“Come uccidere la tua famiglia” di Bella Mackie, Harper Collins. a cura di Alessandra Micheli

Ho sentito molto parlare di questo libro, in tanti modi diversi.

E cosi lo ammetto mi sono approcciata alla lettura in un modo leggere, cosi leggero che non è affatto da me.

Non sono una lettrice che ama, purtroppo oserei dire, molto la leggerezza e il divertimento.

Un libro mi deve proprio dare un bel pugno in faccia.

Deve artigliarmi anima e coscienza con le sue adunche mani.

Deve scuotermi farmi arrabbiare e soffiare su un fuoco interiore che a ogni gelida ventata rischia di diventare solo cenere.

Perché senza passione, quella vera quella che si riversa nell’ideale e nelle idee anche ribelli, io sono solo un guscio vuoto.

E grazie tante, il vuoto non mi piace proprio.

Quindi ogni libro, ogni racconto deve potermi dare molto.

Che sia una riflessione interiore capace di creare una bella mappa per potermi orientare in un mare di sentimenti, di scorie di volontà spesso inconcludenti.

O che sia l’ardore politico di chi un segno nel suo presente lo vuole lasciare, anche se solo con la penna per poter raccontare il mondo com’è o come lo vorrei. Non cerco evasione o divertimento, cerco me stessa in ogni parola scritta.

E l’ho trovata.

L’ho trovata in parole taglienti come lame che ferisco e che fanno cadere una bella pozza di sangue davanti a me.

E sapete?

Quella ferita non fa affatto male.

Fa rabbrividire, scuote e ti fa indossare l’armatura adatta per scendere per le strade e svelare cosa c’è dietro tanti, troppi veli che coprono la banalità travestita da progresso.

E mentre racconta una storia assurda e cattiva, in realtà la nostra Bella vuole fare proprio altro.

Vuole raccontarci senza fronzoli e senza sconti la nostra società.

E credetemi il ritratto che ne esce non è affatto tenero ne edificante.

Ci sono caricature di un universo in cui le differenze sono accentuate cosi tanto da far rabbrividire.

Dove la superficialità la fa da padrona.

Dove l’apparenza diventa un selfie su una rivista o su una foto o un reel da invidiare.

Si invidiano costituzioni artificiali non impegno e devozione.

E in questo percorso di svelamento più che di vendetta ci si sente sempre un po’ più vuoti.

Fino a chiedersi ma io che diamine di mondo sto legittimando?

La famiglia che qua viene uccisa non è altro che il simbolo di qualcosa che stiamo tenendo in piedi in modo penoso e insensato.

E’ la possibilità che il ricco sia sempre più antitetico e egoista.

Che l’impegno sia solo un passatempo per combattere il tedio.

Per sentirsi diversi pur non essendo diversi.

Che la differenza non sia un valore ma un ostacolo messo li per fermare la libera espressione delle potenzialità uniche e inimitabili che nascondo dentro ognuno di noi.

Un mondo di invidia e di rancore.

Un mondo di illusione e di giustificazioni.

In mondo che esalta la disfunzionalità non soltanto familiare ma sociale, come valore da guardare come se fossimo affamati.

Affamati di presenza e di concretezza.

Quella fame che ci fa urlare ehi io ci sono.

Ma con una voce flebile che va spegnendosi fino a precipitare in un vuoto che tutto inghiotte.

Cercavo un libro potente, uno che mi desse un bel pugno in faccia, che mi impedisse di cadere nel torpore e l’ho trovato.

E mi viene da pensare

Che la lotta col padrone

È una lotta tra l’amore e l’egoismo

È una lotta con il ricco

Che non ama che i suoi soldi

Ed il popolo che vuole l’altruismo

E non contan le parole

Che si possono inventare

Se ti guardi intorno scopri

Il loro giuoco

Con la bocca ti raccontano

Che vogliono il tuo bene

Con le mani ti regalan ferro e fuoco

pierangelo Bertoli

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