“La cuoca segreta di Frida” di Florencia Etcheves, Salani. A cura di Barbara Anderson, Jessica Dichiara e Alessandra Micheli

Le donne della famiglia Cruz hanno tutte un destino: crescere da sole le loro figlie. Paloma lo ha imparato sulla propria pelle: di suo padre infatti ha sentito raccontare una  sola  volta,  come  un’ombra  passeggera, l’avventura  di  una  notte;  un  uomo  senza volto e senza nome, di cui è meglio non parlare. Ma quando sua nonna Nayeli muore in una casa di cura a Buenos Aires, Paloma  scopre  che  quello  non  è  l’unico  segreto del loro passato. In un ripostiglio, infatti, trova un rotolo di tela ruvida. Dentro c’è un dipinto, bellissimo, che ritrae una giovane donna nuda mentre fa il bagno in un fiume. Una strana macchia di vernice rossa copre però una parte della tela, come se qualcuno avesse voluto renderla indeci-frabile. Ma ancora più misteriose sono le parole che Nayeli ha lasciato per la nipote: ‘La storia vale più del quadro. È la storia la vera opera d’arte’.  L’indagine su quel disegno la ripoterà in-dietro di ottant’anni, sulle tracce di una ra-gazza messicana in fuga dalla casa paterna, che arriva a Città del Messico e grazie alle sue portentose doti culinarie trova lavoro a Casa Azul, dove Frida Kahlo vive da sola dopo il turbolento divorzio da Diego Rive-ra. Tra sapori, profumi e colori, Florencia Etcheves ci offre non soltanto un ritratto intimo, toccante, di una delle artiste più iconiche di tutti i tempi, ma soprattutto una riflessione sul potere immortale dell’arte e dei legami femminili. 

L’emozioni di un romanzo. A cura di Barbara Anderson

L’approccio a questa mia lettura è stato inizialmente e inconsapevolmente pigro.

Frida, personaggio storico di spessore, l’avevo conosciuta sotto ogni suo aspetto e forma seguendo la sua arte, la sua vita, la sua storia d’amore, il suo dolore, la sua sofferenza, la sua forza e il suo coraggio attraverso moltissime letture precedenti e stavolta non mi aspettavo nulla di nuovo, nulla che potesse in qualche modo sorprendermi.

Invece sono stata non solo sorpresa ma ammaliata, affascinata dal romanzo e dalla sua delicatezza, dal suo garbo, dal suo modo di entrare nell’intimo dei protagonisti, della loro cultura.

Dei loro desideri, delle loro piccole, immense, grandi sconfitte e delle loro inevitabili vittorie.

Quando non leggo io lavoro come professionista sanitario e nel corso della mia ultratrentennale esperienza professionale ho assistito, curato, salvato un numero infinito di persone ma ho anche avuto modo molte volte (tantissime volte) di accompagnare i miei pazienti verso l’ultimo viaggio, quello della morte, perché la morte fa paura a tutti ma è inevitabile, improvvisa e per quanto spesso in medicina si riesca a stroncarla, quando è giunta la nostra ora non c’è possibilità di ritorno.

Arriva con il suo odore di fango e di argilla, con il profumo delle violette e delle arance e ti avvolge in un abbraccio che ti porta via da tutto ciò che ti è appartenuto e a cui sei appartenuto in questa vita.

Quante volte ho tenuto la mano a una persona per confortarla nel suo passaggio, quante parole ho speso per consolare le loro famiglie dicendogli che era arrivato il momento di dire addio, di lasciarli andare e quante volte ho pianto mentre sistemavo la salma per la camera mortuaria parlando anche al corpo ormai senza vita che mi giaceva davanti agli occhi. 

Spesso mi son chiesta chi fossero queste persone, quali fossero i loro sogni, che tipo di battaglie avessero combattuto, quante follie avessero fatto e quanti ricordi quel corpo inerme conteneva. Spesso ho cercato di vedere oltre ciò che mi mostrava la morte.

La morte è degna di rispetto e seppur ci fa paura terribilmente dovremmo accettarla così come fanno nella cultura messicana. 

