
Cosa posso mai dire della penna di Anna Maria Lella?
Poco, pochissimo.
Ed è il primo indizio che fa comprendere a te mio lettore, come ci si trovi di fronte a uno stile maturo, raffinato e complesso.
E quindi la mai anima e il mio senso estetico, gongolano.
Meno le mie dita nervose, desiderose di imprimere il loro passaggio sui tasti. Perché lo sapete oramai, quando un libro è bello è molto difficile descriverlo.
Le mie sono parole al vento, sono solo illazioni e abili e pomposi giri pindarici di una che tenta di dilettarsi con la prosa.
Dovete leggerlo, per comprenderne la bellezza, assaporarlo e viverlo.
Ma, ahimè, questo mi si richiede, quindi chiedo venia alla giovane Holden edizioni se le mie misere parole non saranno all’altezza del testo, ma giuro non è mia responsabilità.
Perché è più facile criticare un testo che raccontarne la meraviglia.
Iniziamo dunque, siete pronti?
Innanzitutto definiamo il campo della nostra analisi: ci si trova di fronte a un thriller che si veste di noir ingannando un po’ il lettore, poiché all’interno si trovano riflessioni profonde che indagano con riflessioni affatto scontate il vero protagonista dell’oscurità dell’anima: il male.
Inutile dirlo e girarci attorno.
Se non fossimo curiosi e spaventati dalla sua tangibile presenza, non ci immergeremmo nelle oscurità profonde e ctonie di questo orribile difetto congenito.
Il male ha mille volti e tante sfaccettature.
E’ stato definito, messo all’angolo, analizzato con i più arditi e fantascientifici mezzi a nostra disposizione.
Eppure è troppo furbo, tropo smaliziato per poter essere messo in catene.
E cosi ci confonde, ci inganna e ci propone un’immagine di se affatto reale.
Il male non ha palchi imponenti di corna, ne difetti genetici posti in rilievo sul volto.
Non ha crani pronunciati o bozzi cosi come la fisiognomica proponeva.
Il male non è riconoscibile e a volte si ammanta di ideali incorruttibili e si insinua nelle cesure del nostro io, in quei luoghi oscuri che rimangono scoperti dalla politica, dalla legge e dalla ragione.
Vive nel sottobosco e prolifica come un abile insetto dai colori stravaganti.
E ci inganna con l’apparente fragilità dei suoi acquosi occhi.
E ci conquista.
E una volta fissato il suo sguardo nei nostri occhi cambia fisionomia e vediamo guizzare come fiamme, l’abisso.
E credetemi una volta che quelle strane foschie ingombrano la nostra mente, siamo in suo potere.
Ci sussurra pensieri scabrosi, lascivi o peggio pensieri di rivalsa in cui il concetto portante è una sorta di rivalsa contro l’ingiustizia di un mondo che smette di indossare la maschera della misericordia.
E si fissa soltanto sulla colonna del rigore.
E slegano entrambi quei doni, rendendoli nemici, concorrenti e distinti ha creato la scala verso il caso.
Ed è un caos diverso da quello del primo nulla, da cui è emerso il mondo.
E’ dispotico, è crudele è distruttivo.
Da questo disordine nulla nasce ma tutto viene distrutto, macinato dalla rabbia, dal rancore e dall’inconsapevolezza divenuta arma.
E siamo tutti soggetti all’oscurità dell’anima.
Anche chi si sente intoccabile.
E cosi creando una tela di ragno vischiosa, da cui è quasi impossibile fuggire, la Lella inizia a sedurci con l’abilità di una penna che risulta matura, smaliziata e al tempo stesso poetica.
E il libro conquista.
Penetra nel profondo e scava.
Scava senza sosta.
E se riesce a creare abisso o paradiso, se riesce a riunire la colonna del rigore alla bellezza della misericordia, beh dipende da voi.
Sarete voi a descrivere, con il sangue che gronderà dalla vostra anima, il vero finale.
A me non resta che inchinarmi davanti a tanta beltà e a ringraziare quella musa che dal cielo sorride benevola.
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