
Voi li chiamate gialli vintage.
Io li chiamo perle rare.
E mi dispiace per tutti coloro che scrivono questo genere, ma i classici hanno un tocco in più.
Tocco indimenticabile, tocco che lascia sempre un meraviglioso segno sul cuore. Mi sono chiesta il perché di questa magia che si crea tra me e il libro.
E posso solo rispondermi con una cosa scontata, ma forse non tanto…
Si divertono miei amati lettori.
Agatha, ma anche Doyle o Wallace si divertivano.
Adoravano ingannare il lettore, adoravano tratteggiare con eleganza il crimine. Sempre con un occhio attento alla risoluzione del caso.
E ogni delitto, ogni azione criminosa non era affatto strabiliante, scenografica o alla ricerca disperata e ossessiva di quell’acme da me tanto odiata.
Era semplice ma non per questo meno agghiacciante.
E viveva in quelle regioni dell’io che conosciamo bene.
Che tentiamo di sfuggire appunto inondando la nostra immaginazione di fatti scabrosi e a tratti inverosimili.
Uccisioni, squartamenti, corse folli e trame tortuose.
Non fraintendetemi.
Amo quel genere di libri.
Mi divertono, mi fanno sorridere e sono i miei compagni di tante notti fredde e gelide come questa.
Ma se voglio la letteratura, non quella pret a porter, vado a rifuggirmi proprio nei classici.
Oh ce ne sono migliaia.
Sconosciuti, e apparentemente fuori moda.
Ma cosi cari alla mia fantasia da cercarli, scovarli con meticolosa pazienza.
Oggi è la Lindau a allietarmi.
E tra le mani mi ritrovo a accarezzare le pagine di un piccolo, raro gioiello, prezioso come certi diamanti indiani protagonisti di tante mie letture.
Che non si sa mai perché devono essere indiani sti diamanti.
Ma bando alla ciance eccomi a parlarvi di questo incanto.
Il delitto è assurdo e permeato di superstizione.
Complice una città immersa nella nebbia, cosi gotica e cosi fredda, proprio alla vigilia di una festività che è simbolo di calore e allegria.
Ed è il primo contrasto che ci regala quella sottile inquietudine che non smette di bussare alla nostra mente.
E un delitto che sembra opera di un fantasma livido di rabbia, generato dal male più oscuro, desideroso di vendetta.
Tutto in una casa dal nome sinistro e dalla reputazione ancor più sinistra.
Nella notte di natale non esiste più quiete, ne armonia.
Qualcosa ci disturba, qualcosa ci fa rabbrividire.
Ma al tempo stesso non ci permette di staccarci mai dalle pagine.
Finché non giungiamo alla rivelazione che un po’ ci fa vergognare della nostra ansia.
Che riporta il delitto nelle regioni a noi più consuete e più banali.
Ecco il nostro autore, la banalità del male la conosce.
Eccome se la conosce.
E ce la mostra rendendoci consapevoli come sono le motivazioni più becere, più patetiche, meno nobili a muovere la mano dell’assassino.
Ed è questo che in fondo non smette di terrorizzarci.
Come quel che noi chiamiamo male si agiti nelle acque apparentemente placide. Nelle modestie di occhi che fingono di piangere, ma che nascondono una cupidigia fastidiosa.
Fastidiosa perché la conosciamo bene.
Natale rosso sangue scorre cosi, con la sua maestosa semplicità che per ironia della sorte diventa complessa e complicata.
E chiuso il libro, arrivati all’ultima pagina, resterete stupefatti da come un libro cosi tranquillo, cosi innocuo sia in realtà potente e congeniato alla perfezione.
Cosa posso dirvi di più se non leggetelo per odino!