In Messico el dia de los muertos è la festa più popolare, dove le famiglie si riuniscono per onorare i loro antenati. L’inevitabilità della morte è accettata piuttosto che temuta.

Alcuni di voi avranno visto insieme ai loro figli il film di animazione Disney Coco dove la morte viene raccontata in maniera colorata, delicata. Come un qualcosa di naturale, di spontaneo, qualcosa che ha un suo fascino e una sua bellezza e che nulla toglie a chi resta ma anzi aggiunge ricchezza di ricordi, di emozioni e di amore.

Ecco le prime pagine di questo romanzo mi hanno catturata proprio per il contrasto tra l’inevitabilità della morte, la continuità della vita e la consapevolezza che siamo tutti uniti a un unico filo conduttore con i nostri antenati e che ogni essere umano nasconde la sua storia.

Siamo pagine scritte di un libro che alcuni forse non leggeranno mai, ma di cui sappiamo ogni recondito segreto, ogni piccola sfumatura narrativa perché l’abbiamo sofferta e l’abbiamo vissuta.

La protagonista è una ragazzina di 14 anni, nativa Indie dagli occhi verdi, amata e protetta da sua sorella Rosa che le è sempre stata vicino salvandole persino la vita non solo una volta la prima per una malattia che la stava uccidendo, ma anche una seconda per una tradizione che l’avrebbe annientata per sempre. Nella cultura messicana nel 1939 le donne erano dedite al lavoro. Alla famiglia. Alla casa. Alla cura dei loro antenati, erano donne che seguivano il corso del loro destino senza ribellarsi ma con l’umiltà di accettare ciò che per loro era stato deciso.

Nyala assisterà al rapimento della sposa, sua sorella, costretta a sposare un uomo che non amava, presa con la forza l’aveva vista giacere su un letto, ricoperta di petali di fiore e circondata dai familiari dello sposo come se fosse morta, ma non era morta era solo rassegnata al suo destino, la fine di una vita spesso non avviene con la cessazione della vita stessa. 

A volte ci sono altre circostanze e situazioni che annientano la nostra esistenza. Ma Rosa, la sorella, salverà ancora una volta la sua protetta. Le dirà di scappare via perché un simile destino è per lei già scritto e deve fare altro, deve andare oltre, deve prendersi la sua salvezza.

Una ragazzina che non sa ne leggere ne scrivere, che non ha denaro e che forse non ha nemmeno futuro, una ragazzina che vorrebbe nei suoi sogni fare la ballerina, che sogna danze leggiadre e la libertà di esprimere se stessa la sua innocenza, la sua delicata bellezza.

Nyala è ora una donna anziana che sul letto di morte stringe la mano a sua nipote, un’altra donna che sembra non avere futuro che sembra rassegnata al corso della sua vita.

Generazioni divise, ma unite dalla stessa sorte iniziale, eppure la nonna riuscirà a far raggiungere a sua nipote il valore del sacrificio di sua sorella per preservarla da una vita di sofferenze, le insegnerà attraverso la scoperta dei suoi celati segreti che bisogna avere la forza di affrontare ogni avversità, che è possibile seguire i propri sogni, che un destino non è segnato fin quando accettiamo di porre la nostra firma su quel contratto che conferma la nostra sottomissione alle scelte altrui. Siamo noi artefici del nostro destino, siamo noi che concediamo agli altri di manipolare la nostra esistenza.

L’amore è una tragedia che alcuni si impongono e ad altri viene imposta ma è anche vero che l’amore felice non ha storia. In questa storia di vita, di passione e di forza troveremo i destini di donne senza uomini, senza la presenza di un uomo che segua e che dia identità alla loro stirpe.

Attraverso il profumo e i sapori del cibo, unito ai colori sgargianti di pennelli su tele bianche, Nyala ci mostrerà il contrasto tra lei e una ragazza che non ha nulla e che si ritrova accanto a una donna che invece ha tutto.

Quante ragazze normali, semplici affrontano delle situazioni senza nessuna via di uscita?

