
“Pensi di conoscermi perché conosci il mio nome
Pensi di vedermi perché osservi ogni linea del mio volto.”1
Cosi cantava Jon Bon Jovi in una delle sue più struggenti canzoni.
Pensiamo di essere eroi, sussurrava con la sua voce cosi limpida e profonda, ma noi non siamo eroi e questo non è un film.
E queste parole che in fondo mi hanno guidato da anni mi sono tornate alla mente legge do questo thriller straordinario.
Trama ben strutturata, senza nulla lasciato al caso, indizi messi in bella mostra ma rifiutati da una mente che forse non è pronta a coglierli.
E personaggi che si muovono su un piano parallelo conosciuto ma che con quella penna lucente appare grottesco e claustrofobico.
Una famiglia perfetta.
Ricca e con un futuro davanti fatto solo di luci stroboscopiche, successi e quella sicurezza di chi ha tutte le chiavi per aprire ogni posta chiusa.
E un’adolescente piena di possibilità, ricca, schifosamente ricca, amata e guidata da genitori che vogliono solo il suo bene.
E non è finita qua.
Abbiamo anche un protagonista complesso, ricco di sfaccettature e fragile, ma con una fragilità molto più vera dei tormenti del classico eroe dei noir.
Qua la paure sono dannatamente reali.
E il male è qualcosa di concreto come una pistola puntata sulla fronte e la paura di perdere tutto in un solo istante.
Solo per un pizzico di adrenalina e per un ideale che viene costantemente deriso dalla società o usato per creare capolavori letterari.
Del resto diciamocelo.
Ogni protagonista che si erge a difensore della legge o diventa una discreta macchietta, o un modo per sentenziare in modo pomposamente intellettuale contro il sistema o un fastidioso energumeno dotato di tanti muscoli e di una spocchia antipatica.
E questo perché siamo abituati, come dice Jon Bon Jovi a creare a ogni costo supereroi, in ogni salsa, in modo quasi disperato.
Forse per reagire a un male che è a contatto con noi costantemente ma che ci sfugge, per nostra incuria o per paura di fissarlo negli occhi.
John Adderly vi mette di fronte ai veri rischi del mestiere a un umanità che per poterci difendere e proteggere quel che resta di un lacero ideale di giustizia deve mettere da parte la sua umanità e la salvifica paura che in fondo ci ha permesso di stare a capo della catena evolutiva.
Non è eroe chi non teme nulla.
E eroe o persona chi quel terrore lo deve affrontare.
Ma che con quegli incubi poi ci deve fare i conti.
Ecco che il testo appare reale, fin troppo.
E diventa qualcosa di molto più potente di un semplice noir.
Persino la vittima che descritta cosi come ho fatto io prima rischia di apparirci un cliché.
E invece anche li è vita, quella vera, quella fatta di fango da cui però non riescono a nascere i fiori.
Un adolescente che si sforza di assecondare ogni aspettativa.
Fino a rinunciare ai propri sogni.
Vittima di genitori che apparentemente la proteggono e la tutelano, ma che in realtà non smettono un istante di recitare il loro ruolo.
Ecco che l’ultima vita diviene davvero un piccolo gioiello, un capolavoro a parer mio (e sembra non solo a parer mio) ingiustamente sottovalutato.
Il testo scorre, ha un ritmo che si può definire quasi adrenalinico ma che invece appare uno strano mix: parla di male, di odio e di rancore, ma non lesina istanti di nostalgica poeticità.
Perché alla fine tutti perdono e nessuno vince davvero.
Cosi come è nella vita di ogni giorno.
Cosi come in fondo un sistema cosi complessa come la vita deve poterci garantire, alternanza tra ideali alti che si infrangono nella necessità dell’organismo di sopravvivere.
In amore che diviene una gabbia da cui non si può più scappare.
Da un successo che è soltanto una ricerca disperata del proprio io perduto tra le luci di una città fatta di chimere.
Di bontà che diventa crudeltà e di crudeltà che contiene in se sprazzi di meraviglia.
Racconta di pregiudizi, di reietti che disturbano l’immagine ideale che ogni città ha di se stessa.
E che servono per poter distruggere le proprie idiosincrasie in una sorta di olocausto salvifico.
Racconta la vita, quella che conosciamo già, quella che tutti noi sfioriamo con mano.
E racconta che per potersi conoscere, per potersi vedere non basta certo pronunciare un nome o osservare ogni linea del volto.
Occorre andare oltre persino i propri limiti.
Occorre la compassione.
1Jon Bon Jovi – Staring At Your Window With A Suitcase In My Hand