
Noi consideriamo la storia quella spirale creata dai grandi eventi.
Rivoluzioni, guerre, deposizioni, conquiste e quelle scelte che determinano la forma e l’ethos della nostra società.
La storia è quindi nei magistrali avvenimenti che anche oggi lasciano strascichi nella nostra vita.
Come la seconda guerra mondiale ad esempio.
O addirittura la rivoluzione francese da cui dipende tutto il corso di quella storia che conosciamo oggi, quella che ha dato lustro a quel popolo non più dotato di bende per gli occhi, ma di una sorta di autorità chiamata sovranità oggi contesa e vilipesa dai nostri pavidi governanti.
E cosi si studiamo le conseguenze delle decisioni prese da monarchi, conquistatori, folli e diplomatici.
Si parla di altisonanti personalità i cui nomi riecheggiano nelle vie e nelle piazza sotto i nostri occhi pigri.
Eppure…
Per quanto l’evento abbia la sua rilevanza spesso scordiamo che a fare la storia, quella vera, quella che cambia il volto della cultura non è certo il grande nome. Ma colui che subisce o asseconda quella scelta, quel lampo di genio e quella pazzia.
Storia siamo noi.
Non è certo un Cavour o un Rousseau.
La storia la fa il popolo, colui che determina con i suoi movimenti e persino con la sua stasi la forma di uno stato quella strana ombra chiamata cultura.
E’ il popolo che crea la cultura.
E’ il popolo che diventa l’esempio delle conseguenze di ogni bivio.
Siamo noi a fare la storia.
Gli eventi divengono eventi perché si intrecciano con i destini di piccoli personaggi, quasi la margine dei grandi studi.
Non è certo la rivoluzione francese a essere importante.
Ma fu l’impatto che le nuove idee ebbero sullo strato meno abbiente della società.
Non è la rivoluzione russa a doverci interessare, ma le conseguenze che si riverberarono su contadini, operai e interi strati sociali.
Anche quelli delle gerarchie meno interessanti, dei poveri, degli ultimi, dei disperati.
E’ quella congregazione di anime che scrive i fatti quelli veri.
E’ nelle pieghe di quei grandi gesti che le conseguenze si annidano e sbocciano all’improvviso levigando come acqua la pietra dura delle ere.
E cosi imperi nascono e muoiono, sotto lo sguardo di chi in fondo li osserva e non si accorge che l’atto stesso di osservare la loro forma consistenza e vita. Come farfalle siamo.
Attratte dalla luce di una candela, consapevoli di bruciare le proprie ali davanti a quella seduzione.
Ma consci, in una parte privata e oscura del proprio io che è quel bruciare che da vita alla catena di eventi chiamato storia.
Ecco che siamo come farfalla nasce all’ombra di questa magnificenza.
Famiglie che sono trascinate da ogni scelta, nefasta a volte, da ogni linea che raggrinzisce questo tempo e non lo rende mai più davvero lineare.
Ed è questo che ci affascina che rende il libro di una seduzione quasi diabolica, quella consapevolezza cantata da Francesco De Gregori che riassume perfettamente tutto il senso del libro
La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi,
siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da raccontare.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi,
siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere
e tutto da perdere.
E poi la gente (perché è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quando ho avuto tra le mani il libro di Lisa ho subito sentito nelle mie orecchie queste parole che hanno accompagnato i miei anni di studi.
Dove era racchiuso il vero fascino di quella disciplina amata, odiata ma mia davvero ignorata: il segreto per conoscere noi stessi.
Per guardarmi allo specchio e non sentirmi sola, perché dietro i miei occhi, troppo scuri a volta e adombrati di un po’ di paura per il futuro, esistevano mille altri occhi simili ai miei.
Mille altre voci che come un coro di altri tempi intonavano una strana canzone. E arrivava da lontano, dall’alba dei tempi, quando in caverne oscure qualcuno immagino la civiltà.
E ebbe il bisogno di metterla per iscritto, di lasciare un impronta di se.
Come quelle mani sulla grotta di Altamura quasi a testimoniare IO sono, ci sono, sono passato e qualcosa di me resterà.
Magari nel DNA in riti oggi eseguiti quasi con noia, in frasi, in gesti scaramantici.
E forse questo mio bisogno di ritrovarmi, di raccogliere i fili di questo telaio sfilacciato sono le stesse ansie di Lisa.
Che ha avuto la forza di sbrogliare la matassa, di raccontarcela e di immortalare non soltanto la storia, una famiglia ma ogni percorso umano.
Che cammina in punta di piedi in questo sentiero acciottolato, con la paura di ferirsi le piante dei piedi.
E siamo come farfalle.
Evanescenti, capaci di cantare e volare in un giorno solo.
Ma di una bellezza abbagliante.
Cosi come sono tutte quelle storia raccontate dalla voce della nostra Lisa.
Una Voce impossibile da ignorare, una voce che in fondo sembra di conoscere perché è qualcosa che si agita nel profondo di ognuno.
E cosi un libro diviene uno scrigno di segreti, ricordi e perché no insegnamenti. Di quanto siamo stati modellati dalle perdite, dalle rinunce e dall’impossibilità di alzare fieri lo sguardo.
Di quanto la condizione della donna e del lavoratore è migliorata.
E quanto dobbiamo ogni conquista in un passato lontano che disprezziamo, che lasciamo marcire nell’indifferenza.
La storia siamo noi.
Noi che restiamo comunque eterni perché sono i gesti, sono le passioni a nutrire l’ethos di ogni tempo e lo spiriti di ogni luogo.
E dopo aver sfogliato l’ultima meravigliosa pagina sappiamo che l’avventura non è ancora finita.
E sopratutto dobbiamo scrivere con rinnovata passione queste parole e firmare un nuovo patto con il tempo
E le libertà che aveteMica c’erano a quei tempi
Noi ci siamo fatti il culo
Tocca a voi stringere i denti
Roberto Vecchioni
Un grazie vivissimo. Lisa
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