In un connubio perfetto di emozioni l’autrice ci mostra il volto di quella donna anziana che ormai giace pronta per il suo funerale, ci mette in sintonia con lo spirito lo spirito delle persone, lo spirito delle cose, quello spirito che ci identifica e costruisce e di cui dobbiamo avere cura perché se c’è di peggio che occuparsi male di uno spirito è proprio il non occuparsene.

Lo spirito e gli spiriti vanno onorati. Attraverso un sentiero di fiori seguiremo la vita di Nyala, accompagneremo sua nipote alla scoperta di segreti incredibili, di un’amicizia improbabile eppure esistita, un amicizia che fu importante non solo per Namely ma anche per Frida. 

Ebbene sì, Frida arriverà nella storia ma non sarà la protagonista ed è stato affascinante vedere il modo in cui viene introdotta nella storia senza che essa e il suo possente carisma prendesse il sopravvento sull’immagine di Naely.

Frida è la protagonista indiscussa della sua storia, della sua vita, una donna che ha lasciato segni indelebili della sua esistenza mentre la sua cuoca Naely aveva piccoli frammenti di umile esistenza che la resero lì su quel letto di morte una donna meravigliosamente straordinaria. Perché è nelle piccole cose che si trovano le grandi emozioni.

La tradizione immensa dell’amore dei nonni, i loro preziosi consigli di esperienza, di vita e quelle ricette che si tramandano di generazione in generazione come se fossero delle formule alchemiche straordinarie. Capaci di meravigliosi incantesimi.

Attraverso il cibo conquistiamo il palato, inebriamo i sensi, la crescita di una persona è nelle mani di colei che ti nutre e che ti prepara il cibo.

Mani che un giorno stringerai tremanti, rugose, con la pelle sottile quasi invisibile che mette in risalto diramazioni di vene violacee che segnano la mappa delle nostre emozioni. Un tempo che se ne va per un’esperienza di cui fare tesoro.

Naely è una donna qualunque, apparentemente quasi invisibile, eppure con la sua storia ci mostrerà la bellezza della vita, ci farà conoscere anche un aspetto della grande Frida che alcuni forse hanno scoperto solo attraverso le sue opere.

Fa sorridere l’idea di pensare, ricordando i titoli delle opere della grande artista, che spesso sono sembrati puerili e infantili, che fossero stati creati proprio da questa giovane ragazza messicana dagli occhioni verde smeraldo.

In un contesto storico importante, attraverso patriarcato, politica e femminismo, mediato dal profumo del cibo e disegnato dall’arte di Frida su tele invisibili di emozioni, questo romanzo vi regalerà qualcosa di veramente puro e bello. Vi riporterà ai valori della famiglia, delle tradizioni e vi farà vedere la morte non come una fine ma come un nuovo inizio.

La storia vale più di quel quadro, è la storia la vera opera d’arte. A cura di Jessica Dichiara

Paloma deve decifrare un dipinto conservato nella casa di famiglia e nel farlo dovrà sentire addosso il potere immortale dell’arte e dei legami femminili che appartengono da sempre alla sua famiglia.

C’è un quadro di Frida Kahlo con una donna sullo sfondo di un paesaggio desertico e una cornice di cielo plumbeo. Il corpo della donna è squarciato e all’interno è inserita una colonna in stile ionico rotta in diversi punti.

La struttura di questo quadro sta a rappresentare la condizione dell’artista dopo un incidente avvenuto durante un viaggio in autobus quando aveva diciotto anni.

A causa di questo evento Frida stette diversi anni immobile e fu costretta a sottoporsi a diverse operazioni.

Dovette cercare uno sfogo e lo trovò nella sua arte attraverso la quale ha cominciato a raccontare di sé in maniera sempre più intima e profonda.

Il corpo della donna nel quadro è puntellato di spilli a sottolineare il dolore costante e continuo patito dall’artista. È un’opera dalla quale possiamo percepire una sofferenza muta e lancinante.

Un dolore talmente forte da riuscire a spogliare il paesaggio pieno di ostacoli, devastato e devastante che richiama la tragicità del vissuto.

