
Leggere “Il mostro di Firenze e altri racconti”, ultimo lavoro letterario di Lodovica San Guedoro, pubblicato nel febbraio 2022 da Felix Krull Editore e candidato al Premio Strega, è stato come entrare in una stanza.
Una di quelle stanze il cui accesso, pur se aperto a chiunque, è, nei suoi angoli, godibile e penetrabile soltanto a chi ne sa cogliere la vera essenza.
Una di quelle stanze che assomigliano a chi vi risiede, nelle quali si conservano i ricordi di una vita intera con tutte le sue vicissitudini.
Se un minimo si conosce lo stile personalissimo dell’autrice, entrando in quella ipotetica stanza (ma è così anche per le altre opere di Lodovica San Guedoro, almeno per quelle che ho avuto modo di leggere), ci si rende subito conto di quanto complessa e articolata sia stata, e probabilmente sia ancora, l’esperienza di vita dell’autrice e ancor di più di come la sua interiorità di donna e scrittrice rifletta la sua vita in uno scambio continuo.
Il libro è una raccolta di ventisette brevi racconti che abbracciano un periodo temporale non ordinato: Lodovica San Guedoro spazia dai ricordi legati all’infanzia a quelli dell’adolescenza, della giovinezza e dell’età matura, in un turbinio di vivide visioni ed esperienze vissute che hanno indubbiamente segnato la sua esistenza ed essenza di donna.
Dalle memorie di una terra incantata e incantevole come la Sicilia, magistralmente descritta in passaggi di vera e propria prosa poetica, foriera di affetti eterni che vivono profondamente dentro il cuore dell’autrice, a quelle di Roma, Napoli e della Toscana.
Ricordi che a volte scorrono lievi e leggeri come voli di farfalle, altre invece si riaccendono e assalgono l’autrice in un “turbinìo incontrollabile” costringendola “a percorre i meandri della memoria come una bestia da soma braccata e senza giaciglio… “
Tutti i racconti qui contenuti hanno carattere autobiografico: Lodovica San Guedoro ripercorre alcuni episodi della sua vita ed in particolare quelli maggiormente legati alla sua essenza femminile che, quasi fosse una specie di maleficio comune ad ogni donna, è spesso vittima di attenzioni maschili più o meno gentili e garbate, per usare un eufemismo.
Il “pappagallismo” maschile e maschilista, quando non diventa vera e propria molestia sessuale conclamata, è il fil rouge che lega quasi tutti i racconti presenti nel libro.
Il sesso maschile, o meglio una sua cospicua rappresentanza, esce dalle pagine della San Guedoro con un’immagine non propriamente dignitosa.
Frutto e forse anche vittime di eredità educative, i figli maschi allevati con il culto del fallo costituiscono ancora, purtroppo, un retaggio culturale tutt’altro che superato anche in questi esordi di terzo millennio di cui siamo testimoni.
È un retaggio che sopravvive e si riproduce, come un cancro malefico, in una buona fetta di qualunque strato sociale: non si spiegherebbero altrimenti i numerosi stupri, molestie e atti di violenza nei confronti delle donne, accusate spesso di provocare il maschio gallo-cedrone.
La molestia sessuale, tema/filo conduttore del libro, se nella vita reale è pesante, inquietante, e spesso assume i connotati di una vera e propria piaga sociale, in questi racconti appare qualcosa di leggero, quasi messo lì per caso, en passant.
Attenzione però: lontana da ogni superficialità, quella della San Guedoro è piuttosto invece una denuncia.
Una denuncia dotata di quella impalpabilità ironica, di quella leggerezza tipica della scrittrice, riscontrabile in altre sue opere, non per questo meno vera e incisiva.
Anzi.
Il sorriso provocato dalla lettura è un sorriso amaro per chi sa di stare leggendo profonde verità.
La vita mi pareva più che mai un sogno, un sogno tessuto d’aria, un volteggiare di apparizioni e sparizioni, un sogno fatto di colori che si spengono. (Dolce Stil Novo III)
Il piccolo stralcio rende l’idea di quanto il filo della memoria percorra tutto il libro.
