“Transfer 2093” di Stefano Meglioraldi. Mezzelane editore. A cura di Jessica Dichiara

In fondo il distopico come genere altro non vuole che farci immaginare di poter affrontare e superare la nostra stessa fine. Siamo esseri umani limitati dallo spazio e dal tempo eppure in ognuno di noi lo sforzo di tendere all’infinito è sempre fortissimo.

Trama da pellicola, non troppo complessa né troppo semplice o scontata. Rischio sempre in agguato in questo genere.

La chiave dell’immortalità viene individuata dai nostri pronipoti nel Transfer, un processo di trasferimento del cervello da un individuo a un altro. Processo possibile su base meritocratica.

Edificante questa provocazione intorno alla meritocrazia, termine con cui, negli ultimi anni, abbiamo infarcito discussioni a tavola, chiacchiere da bar e spot elettorali.
Avere, acquisire, pretendere per merito sembra quasi una teoria inattaccabile. Cosa importa se per ottenere ciò che ci spetta per merito calpestiamo sogni e progetti di chi arranca tra difficoltà e incertezze. Esiste tutto un mondo di reietti da eliminare secondo questa teoria, un mondo costretto a firmare con l’inchiostro nero come la morte per permettere ai “meritevoli” di continuare a brillare.


Protagonista di questa visionaria avventura è il tempo che sta scorrendo velocemente intorno a Jason, il cambiante e allo scienziato Onderwood.

Jason rifiuta il sistema, prende la sua donna, Emily, e scappa trovando aiuto nella Green Eco-Army, associazione che si batte contro il transfer.

La facilità in cui si entra in questa dinamica è sconvolgente nonostante siamo con le scarpe ben piantate nel territorio della fantascienza. Così perdersi in mezzo a insetti creati a laboratorio, droni e intelligenze artificiali non è poi tanto strano perché in fondo le dinamiche futuristiche disegnate dall’autore rimangono le stesse e le conosciamo molto bene e sono legate alla pretesa di piccoli gruppi al potere di poter decidere del bene e del male di tutti gli uomini utilizzando la propaganda per manipolare il gregge.

L’impressione di avere a che fare con tante pagine da leggere svanisce in fretta portata via da azioni e tanta tensione. Molto è anche il tempo dedicato alla caratterizzazione dei personaggi che non si dividono necessariamente in buoni e cattivi ma conservano, quasi gelosamente, i propri difetti, le proprie fragilità, la propria umanità. Persino il protagonista non esce perfettamente pulito dalle pagine rimanendo in alcuni passaggi ostile e discutibile e in altri incerto, in balia di ripensamenti e in cerca di rassicurazioni che Emily elargisce con potere.

Stefano Meglioraldi non ha solo scritto, ha proprio creato una realtà precisa e dettagliata che possiamo vedere e ci ha appiccicato dentro un’avventura esplosiva di quelle che non puoi far riposare perché richiamano risposte importanti a cui sentiamo la necessità di dare sfogo. Ha messo in campo molte sue conoscenze per dare vita a una lettura esperienziale forte non solo tecnicamente ma anche moralmente.

Esperimento distopico sicuramente riuscito!

Consiglio per la lettura: il distopico va sorseggiato sempre con qualcosa di forte, forse uno jägermeister, amaro come le bugie.
Messaggio per l’autore: sono d’accordo con Riccardo e l’ho pensato in più punti prima di arrivare alla fine.

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