Il quadro in questo caso non è più una tela con dei colori sopra ma è un vero e proprio farmaco contro il dolore rievocato dalla memoria dell’incidente. Il quadro è la storia.

Ed è a questo quadro che ho pensato all’inizio di questa storia che mira a farci pensare all’arte nella sua funzione più alta e importante.

Inizio che ci porta quasi subito indietro nel tempo da Nayeli, nonna di Paloma e da sua sorella Rosa immolata alle tradizioni della sua gente e sacrificata sull’altare di un matrimonio non voluto. Nayeli deve scappare dal destino, deve scappare anche dall’amore.

L’amore è una tragedia.

Dall’amore bisogna solo scappare per potersi salvare. L’amore felice non ha storia dice Rosa a sua sorella per invitarla a fuggire il più lontano possibile da una sorte già scritta, perché anche a lei almeno sia concesso di avere un futuro.

Lo specchio di Paloma ci rimanda l’immagine di una donna in lacrime che deve fare i conti con la propria solitudine. È un distacco lento che comincia dalle cose materiali per poi approdare ai ricordi che si fanno sempre meno nitidi.

L’autrice ci da la possibilità di “sentire” le relazioni. Davanti all’incontro con il sorriso di Frida, agli occhi verdi mischiati a quelli color caffè, rimango come imbambolata. A volte basta un semplice sguardo per capirsi, altre lo stesso sguardo è sufficiente per lasciarsi andare.

Nayeli avrà l’onore e l’onere di entrare a Casa Azul, di percorrere un pezzo della sua strada con Frida, di provare la gioia trasmessa dal giardino di casa, di sentire addosso il buio dell’artista, una donna rotta in un milione di pezzi e poi ricostruita.

Ho fatto un viaggio tra le macerie consapevoli di un vissuto che conoscevo solo attraverso l’arte. Mi sono resa conto che la mia non era una conoscenza superficiale e mi sono chiesta quanto le opere siano in grado di parlarci, di sussurrarci la verità e di svelarci l’anima.

Ho camminato vicino a una torre in procinto di crollare e mi sono addormentata con il volto di un’altra riflesso nello specchio. Un volto amico, distrutto dal dolore, dalla stanchezza, dalla sofferenza, dalla cruda realtà travestita da storia immaginaria.

Il potere dell’arte viene molto spesso da esperienze negative, le domina, le sovrasta, le mette a nudo, le vince per regalarci pace. Appartiene a pochi e quei pochi, come Frida, ma anche in un certo senso come Nayeli e come Paloma diventano macchie di luce in un’oscurità intensa e soffocante, oppure ballerine circondate da applausi.

Los Dias de los muertos. A cura di Alessandra Micheli

E’ arrivato miei lettori.

Quel momento speciale dell’anno dove la nostra anima trova il suo nutrimento.

Come animali selvatici ci rintaniamo nelle comode tane e lasciamo che l’ultima luce dell’estate perduta si spenga.

Addio fasti e colori.

Addio sole e allegria.

E’ il momento della riflessione, l’istante in cui tutto il nostro antico retaggio, fatto di sogni, di storie e di miti, diventi di nuovo parte di noi.

Ci trastulla, ci coccola, ci ricorda non solo chi siamo ma sopratutto da dove veniamo.

E non è un caso che ho lasciato che la notte mi avvolgesse, che ottobre bussasse alla mia porta, per parlarvi di questo libro.

Che è si ricco di dettagli, ricco di emozioni, ricco talmente ricco che la sua trama assomiglia a un arazzo composto da mille diverse sfumature.

Ve così io e le mie ragazze abbiamo deciso di parlare di aspetti differenti, che probabilmente ci descriveranno, cosicché davvero il libro esca dallo scaffale e zampetti allegro verso ognuno di voi, diventando..vivo.

La cuoca segreta di Frida non è solo un omaggio all’arte e alla vita immortalata proprio dai suoi quadri.

Vita che si nutre di una sofferenza che in questo testo assume la sua indiscutibile importanza.

