“Cronache non umane” di Joey Tree. A cura di Alessandra Micheli

Quando mi è stato proposto di leggere questo libro, ammetto di aver provato un certo scetticismo.

Uno non è facile, oggi, trovare una vera distopia.

Tutto è catalogato in questo modo, ma serve più che altro come specchietto per le allodole, atto ad attrarre gli appassionati come me.

Peccato che, nello sfogliare il testo non troviamo ciò che davvero cerchiamo in un siffatto libro.

Secondo, Joey è una donna.

E ammetto a mio malgrado che la fantascienza è e resta un ambito esclusivamente maschile.

Tanto da essere io stessa, con questo atroce pregiudizio, rassegnata a tale dominio.

Ma per fortuna la mia innata curiosità di lettrice mi ha spunto a sfogliare queste strane pagine, con quel titolo cosi evocativo cronache non umane.

E ragazzi miei, qua davanti ci troviamo di fronte e due piccoli, rari gioielli, capolavori del genere che renderebbero felice il buon Asimov e il mio adorato Dick.

Joey con una scrittura aggraziata e al tempo stesso agghiacciante riesce a delinear perfettamente quelle società che tanto temiamo, pertiche cosi vicina a noi.

E conquista.

Rapisce e fa spuntare un sorriso, seppur ci troviamo di fronte a una narratrice esperta della claustrofobia insita in una certa sfumatura della fantascienza.

E qua permettetemi una piccola ma necessaria disquisizione sul genere.

Cosa significa davvero distopia?

Letteralmente è la distorsione di ogni valore, di ogni ideale progredito e progressista portando all’estremo ogni nostra paura.

E’ una società negativa, tutto il contrario della meravigliosa favola dell’utopia e dell’età dell’oro.

Ci troviamo in un ambiente cupo, oscuro, chiuso, soffocante dove i diritti umani, la fantasia vengono schiacciati dalla sopraffazione tecnologia o ideologica.

O spesso un oscuro mix di entrambe.

Fatto sta che nelle società distopiche non esiste affatto libertà.

Esistono burattini comandati da una misteriosa volontà che possiamo definire come grande Burattinaio.

O grande fratello.

Insomma siamo agli estremi di un pericolo che è reale e ravvisato nella paura del futuro, nella volontà di opporsi al progresso e all’evoluzione in un ritorno romanticizzato di un passato che deve restare l’unica salvezza per un mondo allo sfarcelo.

Nella distopia si esagerano i vizi e le idiosincrasie presenti nella nostra di società, come monito affinché esse possano venire affrontate e mai usate come scudo per proteggerci dalla verità.

Cosi la conoscenza è pericolosa perché ci porta a liberarci di ogni tradizione e di ogni potere.

La tecnologia diventa non più mezzo per alleviare la fatica di una vita ma prospettiva dittatoriale di una tecnocrazia che fagocita l’anima.

Nel caso della Tre il nostro continuo abbracciare la perfezione porta a immaginare un mondo in cui l’essere umano diventa mero prodotto.

E un prodotto deve poter essere funzionale a ogni esigenza e deve essere possibile affibbiare a esso un punteggio.

Ed è da quella somma che esula dall’interiorità, dai talenti, dall’anima stessa che si possono trarre benefici e vantaggi.

O al contrario qualora non raggiunga una adeguato indice di gradimento verrà semplicemente…distrutto.

Il prodotto difettoso, quello che non soddisfa l’esigenza del cliente non è altro che spazzatura.

E noi oggi siamo proprio vittime di quel diktat dei numeri.

Pensate ai social.

Tu riesci a apparire qualora i tuoi insight raggiungano definizioni prestabilite.

In quel caso sali nell’asticella della visibilità e..semplicemente esisti.

Lo vediamo adesso con l’avvento degli influencer che detengono le chiavi di uno strano potere grazie non giammai a doti particolari, artistiche o intellettuali ma a numeri predefiniti.

Lo vediamo con i post sui social che vanno analizzati secondo le interazioni, secondo elaborati grafici, secondo il numero dei like.

Siamo solo numeri.

E se non raggiungiamo l’ottimale livello di gradimento, siamo solo rifiuti. E questo comporta anche la cura maniacale dell’apparenza.

Filtri, pulizia del volto, aggiustamenti estetici per farci essere sempre meno ,umani e sempre più illusori.

E allora le cronache non umane raccontano proprio di questo.

Di quell’estremo che non è più un difetto in una società che ci perde, non l’eccezione che si presenta come una macchia purulente sulla regola.

Ma la regola stessa.

Joey dipinge quello che potrebbe essere se insistiamo a considerarci, tutti prodotti commerciali.

A evitare la propria anima per salite sempre più in alto nella gerarchia sociale. Sempre più eccellenti, ma sempre meno umani.

I suoi due personaggi non accettano del tutto queste assurde leggi.

Si ribellano o ci provano.

Eppure lottano, anche se forse invano contro un sistema legittimato da tanti, troppi consensi.

Ecco il vero senso della distopia.

E’ protesta.

E’ canto di resistenza.

E’ ribellione.

E insegnamento.

E diamine ragazzi miei Joey lo ha capito.

E oggi, mentre scrivo queste misere parole, posso affermarlo con certezza: nel panorama della fantascienza sta nascendo una nuova brillante stella.

Tenetela d’occhio mi raccomando.

Io lo farò.

Anzi La costringerò a donarci altre, meravigliose, favole oscure.

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