“L’orco di Mussolini” di Marco di Tillo, Mursia editore. A cura di Alessandra Micheli

A quale divinità devo rivolgere il mio sentito grazie, per le meraviglie letterarie che mi capitano?

Alle muse greche?

Alla Dea Athena?

O alla Sita indiana?

Perché or ora, mentre mi accingo a sporcare indegnamente il foglio con un inchiostro che tenta, invano ne sono consapevole, con le emozioni e le sensazioni che mi ha donato di Tillo, sono dotata di incenso e mirra, di olibano e di ogni sacro effluvio per ingraziarmi ancora quelle lontane e maestose divinità assise sul trono.

Perché questo libro in particolare, ha il sapore raro della letteratura con la lettera maiuscola e circonfusa di luce stellare, capace di coniugare una trama ben articolata, l’ethos di un tempo neanche tanto lontano, irrorato di eventi che conosciamo bene ma che qua trovano la loro più completa espressione di un sottile senso di rivalsa per una storia che sembra condannare le vittime in un oscuro anonimato senza fine relegando i colpevoli nel pantheon del mito.

Un mito tetro, osceno e orribile, quello riservato agli uomini richiamati dalle tenebre e etichettati come mostri.

L’orco di Mussolini affronta, con una classe assoluta ma con la forza che ogni evento luttuoso e blasfemo deve avere, il tema per noi più ostico, quello indigesto, quello ancoraggi che abbiamo sdoganato e purificato ogni trasgressione e ogni ossessione come anelito alla libertà.

Ancora ci provoca, (e per fortuna!) repulsione e disgusto.

La pedofilia.

Quel crimine che non possiamo nominare e che diventa uno spauracchio dagli occhi di brace, il male incarnato che succhia energie alla purezza, all’innocenza a quello di più nobile che resta di una società sempre meno comunità e sempre più persa verso chimere irraggiungibili.

Città come agglomerati atti non a contribuire come direbbe il buon Rosseau alla volontà generale che richiede l’attenzione alla cosa comune, ma a interessi particolari nati per sopperire una mancanza, titillare il proprio ego e raggiungere scopi di compensazione emozionale.

Chi diventa potente, influente, chi si aggira tronfio come un tacchino con l’onorificenza di turno, lo fa per sentirsi vivo, per non essere solo uno sbiadito nome sul foglio del tempo

E quale miglior palcoscenico del ventennio?

Nessuno miei lettori.

In quell’attimo in cui la cesura tra la volontà generale e lo stato si faceva più profonda, si innesca il crimine più inaccettabile, mischiato a rigurgiti di estrema ribellione contro l’assopimento della coscienza.

Un potere popolare delegato all’autarchia, in un estremo tentativo di salvare il consueto dai colpi frementi di un futuro che richiedeva attenzione.

E forse cambiamento.

Sullo scenario di un fascismo che si sentiva potente, il vate chiamato a decidere le sorti di un Italia che da sempre stentava a sentirsi stato, L’Orco viaggiava indisturbato.

Godendo in un certo senso della sua intoccabilità, della protezione delle alte gerarchie e della povertà estreme di un mondo che si era scordato, da tempo, i fasti di un passato di dignità e orgoglio.

Un mondo che aveva chinato la testa davanti alla legge del più forte.

Una ex comunità che non poteva più proteggere le proprie giovani risorse.

E una giustizia che si dibatteva, invano come una farfalla in trappolata, tra le mani della politica vista, oramai, non più come sacra missione ma come mestiere.

Come compromesso, come intrigo e non più come servizio.

L’orco seppur si presenta come un mirabile thriller dalle sfumature gialle, misto al tocco tragico e malinconico del noir, è il racconto lucido, doloroso di un periodo che ci appartiene, ancora, senza aver avuto la possibilità di donarci il suo insegnamento, per poter riposare tra i petali dell’intricato forze dall’esistenza umana.

Quel petalo, quel tassello ci sfugge.

Ci sfuggono i perché di questa resa.

Ci sfugge il motivo di tanti silenzi, persino attorno a un omicidio politico che sarà il calco su cui creare ulteriori orrori.

Ci sfugge persino la risoluzione pacifica del caso, la rivendicazione dei torti, perché le vittime erano “colpevoli” di esserlo in un periodo in cui la conquista di un futile potere, era più importante persino della sicurezza del proprio popolo. E cosi l’Italia, la Roma dei fasti diviene teatro di una commedia dell’arte affatto ironica, affatto comica ma tragica: quel dormiente stallo che ha portato la nostra patria sull’orlo di un baratro.

E che ancora lo fissa incurante del tempo che passa, delle opportunità di crescita, di un evoluzione che le ha sorriso più e più volte.

E la beffa finale avrà però una nota di amara dolcezza, sarà la narrazione protetta dalla meravigliosa Melpolene a provare a dare un’interpretazione diversa, in cui è la vita, la vera divinità omaggiata dal libro, a poter donare una fallace pace a ogni vittima.

Elegante, doloroso e al tempo stesso poetico, l’orco di Mussolini è un libro indimenticabile, attuale e potente.

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