronte al candore assurdo di un commissario, davvero sopra le righe.

Aurelio Baldanzi.

Ecco il nome del vincitore.

Un antieroe meraviglioso e tenero, buffo e al tempo stesso forte, di una forza che nulla a che vedere con la dimostrazione palese di forza e di coraggio.

E’ nel suo mondo fatato, come un bambino troppo cresciuto, che affronta la vita con una semplicità abbagliante.

La sua routine cosi prevedibile e al tempo stesso cosi rassicurante che si scontra con i crimini più orridi, più sanguinosi e più intricati.

Assurdi, un po come le sue manie, le sue amabili uscite, quell’espressione imbambolata di chi preferisce essere altrove, piuttosto che affrontare le matasse ingarbugliate.

Un po’ come me, tenace sostenitrice della teoria meglio essere un opussum morto che un vivo in mezzo ai drammi.

E cosa scuote questa routine?

Questa banale serenità, fatta di cibo e fumetti di topolino?

La scomparsa della sua bella.

Descritta con una feroce ironia, la donna che tenta di gabbare il tempo con il tracco.

Che si sente fascinosa e che ai nostri occhi, diviene quasi la macchietta della femme fatale, che tanto piace al nostro mondo.

Eppure la prode Ornella dal profumo improponibile, dalla carrozzeria cosi leopardata da rischiare di essere protetta dal Wwf, tenta di dimostrare al suo bello che è qualcosa di più di un disdcutubile gusto estetico, di una voce stridula e di una propensione suicida per lo shopping trash.

E’ per questo che si scontra con un fatto inquietante, uno di quelli che sguazza nel genere giallo/thriller e che appunto funge da contesto per la villa dei cadaveri.

Nulla che non possa svelare.

In una di quelle sere d’estate dove l’umido si appiccica la pelle, in una Torino che non rinnega il suo fascino demoniaco, scompare.

Cosi nel nulla, lasciando interdetto il nostro commissario, indeciso se essere felice o no di tale misteriosa fuga.

E cosi la storia fatta di contrasti incomprensioni, di una rassegnazione quasi suicida si colora di nero, è nella perdita che il nostro prode eroe si risveglia dal torpore.

Curiosi?

Ecco un altro caratteristica importante.

Non scordatevi che siamo a Torino, città magica, città di misteri e di sulfurei odori.

Una città che ospita….l’istituto di anatomia patologica, con i suoi barattoli cosi sinistri, dal contenuto…particolare.

Ed ecco la chicca, il vero elemento straordinario del testo, quello capace di che colorare di un aura sinistra un libro fatto si un soffro humour, fatto di ritratti poco lusinghieri eppure veraci, omaggio alle meravigliose commedie italiane.

E’ l’orrore dell’omicidio seriale, l’ombra delle sette che incombe minaccioso, l’oscurità del soprannaturale che ghigna, l’orrore del mistero che avanza con passo cadenzato.

Atrocità commesse da un eccentrico e crudele collezionista, peccati, e redenzione da raggiungere con l’estremo sacrificio…

Una trama complessa non c’è che dire, capace di elettrizzare ogni buon amante del genere.

Eppure non è questo il suo unico pregio.

Il noir, il giallo, il thriller hanno in se la stessa fastidiosa ma affascinante prosopopea del buon Poirot.

Si prende molto sul serio proprio perché narra di delitti, di omicidi, di malavita.

E questo suo serioso volto granitico a volte rende ogni lettura quasi…soffocante.

Nella villa dei cadaveri il clichè si ribalta, ed è la leggerezza calviniana della bravissima Ferari a fare la differenza.

E’ il suo delineare senza cattiveria ma con un sarcasmo oserei dire adorabile i personaggi che lo rende un piccolo gioiello.

E’ quella capacità di rendere tutta la vicenda non solo sinistra e oscura, ma anche divertente e scanzonata che ci suscita la giusta dose di empatia.

E’ il ridere con i personaggi, non dei personaggi.

E’ l’accettare che, i veri attori principali del testo, siamo noi.

Noi a essere raccontati con i pregi, i difetti, le ansie tute umane e quel tentativo disperato e a tratti crudele di placare la signora morte.

Di invocare la grazia del cielo affinché possa posare il suo benevolo e redentore sguardo sulle nostre fragilità.

E’ anche il comprendere come ciò che diamo per scontato, che ci infastidisce è invece il dono più grande.

E cosi di fronte alla bonaria assurdità di Aurelio, la dolce prosopopea di Gabriella, la vanità esasperata ma anche la voglia di riscatto di Ornella il libro entra dentro di noi e crea il suo miracolo.

Le scene escono dalla carta e danzano attorno a noi, intessendo con abilità una commedia dell’arte in cui possiamo rispecchiarci e al tempo stesso farci superare quel senso, che accomuna un po’ tutti i personaggi, di insoddisfazione.

E conquistare con la loro fatica un piccolo posto, prezioso, nei nostri cuori.

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