“Al posto tuo” di Tiziana Irosa e Vincenzo Romano. A cura di Alessandra Micheli

Quando tutto diventa buio Vincenzo c’è.

Potrei intitolare cosi questa mia recensione non trovate?

Penso sia un titolo favoloso.

E del resto il Romano, cosi come lo chiamo io ha una dota davvero rara: fa ridere di cuore.

Ma non perché si impegni, o voglia fare per forza il guascone.

Ma gli viene spontaneo perché forse appartiene davvero al suo cuore.

E non solo.

Quella è la risata più preziosa di tutte perché non è solo divertimento o momento di evasione.

Nel ridere, ridere di gusto c’è una dolcezza inconsueta.

Quella capacità di cogliere in modo affatto cattivo (a differenza della sottoscritta) il lato fragile, assurdo, ridicolo di ogni persona c’è tanta compassione.

C’è la benevolenza di qualcuno che le imperfezioni le ama e che sa che in fondo anche cosi goffi come albatros presi di mira da marinai crudeli, l’uomo ha la sua meraviglia.

E che il ridere con lui sarà sempre diverso dal ridere di lui.

E ragazzi miei questo è un dono grande, importante e soprattutto mi fa ben sperare perché Romano ci darà generazioni nuove miglior di noi raggrinziti vecchi stolti.

Ma questo però non è il libro solo di Romano.

Assolutamente no.

E’ anche quello di un’autrice che non ho mia letto ma che mi ha emozionata.

Che ha la dolcezza ma allo stesso tempo la grinta e la sicurezza di mettere in mostra la realtà com’è e non come la percepiamo noi.

Perché questo non significa certo banalizzare i rapporti, i sentimenti o le persona.

Tutt’altro.

Significa amarlo davvero questo strano essere e esserne al tempo stesso cosi orgoglioso da non temere nulla, da non aver bisogno di addolcire, fare colte riflessioni agiografiche o chissà quelli slogan ideologici.

Che mi stanno sulle gonadi che non possiedo.

Ecco che da un incontro tra due personalità dirompenti nasce al posto tuo.

Topos antico, tema abbastanza usato nella letteratura e sopratutto apparentemente cosi utilizzato da autori scrittori e registi da sembrare oramai incapace di dire qualcosa di sensato, l’archetipo dello scambio perfettamente sintetizzato nel meraviglioso proverbio indiano:

se vuoi conoscere veramente qualcuno, cammina una giornata nelle sue scarpe.

E per me questa frase cosi come il suo archetipo letterario deve continuare a parlare, anzi a gridare.

E sapete perché?

Perché ha ancora, purtroppo, tanto da dire.

E oggi serve una voce priva di ideologie e di schieramenti, che sia privo di una volontà post moderna di idealizzare qualcosa, di portare acqua al proprio mulino e da privare ogni elemento di una sua realtà e umanità.

Diciamocelo.

Persino il femminismo oggi ha perso la sua necessaria carica originaria che era prettamente politica.

Il femminismo nasce per poter assicurare alle donne diritti di cui erano inesorabilmente private.

E per poterlo fare serviva una base ontologica che si contrapponesse alla motivazione di fondo del no.

Che era molto semplice.

Donna non era uno status ma una questione biologica.

E che non comprometteva affatto il suo posto nella compagine sociale.

Da li si è andato sempre più oltre fino a teoria di supremazia di un sesso sull’altro.

E oggi si assiste di nuovo a questa recrudescenza da stadio.

Tutti siamo etichettati soltanto che a differenza del passato, noi quelle etichette le sfoggiamo con orgoglio.

Ci piacciono tanto.

Non tentiamo di toglierle per essere definiti soltanto appartenenti alla “Razza” umana.

Dobbiamo definirci costantemente e recintare qualcosa che necessariamente va oltre e tutto respinge e tutto comprende, come l‘anima con la dittatura del concetto.

Oggi siamo solo mappa e poco territorio.

Questo vale anche per l’arduo incontro scontro uomo e donna.

Ognuno arenato come in una una partita di risiko sulle propizie posizioni, con le rivendicazioni, e colpe, le certezze, i disagi e le convinzioni.

Ma nessuno capace di compassione.

E sapete cosa significa compassione?

Beh è il sentire su se stessi ogni esperienza dell’altro come se fosse la tua.

E cosi Romano e Tiziana decidono di spogliarsi (metaforicamente) di se stessi e iniziare a mettersi uno nei panni dell’altro.

Con semplicità.

Con un pizzico di necessaria follia.

Con divertimento e con l’occhio sgamato di chi sa che il cliché portato all’estremo si chiama stereotipo.

E ci giocano con questi cliché eccome se ci giocano.

E ognuno porta un pò di se nella storia.

Fino a comprendere che…siamo un po’ tutti dannatamente soli dietro alle maschere che indossiamo.

Siamo tutti impegnati a recitare cosi bene che spesso il ruolo si sovrappone alla persona.

Fino a scordarci di esserlo.

Persone intendo.

Fino a scontrarci quando…in fondo siamo tutte vittime di quel concetto che sempre preferire un sesso all’altro.

Che sembra che una vita sia più facile dell’altra.

Che sembra quasi che uno sia privilegiato.

Ma come si può essere i prescelti se non si è capaci semplicemente di esprimere se stessi?

Con un pianto, con un urlo liberatorio, con un abbraccio o con un sospiro.

Al posto tuo è un libro che fa ridere.

Ma ridere di cuore.

Ma il bello non è quello.

E’ che dietro la risata, una piccola lacrima di tristezza scende e tocca i personaggi.

Come a dissetarli.

Ed è in quel momento che la vera magia si compie.

E una volta chiuso il libro saremo meno convinti, meno irascibili, meno incazzati con l’altra parte della luna e forse più disposti a semplicemente ascoltarci. Complimenti Tiziana.

E grazie Romano per essere come sei.

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