Non è debolezza.

Non è il famigerato buco dell’anima.

Ma è porta, coraggio di alzare il velo e di vedersi, cosi puri nella propria specifica essenza.

E non è solo un percorso per ritrovare il proprio passato, farci pace e custodirlo come una tela preziosa nel cassetto del core.

Ma è un omaggio alle tradizioni, alle mitologie che da sempre fanno sfondo ai nostri arroganti passi di creature evolute.

Anche oggi, quando è ormai tutto spiegabile e spigati, oggi che la magia è nascosta in certi periodi dell’anno, in cui ci è concesso un viaggio nell’altrove, la Etcheves ci regala un onirico, inspiegabile viaggio verso il centro di ogni cultura: la morte.

Ebbene si.

Ci sono culture, ci sono pesi che con la morte hanno avuto un rapporto ambivalente.

La temono, la odiano, eppure la venerano.

Rifuggono ma la cercano, ogni volta che con una forbice, come novelle Atropo, tagliano pezzi interi del proprio percorso esistenziale, ricominciando da capo, ritornando al punto di partenza, correggendo errori presenti su quella pellicola che è la propria storia personale.

Il Messico è uno di questi magici e oscuri posti.

Laddove l’estremo saluto fa la sua trionfale entrata già dagli inizi, ma non portando con se un carico di dolore inimmaginabile.

Esiste, lo possiamo toccare con mano.

Ma è solo il vestito che indossa a secondo del punto in cui lo si guarda.

La morte ci parla fin dalla prima pagina.

Ed è qualcosa di particolare orgoglioso.

Non è una donna scheletrica vestita di stracci.

Ma è un dio orgoglioso, fiero dal volto scuro e da occhi brillanti.

E’, per ironia della sorta, l’inizio od un’avventura.

Il momento ci cui la nostra protagonista inizia a diventare reale.

Ed è questo che colpisce più di tutti.

Un libro che inizia con un trapasso.

Un libro che affonda la sua ragione d’esiste nella fine.

Una fine in cui è in realtà inciso un vero e autentico principio.

E questo strano compagno ci prende per mano per tutte le pagine.

Lo riviviamo in Frida che fa il suo ingresso impersonando proprio quel senso di fatalismo e di stanchezza.

Quel senso di sfinimento di chi ha tanto amato, tanto vissuto e che lascia la scena in modo glorioso:

‘Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più’

E allora capiamo perché per il Messico e per ogni personaggio che con la morte si trova a dover trattare, il colore non è quello del nero, del grigio ma è quello brillante che vediamo danzare nello Dias de las muerte: nessuno davvero si perde finché il ricordo vive.

E cosi per la bellissima Ballerina Nayeli, cosi come per Paloma, cosi come per la Frida che rivive fiera e tormentata in queste pagine.

Cosi come per me e voi che un giorno la morte la incontrerete, che possa avere per voi gli stessi brillanti colori di quel giorno in cui il legame si celebra di nuovo.

E che la cuoca di Frida, vi dono lo stesso calore che, oggi, mentre lo osservo incantata, ha per me.

Perché credetemi, la morte ha il viso dolce di una donna che ha soltanto cosi tanto amato, da voler per un istante dormire. E tenervi la mano mentre cvi addormentate.

Questa mia melodia

Nasce dal nostro amore

Ogni nota è un battito del nostro cuore

Avremo un legame

Che vive per sempre

In ogni parte del mio corazon

Avremo un legame

Che vive per sempre

In ogni parte del mio corazon

Ay mi familia
Oiga mi gente
Canten a coro
Ditelo a tutti

Avremo un legame
Che vive
Per sempre
In ogni parte del mio corazon

Coco

Per te mamma

che in quel regno di incanti ora hai la tua dimora.

Che tu possa far risplendere quella oclorata luce anche su di me

Aspettami.

Autore: Alessandra Micheli

Saggista per passione, affronto nei miei saggi e articoli ogni argomento inerente a quella splendida e misteriosa creatura chiamata uomo, cosi amata dall'energia creatrice: "che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato" Salmo otto

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