“Il profeta dello psicodramma” di Jacob Levi Moreno, Di Renzo editore. A cura di Alessandra Micheli

Era il tempo dei miei fecondi studi universitari, in particolare l’ultimo step per del mio percorso, quando affrontai l’ultimo, arduo esame.

Eh si.

Anche io sono stata in panico, io che viaggio nei miei sogni a occhi aperti con i grandi antichi.

E tutto per colpa dell’unico, ostico esame: sociologia della comunicazione.

Lo so, lo so miei lettori.

Pensate che il mondo che ruota attorno al codice che ci permette di scambiarci informazioni ( comunicazione appunto) sia semplice e immediato.

Lo pensavo anche io sapete?

E fu grazie all’autore che ispirò la mia tesi di laurea, oggetto dell’esame in questione che compresi come, in quel semplice, apparentemente semplice, scambio di opinioni si celava un intero mondo, strano, misterioso e irto di ostacoli.

Questo perché quando ci troviamo di fronte all’altro e vogliamo “comunicargli” una semplice, misera informazione, in realtà lo stiamo invitando a entrare nel nostro mondo interiore.

Che come oramai saprete, è fatto non soltanto di luci, ma anche di parecchie ombre.

Di scorie e di sotto-testi che vivono attaccati al significato primario, come fa il vischio nei riguardi degli alberi.

Vive come parassita ma al tempo stesso crea una strana simbiosi.

E cosi che si comporta il “rumore” ossia tutto quello che, sembra deviare l’informazione dalla sua destinazione originaria.

Il rumore non è altro che un apparente inceppo che devia l’obiettivo, ossia il messaggio che noi vogliamo far giungere a destinazione.

Tutto questo diventa di importanza capitale proprio perché si mostra, se sappiamo scavare nel profondo, i residui logici di paretiana memoria.

Ecco che l’interazione con l’altro diventa complessa e può suscitare anche piccoli drammi interiori, quando il senso originario diventa fonte di dubbio e di messaggi contrari all’intenzionalità, che mostrano una strana voglia non di creare comunicazione, quanto di ostacolarla, cosi come ci dimostra il doppio vincolo batesoniano.

In questo possono innescare problematiche psicologiche, che ovviamente inficiamo la normale crescita umana.

Ecco che i problemi di interazione, familiari, amicali amorosi hanno origine non solo mentale ma anche comunicativa.

Ed è con la comunicazione che, forse, possiamo se non risolverli almeno vederli in un altra ottica.

Ebbi la fortuna, in quell’esame, di incontrare per la prima volta la tecniche dal gioco di ruolo ossia la possibilità di usare la tecnica teatrale quindi di impersonare una vera a propria scena per apprendere e forse per crescere.

E oggi con questo saggio ho incontrato il fondatore di questa strabiliante tecnica che, non viene oggi usata soltanto in campo “universitario e scolastico, ma anche nelle azienda e forse in alcuni percorsi di terapia in gruppi.

Jacob Levi Moreno fu quindi un innovativo e interessante sociologo fondatore della cosiddetta microsociologia, ossia dell’osservazione, quasi microscopica dei fenomeni associativi.

Analizzando i piccoli gruppi sociali, isolandoli dal contesto più ampio Moreno si convinse che, il gruppo stesso costituisca l’atomo principale e funzionale delle dinamiche sociali tanto che è il suo mescolarsi con altri gruppi che forma strutture sempre più complesse, come lo stato stresso.

Questo lo porta a riflettere su concetti come di ruolo, relazione interpersonale, creazione, creatività e spontaneità.

Ecco che queste teorie e quindi i metodi a esse collegate si fondavano su un tipo di ricerca attiva, capace di scoprire sempre più misteri di queste componenti cardine dei gruppi, dai minori agli ampi chiamato action methods e che proponeva non più un approccio isolato al singolo e alle sue problematiche, ma di tipo sistemico.

Ecco perché le tecniche del gioco di ruolo, dello pisco-dramma hanno una loro importanza non soltanto in ambito terapeutico, ma anche in quella parte della psicologia che si occupa di lavoro, di apprendimento, di formazione diventando quindi versatile, flessibile e sopratutto capace di far sedimentare nel profondo, concetti e conoscenze. Dopo aver impersonato Gregory Bateson, infatti, io sono diventata lui e quei concetti sono stata capace di sviscerarli in modo molto più approfondito tanto che hanno potuto rispondere in modo immediato e sicuramente fecondo a domande relative non solo alla mia crescita intellettuale ma anche umana, andando a creare un ontologia completamente unica, personali e al tempo stesso conscia di essere interdipendente da esperienza, cotesto, doni e apprendimento.

