“Andremo a mietere il grano” di Lilli Luini Il Vento Antico. A cura di Alessia Bertini

«Andiamo a mietere il grano, il grano, il grano. Raccoglieremo l’amore, l’amore, l’amore…»

La canticchiava spesso Pia, questa canzone.

Era il Giugno del 1966.

Mary e Titti se lo ricordano ancora come se fosse ieri quel 45 giri, saltato fuori mentre stanno riordinando la vecchia casa di famiglia, impegnate a decidere cosa buttare e cosa donare in beneficienza prima di vendere la proprietà.

Maria Gabriella, a quei tempi ancora la piccola Ella, è tornata in Italia dopo quarant’anni di assenza per far visita alla madre morente e aiutare la sorella Maria Beatrice, per tutti Titti.

Nella simbolica ma inesistente Rondinelle sopra il Lago, in provincia di Varese, le rondi nidificavano a decine e decine. Ma nel 2017 ormai non ci sono più.

«Le rondini non tornano più», le dici Titti.

«Da anni ormai.»

«Hanno abbandonato il nido?»

«Tutti i nidi, in tutto il paese. Non so perché. Un anno c’erano e quello dopo non c’erano più»

Molte sono le cose perse e seppellite nel passato. Molti i nidi lasciati vuoti, secchi e pronti a disfarsi. Anche Maria è volata via molto tempo fa, per trovare il suo posto caldo in altri ripari che non siano la sua famiglia.

Ella fin da piccola ha sempre avuto una forte affinità per il ramo paterno, i nonni premurosi e la zia libera ed estroversa. Uno spirito artista, aperto e curioso, che fin da subito si scontra contro gli ideali monarchici di sua madre Elena, insignita con il nome della regina da genitori altrettanto conservatori e armati di ferrei principi.

Elena è ossessionata dall’eleganza, dall’apparenza, dal concetto del tutto personale di raffinatezza, necessaria a elevare la sua famiglia e lei stessa al di sopra dei paesani.

In mezzo a questi ritrovati Savoia, ai Pudestà del paese, il padre, Carlo Bianchi, di origini paesane, privo di raffinatezza, repubblicano e socialista, non si riesce proprio a capire come ci sia finito.

Ma poco importa perché questo romanzo ha voce esclusivamente femminile: le figure maschili restano nell’ombra, manipolate dalla loro inadeguatezza, destinate a compiere gesti o semplicemente anonimi, o enormemente avventati.

Nelle parole di Pia, la sorella maggiore, Ella intravede il suo destino, un vaticino che lei non è capace di accettare. Non come la servizievole e dolce Titti, la più piccola e fragile delle tre.

«Tu non ti rendi conto, sorellina. Noi siamo soltanto ragazze. Non conta nulla quello che ci piace, quello che desideriamo. Non siamo libere, non siamo come i ragazzi. Loro possono scegliere, girare il mondo. Noi, no. Sogna, Ella, ma non illuderti.»

In questo romanzo la Luini non racconta solo le donne e, sebbene l’emancipazione da arcaici retaggi sia un elemento cardine, c’è molto altro.

Si parla di emigrazione: quella interna soprattutto, dal Sud verso il Nord, per necessità economiche. Ma anche di quella verso l’estero, come quella di Mary che ha un sapore del tutto diverso, una fuga verso la ricerca di sé e necessaria per lavare via il fango accumulato sopra i propri sogni e desideri.

Una vita lasciata alle spalle a partire da quel lontano 28 maggio 1977 ma che adesso torna prepotente nella mente di Ella, attraverso ogni oggetto riportato alla luce nella vecchia casa. Ma d’altronde per questo è tornata: per chiudere con il passato una volta per tutte, per allacciare quei fili spezzati e ritrovare continuità tra ciò che è stata e ciò che è adesso: fotografa di successo, moglie, madre, sorella.

Ma la vita non è un film. Dopo quella scena, Will Hunting parte per la California e lo spettatore sa che ora sta bene, cha ha capito. Lo sa, che tutta quella merda non è colpa sua. Nella vita vera, con quella merda impari solo a conviverci. Fa parte della tua storia, si quello che sei.

C’è tanto del cuore delle persone: si sentono i battiti accalorati del cuore di Titti e i sussulti aritmici di quello di Ella. Si ascoltano i silenzi di figli non voluti, si notano gli strappi di abiti perfetti, si raccolgono fiori colorati destinati a ingrigirsi se strappati troppo presto, in fretta, con violenza.

Ritroviamo una scrittura discreta, che sonda l’animo piano piano, in quell’alternarsi di presente e passato necessario a ricostruire la storia di queste ragazze. Una tecnica che permette di comprendere ogni cosa al momento giusto: quello in cui le due sorelle, finalmente una di fronte all’altra, sono pronte ad aprirsi e a condividere i pezzi delle proprie storie, separate ma complementari.

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