Il fantasma Travaglini” di Luigi Micucci, Bre editore. A cura di Alessandra Micheli

Quando ho chiesto il libro per potermi, finalmente, fare due risate in questo grigio e sfigato settembre, l’ufficio stampa della Bre, l’aitante Aiolfi, mi ha mandato con una mail grondante di stupore “ ma ora dall’horror sei passata all’umoristico?”.

Ebbene si miei adorati lettori.

Tra mille difficoltà date da un ritorno affiato piacevole dalle vacanze, tra mille impegni, tra varie sensazioni di un volto malevolo, chiamato sfortuna che mi occhieggiava famelico avevo bisogno di ridere.

Non il mio solito ghigno, ma una di quelle liberatorie risate che potessero colorare benevolmente quell’oggi troppo in salita.

Perché di ghigni ne avevo fino sopra i capelli e per quanto amassi la compagnia degli Sogghot di turno ero davvero pronta a abbracciare un volto meno rigido e più soave.

E cosi la letteratura umoristica mi è sembrato un giusto compromesso tra una voglia quassi sbarazzina di affrontare il mio reale e il bisogno che mi appartiene di indagare l’animo umano.

Magari con un occhio meno di brace, meno feroce e più leggiadro.

E cosi il fantasma Travaglini mi ha letteralmente chiamato.

Eh si.

Nonostante sia privo di zombie e di orridi grandi antichi l’ho amato.

Perché il nostro valente autore, il buon Micucci ha uno stile che affascina cattura che apparentemente può sembrare semplice e immediato, ma che in realtà è elegante, soffuso di una vena dolcemente satirica e soprattutto capace di affondare la sua elegante lama nel costato di una società piena di vizi e a volte scarna di virtù.

E cosi i personaggi che animano questa provincia sono variegati, buffi quasi caricature ma senza che questa consapevolezza li marchi come feccia dell’umanità.

A volte, anzi troppo spesso l’ironia è crudele e senza scampo.

Sezione e non perdona.

Mette alla berlina e non ha compassione di questo fragile uomo.

Diventa pomposamente arrogante nel definire, grazie a questo certosino lavoro di vivisezione il bene dal male, l’etico dal perverso.

Come se fosse davvero semplice schematizzare l’umanità in stupidi e intelligenti, in evoluti e involuti.

Non è affatto cosi e non voglio assolutamente che voi lettori vi nutriate di libri con quel cipiglio di cinismo da salotto.

Non sopporterò che chi entra a con passo titubante in questo mondo di fantasia che è les fleurs du mal, viva in una bolla di biasimo costante, di ferocia letteraria, di irridente scetticismo verso l’altro.

E’ vero.

Micucci ce lo fa capire.

Siamo terribilmente imperfetti.

Abbiamo sempre bisogno di dimostrare a noi stessi che siamo forti, unici, intelligenti, arguiti.

Abbiamo sogni disfatti nella bisaccia e tanto rimpianto nell’animo.

Abbiamo un domani che non è fatto di soli brillanti ma di una sottile e persistente nebbia che rende tutto caliginoso e cosi irreale.

A volte dubitiamo di ogni passo o abbiamo bisogno del vizio per sperare in un orizzonte meno nebbioso.

Ma siamo anche capaci di grandi emozioni, di passioni, di sentimenti e di solidarietà.

Ed è questo che emana l’ironia di Micucci.

Un libro dolce e irriverente, bonario e pertanto capace di strappare risate per l’assurdità folle di questo strano essere che popola la terrà.

Il libro giusto per evitare di sistemarci comodi su un olimpo di divinità, ma anche capace di scaldarci, con il tepore di un focolare da tempo perduto.

E cosi dopo la lettura, un po’ di bonario ottimismo ha bagnato le rive della mia fantasia.

Rido di me stessa, dei miei difetti mostrati senza remore nel testo, ma al tempo stesso mi sento anche fiera, di appartenere a questo mondo cosi caotico e a, tempo stesso cosi bello.

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