“Infodemia” di Patrizia Gazzotti. A cura di Alessandra Micheli

Le epidemie ci mettono davanti a un dato essenziale: siamo fragili.

Per quanto molti filosofi e addirittura scienziati hanno sperato nella scoperta del secolo: l’immortalità fisica, non dell’anima.

Ma ahimè, siamo mortali.

Dannatamente mortali.

Ma a differenza di tanti altri membri del ciclo naturale e cosmico, capaci di accettare la caducità non come una condanna ma come un opportunità, siamo troppo arroganti per ammettere di aver paura.

Paura della morte, paura di avere il tatuaggio invisibile di una sorta di data di scadenza.

Ed è la superbia a tenerci equilibrati.

Noi con la nostra intelligenza e con il dono di un codice di informazione fatto di parole, regole e suoni.

E tramite quello, creiamo slogan, determiniamo la realtà, la manipoliamo e addirittura la rendiamo legittima.

Ci fa sentire un po’ come Dio.

La possibilità che la parola possa costruire, ferire o modificare persino un assetto politico è un sorso di potere a cui difficilmente rinunciamo.

Come disse il buon Pellico, la parola crea più danni di una guerra.

E questo perché veicola non solo messaggi pratici tipo ho fame, sonno, sono triste, ma una serie di valori evidenti e esoterici, che appunto il buon Pareto chiamava residui.

E sono questi, più che gli ideali scritti e tramandati a dare quel particolare ethos a ogni epoca e a ogni società.

Ethos che diventa, lo sappiamo bene, quasi una prigione rigida.

Ecco perché per i mistici di ogni tempo, il caso e l’abisso sono importanti, sono veicoli di risveglio.

Proprio perché quest’illusione di essere Dio e non parti di dio, lacrime partorite da occhi onniscienti non ci fa affatto bene.

Ci rende troppo spavaldi, troppo egoisti, troppo concentrati su noi stessi e dei bisogni fallaci che non portano certo alla salvezza.

Le pandemie, non sono solo il prodotto naturale dell’ambiente.

Ma possono diventare anche insegnati capaci di mostrarci la nostra natura non solo mortale ma anche si perfetti esempi di cibernetica, capaci cioè di trovare il proprio equilibrio attraverso aggiustamenti, modifiche e una propensione alla flessibilità, che noi dimentichiamo.

E nonostante il virus sia un insegnante severo, che arriva a dirci forse è ora di cambiare lo schema mentale, una parte di noi, del nostro io rifiuta l’evoluzione connessa con i disastri.

Li avvertiamo come perniciosi, come il male incarnato.

E cosi nell’uomo, questo strano essere convivono in lotta continua due parti diverse eppure complementari: la resistenza e la forza che va oltre, identificati spesso dai mistici come due diverse divinità.

E se vince una perde l’altra e quest’alternanza influisce su un dato essenziale: ossia la comunicazione.

Chi vive le pandemie, i disastri, ogni evento traumatico come uno sprone per abbandonare il vecchio io non ha certo bisogno di nessuna manipolazione della comunicazione atta a offuscare la realtà tramite le comode bugie.

Ma chi invece fa predominare la conservazione immobile dello status quo, cosi come di ogni percezione allora deve per forza distorcere l’informazione.

E crea un grosso danno all’intero sistema se supponiamo che Gregory Bateson avesse ragione e l’informazione non è altro che l’acquisizione di una differenza. Se quindi l’informazione, veicolata dal messaggio che è parte della comunicazione (ossia il processo con cui essa viene messa in moto) ha il senso profondo della consapevolezza che, all’interno del linguaggio avviene qualcosa che ci indica come in questo istante è una differenza a incidere su qualcosa uno stato biologico, in uno stato mentale, o un comportamento, comprenderete bene come usarla per mantenere una statica stabilità non faccia altro che mandare in tilt l’intero sistema organismo.

Pensiamoci.

Ogni volta che dobbiamo comunicare invidiamo su uno stato: le sinapsi per esempio comunicano che è avvenuta o deve avvenire una modifica.

La mia voglia di parlare con qualcuno crea una differenza rispetto all’attimo in cui io resto muto: tipo ho fame presuppone che il mio stato subisca una modifica, o inneschi la differenza con lo stato precedente.

Infodemia, dunque, ha l’obiettivo di raccontare la comunicazione in modo sano, eliminando ogni scoria possibile capace di frapporsi tra noi e il cambiamento che questo momento ci spinge a effettuare: non sempre come una perdita crudele ma appunto, come opportunità.

La pandemia ha acutizzato questo atavico senso di conservazione dell’uomo spingendolo a rifugiarsi in ogni illusione che non lo possa indurre in discussione.

Covid, vaccini, provvedimenti dello stato, tutto contribuisce a raccontare, anzi a narrare quello che accade non solo fuori ma anche dentro di noi.

E cosa emerge?

Che il senso critico è azzittito da una omologazione verso una determinata presa di posizione.

Forse a causa proprio della paura che sia del contagio o della perdita del precedente sistema di vita.

In ogni caso a guidarci non è affatto una sana curiosità quanto un ideologia paraocchi.

Ecco io credo che questo libro possa aiutarci a ritrovare un po’ di coraggio nel prendere non una posizione, ma la coscienza che siamo corpo e mente, ma soprattutto, mente.

Autore: Alessandra Micheli

Saggista per passione, affronto nei miei saggi e articoli ogni argomento inerente a quella splendida e misteriosa creatura chiamata uomo, cosi amata dall'energia creatrice: "che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato" Salmo otto

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