“Il giallo del nano della stazione” di Massimo Lugli, Newton Compton. A cura di Alessandra Micheli

Quanto amo Massimo lugli miei adorati lettori?

Ma quanto?

E’ difficile dirvelo in parole.

Vedete io ho sempre amato, fin da bambina il mestiere del giornalista.

Scrivevo piccoli articoli, mi informavo e quello che agli altri sembrava una tremenda punizione, (il dover redigere una cronaca relativa alle notizie del Tg) mi esaltava.

Lo seguivo a undici anni con la bocca aperta dallo stupore immaginando di essere li, mentre la notizia diventava storia e colorava di nuovo le ere.

Mentre incideva con l’inchiostro il divario che separa il tempo e creava non tanto la notizia quanto la nostra realtà.
E amavo sopratutto le notizie della mia regione, li in quel microcosmo che imparai a amare e temere dai libri di Pasolini.

Li in quel pianto della scavatrice di un umanità che restava ai margini e che però incideva con ferocia sulla nostra anima.

Ero informata su tutto.

Diversa dalle bambine che sognavano di fare la ballerina o la principessa.

Io sognavo il giornalismo.

Poi, con l’età qualcosa dentro si è rotto.

Mi sono scontrata con un mestiere che aveva perduto la sua anima e diventato show.

E io che invece volevo informare, volevo descrivere, raccontare e capire il mondo che mi circondava, mi sentivo di nuovo esclusa come a undici anni quando preferivo ascoltare il Tg e chiedermi il perché di ogni evento, mentre le altre volevano giocare, sognare e godersi la vita.

Cosi non sono mai diventata giornalista.

Anche se ho scritto e scrivo tuttora articoli.

Quindi capirete bene come Massimo Lugli per me rappresenti il Giornalista. Quello dei miei sogni,quello con le mani zuppe di inchiostro.

Quello che la divorava la notizia con quell’ansia di immortalarla e forse immortalarsi in un attimo eterno.

E cosi colleziono tutti i suoi libri.

Si miei amati lettori.

Ho la mia piccola e modesta biblioteca piena di ogni suo titolo.

Lo scorro con l’indice affamato quando qualcosa dentro di me rischia di rompersi davanti a tanta, troppa, banalità.

E cosi salvo il mio sogno.

Che diviene diciamo eterno proprio perché non intaccato dalla realtà.

Ma sopratutto Lugli mi parla della mia città.

Che amo cosi tanto ma da cui sono alienata da troppo tempo.

Distante dai miei ricordi di bambina.

Distante dalla sua veracità, decantata con amore e dolore persino da Renato Zero.

Gente che ha preferito le luci della ribalta e ha venduto se stessa per la macchina da presa, per le luci della sfolgorante diretta.

Gente che rivive nel bene e nel male nei suoi libri.

Storie tragiche, di disperazione che mi restituiscono una Roma feroce certo, ma forse più pura di quella che oggi fa le vere marchette.

E cosi il giallo del nano della stazione è si agghiacciante.

Ma capace di lacerarti il cuore.

Di farti riflettere su quanto, in fondo, dal fango nascono i fiori.

Grazie Lugli.
Per non aver mai tradito la professione.

Ma sopratutto, per non aver mai tradito la mia Roma.

Gente troppo complicataCosì disorientataGente, che ti è successo maiHai perduto quel tuo fascinoQuel tuo profumo tipico, il brioFurbizia ed ironiaStavi sempre alla finestraEri generosa, onestaMaestra di vita non sei più, genteCatenacci alla tua porta sìUn lucchetto sul tuo cuore lìL’amore da te non bussa piùLasciami entrare ti pregoNon tenermi fuori, noÈ così buia la vita solo mi perderòVoglio sentirti, riscoprirtiContagiarmi dei tuoi guaiAbbracciamoci daiPerdoniamoci e poi, vicini noiTi ho spiata ti ho imitataTi ho persa e ritrovataNel dolore, ti ho amata anche di più, genteAnche se hai venduto l’animaPer sentirti meno anonimaRiprenditi quel po’ di dignitàNon voglio perderti ancoraNel malessere che saiPer una sporca carrieraNon tradirmi se puoiSe questo mondo sta impazzendoNon perdiamoci con con luiGente sana tu seiNon volare più viaRadiosa gente miaPerché non ci somigliamo piùSvanita la fiducia ormaiGente sei grande e non lo saiAbbracciamoci se vuoiAncora più vicini noiGente non volare viaNon cambiare ideaCoraggiosa gente mia

Renato Zero

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