Era il tempo dei miei fecondi studi universitari, in particolare l’ultimo step per del mio percorso, quando affrontai l’ultimo, arduo esame.
Eh si.
Anche io sono stata in panico, io che viaggio nei miei sogni a occhi aperti con i grandi antichi.
E tutto per colpa dell’unico, ostico esame: sociologia della comunicazione.
Lo so, lo so miei lettori.
Pensate che il mondo che ruota attorno al codice che ci permette di scambiarci informazioni ( comunicazione appunto) sia semplice e immediato.
Lo pensavo anche io sapete?
E fu grazie all’autore che ispirò la mia tesi di laurea, oggetto dell’esame in questione che compresi come, in quel semplice, apparentemente semplice, scambio di opinioni si celava un intero mondo, strano, misterioso e irto di ostacoli.
Questo perché quando ci troviamo di fronte all’altro e vogliamo “comunicargli” una semplice, misera informazione, in realtà lo stiamo invitando a entrare nel nostro mondo interiore.
Che come oramai saprete, è fatto non soltanto di luci, ma anche di parecchie ombre.
Di scorie e di sotto-testi che vivono attaccati al significato primario, come fa il vischio nei riguardi degli alberi.
Vive come parassita ma al tempo stesso crea una strana simbiosi.
E cosi che si comporta il “rumore” ossia tutto quello che, sembra deviare l’informazione dalla sua destinazione originaria.
Il rumore non è altro che un apparente inceppo che devia l’obiettivo, ossia il messaggio che noi vogliamo far giungere a destinazione.
Tutto questo diventa di importanza capitale proprio perché si mostra, se sappiamo scavare nel profondo, i residui logici di paretiana memoria.
Ecco che l’interazione con l’altro diventa complessa e può suscitare anche piccoli drammi interiori, quando il senso originario diventa fonte di dubbio e di messaggi contrari all’intenzionalità, che mostrano una strana voglia non di creare comunicazione, quanto di ostacolarla, cosi come ci dimostra il doppio vincolo batesoniano.
In questo possono innescare problematiche psicologiche, che ovviamente inficiamo la normale crescita umana.
Ecco che i problemi di interazione, familiari, amicali amorosi hanno origine non solo mentale ma anche comunicativa.
Ed è con la comunicazione che, forse, possiamo se non risolverli almeno vederli in un altra ottica.
Ebbi la fortuna, in quell’esame, di incontrare per la prima volta la tecniche dal gioco di ruolo ossia la possibilità di usare la tecnica teatrale quindi di impersonare una vera a propria scena per apprendere e forse per crescere.
E oggi con questo saggio ho incontrato il fondatore di questa strabiliante tecnica che, non viene oggi usata soltanto in campo “universitario e scolastico, ma anche nelle azienda e forse in alcuni percorsi di terapia in gruppi.
Jacob Levi Moreno fu quindi un innovativo e interessante sociologo fondatore della cosiddetta microsociologia, ossia dell’osservazione, quasi microscopica dei fenomeni associativi.
Analizzando i piccoli gruppi sociali, isolandoli dal contesto più ampio Moreno si convinse che, il gruppo stesso costituisca l’atomo principale e funzionale delle dinamiche sociali tanto che è il suo mescolarsi con altri gruppi che forma strutture sempre più complesse, come lo stato stresso.
Questo lo porta a riflettere su concetti come di ruolo, relazione interpersonale, creazione, creatività e spontaneità.
Ecco che queste teorie e quindi i metodi a esse collegate si fondavano su un tipo di ricerca attiva, capace di scoprire sempre più misteri di queste componenti cardine dei gruppi, dai minori agli ampi chiamato action methods e che proponeva non più un approccio isolato al singolo e alle sue problematiche, ma di tipo sistemico.
Ecco perché le tecniche del gioco di ruolo, dello pisco-dramma hanno una loro importanza non soltanto in ambito terapeutico, ma anche in quella parte della psicologia che si occupa di lavoro, di apprendimento, di formazione diventando quindi versatile, flessibile e sopratutto capace di far sedimentare nel profondo, concetti e conoscenze. Dopo aver impersonato Gregory Bateson, infatti, io sono diventata lui e quei concetti sono stata capace di sviscerarli in modo molto più approfondito tanto che hanno potuto rispondere in modo immediato e sicuramente fecondo a domande relative non solo alla mia crescita intellettuale ma anche umana, andando a creare un ontologia completamente unica, personali e al tempo stesso conscia di essere interdipendente da esperienza, cotesto, doni e apprendimento.
Granze al suo psicodramma noi possiamo superare persino le idiosincrasie presenti nelle socializzazioni primarie e secondarie, creando ex novo quello che Bateson stesso chiama deutero-apprendimento, ossia apprendere ad apprendere.
Questo perché questi giochi di ruolo, devono necessariamente portarti a cambiare gli occhiali con cui fino a ora abbiamo interpretato il modo, le persone e gli eventi.
Che cos’è questo psicodramma?
E’ una forma di psicoterapia che mette i partecipanti al gioco nella condizione di esplorare le emozioni, i vissuti personali e collettivi attraverso una messa in scena improvvisata che trasforma il discorso intimo una sorta di rappresentazione teatrale. Vivendoli come proprio ma la tempo stesso quasi distaccandosi dal loro peso, come se fosse, appunto una sceneggiatura, tutto visto dall’alto, come se si diventasse un osservatore esterno, si riesce a trovare l’origine dei conflitti, elementi che sfuggivano all’attenzione e anche, perché no a vedere la risoluzione degli stessi.
Comprendere la portata innovativa di Moreno?
In questo libro si esplora proprio la sua stessa vita, vissuta come uno splendido racconto, e ognuno di noi al tempo stesso lo rende partecipativo grazie al contributo personale, emotivo che si immette nella lettura.
E trovo essenziale riscoprire questo straordinario sociologo e psicologo, da troppo tempo dimenticato, nonostante oggi il gioco di ruolo sia cosi sdoganato e reso fruibile a ogni tipo di persona.