Granze al suo psicodramma noi possiamo superare persino le idiosincrasie presenti nelle socializzazioni primarie e secondarie, creando ex novo quello che Bateson stesso chiama deutero-apprendimento, ossia apprendere ad apprendere.

Questo perché questi giochi di ruolo, devono necessariamente portarti a cambiare gli occhiali con cui fino a ora abbiamo interpretato il modo, le persone e gli eventi.

Che cos’è questo psicodramma?

E’ una forma di psicoterapia che mette i partecipanti al gioco nella condizione di esplorare le emozioni, i vissuti personali e collettivi attraverso una messa in scena improvvisata che trasforma il discorso intimo una sorta di rappresentazione teatrale. Vivendoli come proprio ma la tempo stesso quasi distaccandosi dal loro peso, come se fosse, appunto una sceneggiatura, tutto visto dall’alto, come se si diventasse un osservatore esterno, si riesce a trovare l’origine dei conflitti, elementi che sfuggivano all’attenzione e anche, perché no a vedere la risoluzione degli stessi.

Comprendere la portata innovativa di Moreno?

In questo libro si esplora proprio la sua stessa vita, vissuta come uno splendido racconto, e ognuno di noi al tempo stesso lo rende partecipativo grazie al contributo personale, emotivo che si immette nella lettura.

E trovo essenziale riscoprire questo straordinario sociologo e psicologo, da troppo tempo dimenticato, nonostante oggi il gioco di ruolo sia cosi sdoganato e reso fruibile a ogni tipo di persona.

“Sull’arte medica. Umanesimo scientifico e Intelligenza artificiale” di Guido Del Giudice, Di Renzo editore. A cura di Alessandra Micheli

Sono tempi strani questi.

Cosi legati alla tradizione, specie quella che sembra ripetere in esterno lo stesso accordo.

Eppure cosi desiderosi di andare oltre il confine del cielo, a disattendere i tabù di Dio.

E sarebbe tutto normale, questa danza tra conservazione e innovazione, se l’innovazione non fosse anch’essa ingabbiata dalla tecnocrazia che avanza.

Da questo mondo che deve per forza monetizzare tutto e rendere ogni fatto della vita, ogni persona un mero numero e prodotto.

E cosi quello che un tempo, gli antichi avrebbero chiamato la forza che va oltre, diventa essa stessa stagnazione.

Perché innovare per rendere e creare profitto, significa semplicemente ammazzare cosa ci rende davvero umani: la coscienza.

Chi tutto mostra.

Chi deve esibirsi su un palco, mai soddisfatto dagli applausi, non è altro che un piccolo burattino manipolato dal Re Assiso sul trono.

E cosi ogni valore, ogni ideale diventa remunerabile, tanto che chi quei valori li nutre di sangue, passione e amore, diviene quasi un paria in patria.

È questo che mi rende cosi attaccata al mondo dell’Altrove.

Quello chi ancora crede nei valori, non può essere vilipeso e danneggiati da chi li odia, perché rappresentano l’eccezione.

In questo meccanismo che ci ricorda con terrificante realtà il film di Chaplin Tempi Moderni, noi veniamo, di giorno in giorno, stritolati da quel meccanismo parte di una macchina infernale che deve nutrirsi di ossa e umanità.

Che ci tritura e ci riforma come pallide comparse di plastica.

Bellissimi, perfetti, ma senza più coscienza.

Se tutto viene monetizzato, se la tecnologia non è più cercata per la conoscenza in se, ma per rendere, allora davvero il mondo in cui concretamente ci vede muoverci non è altro che Distopia resa viva.

Pulsante.

Invadendo le narici con i suoi fetidi miasmi.

Troppo dura direte voi?

Pensiamo allora all’intelligenza artificiale.

Privata dalla sua poesia, di quel mistero, al servizio di un capitalismo senza etica, non fa altro che uccidere ciò che nell’uomo porta alla ri-creazione di un mondo diverso. L’immaginazione e le idee.

Giordano Bruno raccontava la sua visione del mondo in ogni scritto, proponendo l’evoluzione, persino scientifica e tecnologica come la dimostrazione di come possiamo interagire nel mondo, in cui Dio può diventare tangibile.

Ma se privata di quel suo lato sacrale e misterico, non è altro che il mezzo con cui produrre.

Produrre sempre più.

Produrre a scapito della soggettività dell’altro.

E tutto diventa quindi commerciabile.

L’arte.

La bellezza.

La scrittura.

E persino la medicina.

Perché la tecnologia raggiungerà sicuramente alti traguardi.

Potremmo combattere la malattia e porre un freno all’arroganza apparente del Dio Eco.

