Review tour “I bambini silenziosi” di Patricia Gibney, Newton Compton. A cura di Alessandra Micheli

Non è un libro facile da raccontare.

Certo potrei allietarvi parlando dello stile, della trama ben congegnata.

Di quella capacità capacità tunica (il vero elemento chiave di ogni libro che si rispetti) di lasciare il lettore incollato alle pagine.

Quella solitudine che ci avvolge alla fine della lettura.

Potrei, insomma, fare il blogger come si deve e semplicemente parlarvi della meraviglia del libro scritto bene.

Ma io non sono normale.

O meglio esulo e ci sto scomoda negli schemi e nel consueto.

Sto a disagio nei ruoli prestabiliti, dietro agli alibi dell’abitudine.

E, sopratutto, credo che un libro sia qualcosa di più di un insieme di codici e di regole della narratologia.

Una religione che ha preso il posto lasciato vacante da un sacro che è marcito sotto i nostri occhi.

Ecco la Gibney ha scritto qualcosa di più di cosa appare agli occhi del lettore esperto e attento.

Ma che si manifesta di fronte a colui che, lasciando dietro di se il ruolo, diventa semplicemente umano.

I bambini silenziosi in realtà lanciano un grido.

Un sussurro oserei dire che si perde nella società abituata alla cacofonia dei rumori di sottofondo.

Creati ad hoc proprio per non udirlo quel richiamo sussurrato.

In una città in piena crisi e non solo economica ma esistenziale, dove il vivere lascia fatalmente il posto al sopravvivere è la purezza a uscirne livida e pesta, con le ferite aperte e infette.

Ed è quell’infezione che sembra propagarsi dappertutto, un po’ come se quel dolore non avesse nulla di nobile, di dignitoso, di..umano.

I bambini silenziosi raccontano si il declino, ma un declino diverso da quello normale a cui molti imperi, molte società e molte cultura hanno recitato.

Quello è dovuto a una legge ben individuata da Vico, i corsi e ricorsi storici.

E in questa crescita a spirale è normale se non necessario distruggere per ricostruire.

Ogni epoca ha dovuto abbattere ogni convenzione e ogni credenza per proporla in una veste nuova.

Cosi aspirando a raggiungere un cielo che sembrava sempre un po’ più vicino. Finché..conquistato tutto non abbiamo avuto più nulla da desiderare.

Nè sogni da realizzare.

Solo abitudine e invasa dallo spleen.

Dalla fragilità che sembrava avere zanne acuminate e sporche di sangue.

E affamate.

Cosi affamate da dover per forza addentare qualcosa.

Per poter adempiere al loro ruolo.

Nessuno ha mai pensato a proporre davvero un alternativa.

E cosi quella famelica fame si è rivoltata non contro una società che, in fondo non esisteva.

Non una comunità in crisi da anni, una cittadinanza svuotata del prprio significato.

Solidarietà uccisa in nome della libertà assoluta e di diritti usati come mazze chiodate contro il concetto di popolo.

E sapete come questo popolo presuppone una sorta di condivisione di un elemento importantissimo il bene comune.

Il bene comune era il futuro e il passato.

Era l’immaginazione e il fecondo trascorrere delle ere.

Erano bambini, donne e anziani.

Coloro che in questa decadenza mostravano chiaramente alla società morente ogni difetto.

E allora abbiamo iniziato a lasciare che la guerra continuasse.

Non contro un nemico esterno.

Non contro un ideale sballato, non contro l’anomalia del pensiero disgregatorio. Ma contro le stesse parti del tutto.

E cosi la Gibney mette in un thriller questo odio dell’altro, contro di se.

Questa incapacità di empatia.

Questo male che scorre nel sottosuolo di ogni comunità proba e persino di noi stessi.

Una follia che tenta di ripagare il torto di un peccato che come una spada di Damocle oscilla sulle nostre testa.

E i bambini silenziosi sono, per ironia della sorte quel grido che costantemente ci rinfaccia a nostra incapacità.

A progredire.

A difendere.

A salvarci.

E allora capirete come non è proprio possibile parlare di questo libro in modo normale, asettico e professionale.

Però vi assicuro che se da questo immobile torpore questo libro i farà incazzare, allora per noi, sottolineo per noi, esiste ancora una speranza.

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