Review party “Tu prima di me” di Chloe Liese, Newton Compton. A cura di Jessica Dichiara

Rievocare Shakespeare nelle sue commedie vuol dire sì, dare spazio all’amore, ma anche a quello che è il grande tema dell’inganno che viene ben presentato nella sua doppia valenza.

Inganno verso gli altri, in questo caso gli amici più stretti, nell’illusione di una vendetta forse mai veramente voluta e inganno verso sé stessi, perché i nostri protagonisti sperimentano in prima persona l’efficacia della medicina che vorrebbero utilizzare, fino ad arrendersi all’evidente verità.

Verità che viene detta e appare come scortese, invadente e motivo di apprensione perché, nel momento in cui ne prendiamo atto, non possiamo fare a meno di notare al suo fianco la madre di tutte le commedie: l’ineluttabilità, compagna fedele e lavoratrice instancabile all’interno di tutta la trama.

La verità troverà pane per i suoi denti perché questa coppia all’apparenza male assortita farà buon uso delle illusioni e della finzione anch’essa con un duplice volto, quello della costrizione da una parte, in cui fingere di essere felici e stare bene diventa un obbligo implicito all’esistenza, e quello di chi finge alle proprie condizioni, consapevole e perfettamente in grado di tornare alla verità.

Da una parte gli illusi sono tutti, compreso l’illusionista, dall’altra quest’ultimo fa la sua magia mantenendo il controllo e con il controllo il potere.

La riflessione sulla finzione va anche oltre, toccando l’inevitabile argomento social che ci vede immagini statiche di felicità e benessere ad uso, consumo e abuso di occhi incapaci di vedere oltre.

Non manca l’ironia, ingrediente fondamentale per ogni buona commedia.

Non mancano i pantaloni di riserva ben stirati del capricorno o la mascolinizzazione del bourbon a farmi sorridere e a regalarmi quella spensieratezza tipica del rosa classico poco impegnativo.

Dove poco impegnativo non fraintendetemi non sta per frivolo, bensì per leggero nel senso più positivo del termine perché la leggerezza è a volte una necessità.

Bea si chiede e ci fa chiedere quanto potere ha il primo impatto con una persona.

Quanto questo condizioni il nostro giudizio su ciò che avviene dopo e quanto siamo disposti a rimetterci in gioco. 

E in tutto questo chi può dire quanto conti la solitudine, il bisogno di appoggiarsi a qualcuno e di delegare ansia e frustrazione.

Tuttavia subentra nella nostra giovane protagonista, particolarmente affascinante proprio in virtù delle sue debolezze, un meccanismo di difesa comune anche nella realtà di tutti i giorni, il rifiuto dei sentimenti, la ricerca attenta dell’occasionalità, la premura a non concedere mai nulla che possa rivelarsi un’arma.

I miei sentimenti sono ancora più sensibili del mio corpo, ci dice questa giovane.

Quanto riesce a scuoterci con poche parole?

Il corpo violato lascia cicatrici meno profonde dell’anima violata?

Per Bea, incapace di memorizzare numeri e lettere, sicuramente sì.

Da lettrice mi sono trovata davanti a una protagonista senza veli, intensa, alla continua ricerca di un posto da chiamare casa e con la percezione di sé come di qualcosa di ingombrante o al contrario di non necessario, in ogni caso fuori posto e fuori tempo.

Sono molti gli spunti seminati da un romance che è commedia old style.

Mi soffermo un po’ sul rapporto tra queste due sorelle, così diverse eppure così complici. Dolcissime nel prendersi cura l’una dall’altra eppure determinate nell’affermare la propria individualità e diversità.

Bea soffre i cambiamenti e non comprende pienamente le priorità della sorella pur non smettendo mai di provare empatia.

Tra le sorelle vige un segreto accordo di aiuto reciproco il cui fascino risiede nelle loro imperfezioni che le portano a sbagliare per il bene dell’altra.

Bea invoca per sé la resposabilità delle scelte e riversa sulle sue opere d’arte la sua parte più autentica, riuscendo a dare un’interpretazione diversa alla realtà, una versione migliore.

L’uomo di per sé si nutre di aspettattive e queste, una volta generate, se deluse generano vuoti incolmabili.

Da lì il bisogno di autoproteggersi e di resistere all’attrazione che pervade tutto il romanzo.

Resistenza inutile in realtà perché la stessa forza che ci piega può aiutarci a sistemare i pezzi.

È una forza cruda, primordiale, violenta, che si riversa inclemente sulla scena, è la forza di una verità che pietrifica e al contempo ci spinge ad abbandonare le nostre strade solitarie per vivere pienamente.

Consiglio per la lettura: scone allo zenzero e tè verde.

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