Stavolta potremmo dare ragione a giobbe, quando rimprovera Dio di non amarci abbastanza, poiché ci nega il raggiungimento immediato e gratuito della felicità.

Che non diventa più un percorso ma semplicemente un altro obiettivo, un altra tacca da aggiungere al proprio Carnert, senza che da questo si sia tratta esperienza.

La salute mirerà sempre di più soltanto al risultato, ossia riparare il corpo, meccanico e considerato come un qualcosa di dis-omogeneo dall’interiorità.

E il medico sarà soltanto un manovale.

Qualcuno che riparerà il danno, e se ne laverà le mani.

E noi ci sentiremo come robot a cui si sono soltanto cambiate le batterie, i pezzi di ricambio che sentiremo non più come parti di un qualcosa di unico e omogeneo.

Ecco che la separazione tra mente e copro sarà ottenuta.

Per la gioia degli arconti.

Di quell’essere che si nutre di caso e disgregazione.

no.

La medicina in primis e ogni altra arte e ogni altro traguardo, devono essere inseriti nel contesto giusto, quello che ci apparitene.

Dobbiamo essere considerati un unico organismo vivente, connesso al cosmo, alla natura a ogni sapere.

E la malattia non come un qualcosa a se stante, ma come un sintomo di un corpo che chiede aiuto.

Un corpo unico.

Mente e natura non possano essere separate dalla stupidità umana.

Il dio Eco, non può essere beffato.

Dobbiamo ritrovare l’unione monistica di un passato che deve creare, assieme ai traguardi presenti, un futuro diverso.

Perché scindere nuovamente pleroma e creatura non è altro che un ritorno a un passato in cui è il totalitarismo del sapere a dominare.

E se il totalitarismo inizia dalle idee, può trasmettersi a ogni campo del nostro vivere.

La medicina non può considerare il paziente come oggetto a non soggetto.

Come scisso e non come interconnesso.

E la malattia non è più l’obiettivo unico da riparare affinché l’eternità si spalanchi davanti a noi.

Mente e corpo se disunite creano sempre danni.

Creeranno alterazioni di un sistema totale che continuiamo ostinatamente e voler negare.

E se le parole del passato possono aiutarci a ricostruire una diversa ontologia capace di garantirci un futuro migliore, è nostro dovere farle conoscere.

E’ dall’incontro di intelligenze diverse e al tempo stesso simili, che le idee prosperano e crescono.

Lo scontro è sempre e solo un gioco a somma zero.

Perché è chi crede alla verità

che darà Luce al mondo.

Per te che ancora credi.

Per te che ogni giorno lotti per restare te stessa.

Per te che non hai mai rinunciato a cercare la tua isola che non c’è.

“Una storia di successo” di Lucia Votano, Di Renzo editore. A cura di Alessandra Micheli

Qual’è la vera storia di successo?

Quella che assicura visibilità?

Che fa ottenere lodi e plausi?

O che ci mette sotto i riflettori e ci rende icone da venerare?

Forse in questi tempi cosi frammentati il successo, la storia vincente è quella che spicca con la sua apparenza fra mille fatiche quotidiane, ponendo il latore di tale regalo un po’ al di sopra della cosiddetta normalità.

La storia di successo riguarda quindi soldi, fama, scenografie di lusso, tutto ciò che per noi, oggi è importante.

Quindi questo libro, questo racconto strabiliante che ci propone Di Renzo editore, ci appare come l’ennesimo, trita narrazione della scalata del self made man.

Nulla di più errato.

Il successo qua è definibile in modo totalmente diverso.

E’ la volontà di sfidarsi di raggiungere non le alte vette della fama, ma di penetrare, si spera del tutto un giorno, nei segreti della vita di noi esseri umani, immersi in un microcosmo che gli antichi ci raccontavano come immagine sbiadita o in piccolo del macrocosmo.

La storia che ci racconta la Votano è quella dei progressi della fisica nucleare, sfociato nel raggiungimento con l’istituto nazionale di ben settant’anni. Settant’anni ragazzi miei.

Nato dalla visone lucida di menti geniali, grazie all’eredita del INFN ci ha consacrato, noi e la nostra bella penisola, come protagonisti degni del panorama della scienza della fisica internazionale.

E la fisica, signori miei, ha compiuto passi da giganti.

Da mero fatto meccanico a metodo di indagine che può essere definita anche spirituale.

Perché la fisica non racconta solo le leggi che regolano la composizione della materia, ma tenta anche di penetrare nella sua essenza.

