
Ho avuto il piacere di conoscere la Ephrikrian attraverso film indimenticabili, che mi sono cari non solo perché mi ricordano la mia fanciullezza quanto per il fatto che condividevo risate e emozioni con la mia mamma.
Canzoni come perdono, o come in ginocchio da te mi aprivano un mondo, quello del romanticismo a tratti smielato e dei buoni sentimenti.
Ed è grazie a quella volontà di vedere non solo il nero nel mondo ma anche la sua parte luminosa che il mio idealismo si è sviluppato.
Come dire d’accordo che il lieto fine è dolo dei film ma tutto noi, equamente abbiamo il diritto di sognarlo e di cercalo.
E di pretenderlo sopratutto.
Alla faccia della nostra intellettuale e sciocca propensione al nichilismo e al pessimismo cosmico.
Noi siamo e dobbiamo essere lieto fine, per noi stessi, per l’amore che ci portiamo e per chi ci ha reso umano, persone e cittadini.
Lo dobbiamo alle difficoltà che hanno avuto i nostri genitori, i nostri nonni, e i nostri antenati nel ritagliare per tutti un posto speciale in questo assurdo e strampalato cosmo.
Ecco che quei film mi raccontavano se non la vita come viene davvero vissuta, almeno una percezione diversa, in cui i torti venivamo riparati e le situazioni raddrizzate.
E in quella sorta di inno di vittoria canoro c’era lei, una fata dai grandi occhi, dal viso dolce eppure scolpito nella pietra, viso che raccontava non solo una storia ma mille.
Cesellato da mani particolarmente amorevoli capaci di imprimere non solo la bellezza estetica ma un orgoglio speciale e un sognante richiamo all’arte.
Nel viso di Laura c’era un intero mondo.
C’era un messaggio che sembrava antico cosi come antichi apparivano quegli occhi che attraversavano saggezze millenarie.
Chi era quella donna?
Solo una fatina?
Un personaggio televisivo?
Un attrice?
O una musa che racchiudeva dentro di se il senso di quel nostro cercare in modo quasi ossessivo le bellezza?
E quel cognome difficile persino da pronunciare, come una parola magica che poteva aprire un portale su un altra percezione e che richiamava un senso quasi sacrale di famiglia, di etica e perché no di atteggiamento verso l’universo e il mondo.
Ecco che in quel cognome, noi oggi, possiamo ritrovare non solo un artista ma una storia che affonda le sue radici molto lontano.
In un posto chiamato Armenia.
In un periodo che davvero si aggrappava con gli artigli alla bellezza come ancora per galleggiare in un mare di dolore.
Laura è il prodotto della sua storia famigliare che quà racconta per i suoi figli, per i suoi nipoti, in omaggio a chi le ha insegnato il passo lieve di danza con cui ha attraversato questo mondo distorto e strambo.
E solo leggendo questo libro ho potuto comprendere perché quegli occhi mi sembravano, da bimba, immensi pozzi di una saggezza antica, una di quelle che ci appartengono di diritto con quel carico rivoluzionario capace di sconvolgere il nostro status quo, più di mille bombe, di mille battaglie, di mille slogan.
E oggi lei mi appare non più una fata ma la musa che spero ispiri ogni mio passo, verso un mondo in cui è la libertà a cantare con voce tonate.
Una famiglia armena è un omaggio a tutti voi, a voi che vi chiedete da eoni il significato profondo di ogni scelta che abbraccia quella colonna irta di spine e rose chiamata arte.