E a questo punto mi sembra necessario un chiarimento: “Dolce Stil Novo” è il titolo di ben tre racconti presenti nella raccolta, numerati progressivamente I, II e III.
Titolo indicativo di un altro dei temi trattati.
Anche se separare un tema dall’altro è improprio, in quanto l’abilità dell’autrice consiste nel far interagire e fondere i temi.
Sono tre racconti che si staccano dal Leitmotiv delle molestie sessuali, in quanto narrano, fra memorie rivissute con una forma di scrittura vicinissima alla prosa poetica, uno “Stil Novo” nell’approccio uomo-donna: non più gesti o parole più o meno pesanti, ma dolcezza e delicatezza del tutto insperate e inaspettate.
Un “Dolce Stil Novo” di stupore per la stessa autrice che, a sua volta raccontando e affabulando, incanta il lettore, trascinandolo e trasportandolo nelle sue divagazioni, mai messe lì a caso e sempre portatrici di messaggi intrinseci, spunti di riflessione e confronto fra passato e presente, fra ciò che è stato e ciò che è.
Significativo il racconto che chiude questo ciclo, a cominciare dal titolo: “Fine del Dolce Stil Novo”. Lodovica San Guedoro getta uno sguardo su un futuro, incarnato da un ragazzino che, pur “nell’innocenza” degli anni, è emblema di un atteggiamento atavico, ereditato in quanto “maschio”, cui è concesso interpellare volgarmente una sconosciuta.
E, a proposito di divagazioni, non posso non rilevare ed evidenziare nel contesto dei ventisette racconti “Finimondo nel centro del mondo”, un racconto di storia appena passata di cui molti di noi sono stati testimoni diretti, per aver vissuto quegli anni con le stesse tristi consapevolezze dell’autrice.
Lodovica San Guedoro, con ironia e lucida visione, punta la sua attenzione sul “ventennio berlusconiano” di cui sentiamo ancora gli effetti e le conseguenze.
Ventennio che ha veramente cambiato (e certamente non in meglio) mentalità, costumi e società italiana.
[…] Non riesco a immaginarmi proprio il rispetto delle donne in Italia. Intuisco, invece, un ulteriore abbrutimento dei costumi, un livello ancora più basso e brutale delle molestie, con le pupe che si offrono agli sguardi come mercanzia… […]
Come dare torto e non ammirare Lodovica San Guedoro per quanto scrive?
O ancora:
[…] Quel cinico ottimismo, quella sfrenata spregiudicatezza, quella scellerata avidità senza scrupoli e quel mandrillismo rivoltante che, sotto la sua repubblica delle banane, avrebbero fatto passi da gigante e vissuto un’apoteosi, erano stati preparati a dovere: come il contadino prepara il terreno per la semina, così Berlusconi aveva fatto con l’anima italiana. [...]
Quanta lucida visuale c’è in questo passaggio del racconto!
Noi c’eravamo e abbiamo subito le conseguenze in quanto donne: conseguenze che ancora in parte subiamo in svariati modi.
Questo libro non è quindi soltanto una raccolta di racconti sul filo incantato ed incantevole della memoria e delle molestie subite da Lodovica San Guedoro: è denuncia, è lucida interpretazione di una società a guida maschile e maschilista che ancora stenta ad evolversi.
Il titolo dell’intera raccolta è quindi emblematico di una mostruosità che ancora relega la figura femminile al subalterno ruolo di “oggetto del piacere”.
Mentalità che ancora la violenta, la mutila, la deturpa e la uccide.
Proprio come il famigerato mostro di Firenze, presente seppur in maniera quasi camuffata nella raccolta, che ha riempito le pagine di cronaca nera qualche decennio fa: quel mostro procedeva nello stesso modo con le sue occasionali vittime.
All’inizio di questa recensione ho paragonato il libro di Lodovica San Guedoro ad una stanza, una stanza in cui mi sono addentrata, e posso dire di aver visto fra i ricordi e le mille cose racchiuse in essa, l’anima di una scrittrice multisfaccettata e attenta, intelligente ed ironica, analitica e precisa, con una scrittura densa di memoria e dolcezza senza retorica.
Una stanza densa di vita vissuta e di poesia.