“La vita Nascosta” di Raffaele Donnarumma, il ramo e la foglia edizioni. A cura di Jessica Dichiara

Nulla è più edificante e costruttivo del dolore. Reale o percepito che sia il dolore rimane una parte di noi che ci impone di fermarci e farci delle domande. Il dolore e la paura sono dunque motori importanti per la nostra esistenza.

Chi scrive la vita nascosta è un osservatore attento che non pretende di consumare tutta la materia ma aiuta il lettore a fare spazio nella mente. Non sale in cattedra Raffaele, non pretende di dirci come interpretare i fatti, né ci presenta una via semplice. Ha delle idee e ce le fa conoscere, ce le fa vedere, ce le fa ascoltare.

Indossare le stesse scarpe del protagonista non sempre è facile.

A volte vanno strette quando la propria identità viene messa in discussione. Quando ci si sente incompleti senza una connessione internet che ci rassicuri e ci aiuti a colmare la distanza tra la nostra immaginazione, le aspettative e i progetti. Quando il passato da digerire e metabolizzare richiama un senso di abbandono che frena la nostra voglia di vivere e ci invita a percorrere la strada della superficialità e dell’apparenza. Quando mi ritrovo a dover gestire un rifiuto che in fondo è appartenuto anche alla mia vita e mi costringo a condividere il sudore reale e quello immaginario, quello che mi vede perennemente fuori forma e quello che mi vorrebbe gradevole allo specchio.

A volte larghe quando lo sguardo sull’altro si fa intenso e complicato, quando la meta è ignota e talmente vasta che dentro riusciamo a trovare ogni sorta di esperienza. Quando la sabbia fa crollare le nostre giovani fondamenta e non sappiamo più quale pietra utilizzare per ricostruire. Quando l’amore si specchia nella faccia assorta della memoria e vorrebbe condividere più di quanto realmente gli appartiene, oltre, molto oltre, il “sono stato bene”, l’indugio sulla porta, la stretta di mano, l’offerta di una birra.

Eppure indubbiamente alla fine delle pagine compare la sensazione di essere stati sedotti dai colpi di scena, dal linguaggio, dai silenzi, dalle corse che ci hanno distratto facendoci credere di poter dare un giudizio accorto, di poter prendere la decisione giusta, di poter dominare la materia dell’amore, del controllo di sé, della realtà e della libertà che ci definisce in quanto uomini.

Ci piace poter credere di avere sempre una soluzione, una scappatoia o un’alternativa che ci permetta di sconfiggere l’ansia di vivere eppure il bisogno di nascondersi rimane uno dei più grandi punti di rottura con la generazione che ci ha preceduto, quella non digitale per intendersi, quella che si nascondeva nei boschi e nelle grotte in nome di ideali sbandierati e che portava in grembo l’embrione di una libertà ancora da reclamare e conquistare, per sé, per gli altri, per il passato e per il futuro. Non vi era nulla di precario in quel nascondersi, nulla di irrisolto, al punto che se si veniva scoperti si lasciava la vita in cambio dell’onore. Un altro modo, un altro tempo e forse un’altra umanità. Un passato che resiste come misura della nostra vergogna.

Il nostro nascondersi invece appartiene alla paura, all’umiliazione, al disonore, all’ansia di non essere abbastanza neanche per sé stessi. Così il sesso, ad esempio, diviene facile e nello stesso tempo frustrante perché non trova ostacoli che accendano fantasia e desiderio. Abbiamo bisogno di app che guidino le nostre relazioni, che ci dicano con precisione ciò che vogliamo e ciò che invece non corrisponde all’ideale di perfezione matematica pensata per noi.

Il nostro protagonista esplora, e un po’ si perde dentro un sistema che lo chiama e lo rifugge allo stesso tempo. Un mondo nuovo, da scoprire ed esplorare, più pericoloso forse delle armi e più oscuro delle grotte. Ridefinisce sé stesso in un oscillare impavido tra cose che mancano e altre che bastano, tra adesione e distacco e tra accanimento e disillusione che ipnotizza, generando turbamento. È lucido nello scoprirsi nascosto a sé stesso dai suoi stessi pensieri e tenace nella ricerca di un’onestà legata al riconoscimento dei propri limiti.

Tutto in prima persona, questo romanzo ci invita ad un’esperienza empatica legata a una fame di sentimenti difficile da saziare, in cui l’istinto si mescola alla ricerca del senso, in cui l’autore e il protagonista condividono entrambi riflessioni profonde ma non identiche perché rimane evidente che uno appartiene alla realtà e l’altro al romanzo.

Consiglio per la lettura: Anna, amica del protagonista, consiglia biscotti al doppio burro.

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