Adesso è possibile avere in dono gli strumenti per scoprire l’intima natura di un universo che non è più cosi facile da raccontare, da racchiudere soltanto di formule prestabilite, ma apre la mente verso..il senso di infinito.

Oggi possiamo indagare la materia oscura.

La Sostanza delle particelle.

L’origine di un cosmo che si espande e si ingrandisce.

Possiamo osservare negli occhi i buchi neri e persino immaginare un mondo in cui la fantascienza oggi diviene scienza.

O possibilità.

Ogni volta che leggo un libro su questa strana materia chiamata fisica nucleare o persino astrofica, o fisica quantistica, mi sento davvero immersa in un vero paese delle meraviglie.

Un Alice nel mondo dei quanti per citare uno dei miei libri preferiti.

E cosi pagina dopo pagina la fantasia diviene qualcosa di diverso dall’elevazione da un mondo che non ci piace e non ci rappresenta.

Significa che è la mente a creare il mondo ma che al tempo stesso il mondo sfugge persino ai tentativi della nostra mente di renderlo ineleggibile.

E una sorta di sorso di infinito che mi fa sentire cosi piccola eppure cosi privilegiata.

Mi fa sentire benedetta da un mistero che avvolge la mia anima e forse, come direbbe Einstein, mi fa incontrare Dio.

Di sfuggita.

Lasciandomi solo una gran voglia di oltrepassare quella materia e quei buchi neri per capire che mondo esiste, al di la di quell’energia che stiamo analizzando solo oggi.

E leggere che è una donna non solo a interpretare la parte della cantastorie ma diventa parte stessa di esperenti fondamentali per la crescita della conoscenza, mi rende orgogliosa, felice e speranzosa che altre di noi, noi ragazze possano camminare sulle stesso orme lasciateci oggi, con questo libro da Lucia.

“I giochi dell’economia e l’economia dei giochi” di Di Renzo editore. A cura di Alessandra Micheli

Quando di Renzo Editore mi ha proposto la lettura di questo saggio i miei occhi si sono illuminati.

Di immenso direte voi?

No.

Di nostalgia.

Perché il prode Neumann studioso da cui è derivata la meravigliosa teoria dei giochi ha contribuito assieme a Wiener e Shannon a spostare la centralità dalle nozioni di materie ed energia a quelle di comunicazione tra parti e di conservazione dell’informazione.

Come, direte voi tutto qua?

Si miei amati lettori.

Per dirvela in breve questi tre studiosi assieme al mio guru Gregory Bateson hanno dato vita alla teoria cibernetica, che unisce studi multidisciplinari tra cui la sopracitata teoria dei giochi per comprendere l’unità sostanziale formata dal duo, superato grazie a loro, tra materia e mente.

Questi per la scienza attuale rappresenta un passo avanti gigantesco.

Non più settori distinti, ma uniti a formare tante lenti di tanti microscopi puntati sull’universo nella sua totale complessità.

Tanto che cibernetica, teorie della comunicazione, equilibrio e retroazione, teoria dei giochi, possono essere oggi applicate a biologia, informatica, sociologia e sistemi politici.

Comprendete adesso il mio eterno amore a quei tre geni?

In pratica si può usare una sorta di nuova scienza su ogni sistema che può essere definito complesso, ossia partecipe di una somma di elementi impossibili da tenere distinti, disuniti e contrastasti ma che assieme formano il tutto che è oggetto di studio.

Grazie a questo non serve più spezzettare per comodità e convenienza la società, l’uomo, l’organismo in parti separate, ma può essere analizzato come un unicum impossibile da sezionare.

E’ la rivoluzione.

Quest’innovazione nasce e si sviluppa tra il 1946 e il 1953, in piena guerra fredda quando la Macy Foundation chiama a raccolta a New York un alveare di intelligenze diverse, di diversa formazione culturale affinché si possa discutere l’impatto sulla compagine della tecnologia emergente ( computer) sullo sviluppo scientifico e sull’evoluzione delle scienze umane, che erano quasi in stallo per via della predilezione di stati e nazioni verso discipline più utilitaristiche.

E tra questi vi erano personalità di spicco come il nostro John von Neumann, inventore del computer digitale e studioso della struttura logica delle macchine; il neuropsichiatra Warren McCulloch; il biologo e filosofo Gregory Bateson; l’ingegnere Claude Shannon e il matematico Norbert Wiener.

Il resto è storia.

La stessa teoria dei giochi, cosi come presentata in questo libro riesce a diventare la metodologia preferita con cui analizzare e interpretare problemi che vanno dall’economia in senso stretto a fenomeni sociologici complicati e di difficile risoluzione come la guerra.

Come posso non essere terrificantemente attratta dalla vastità dell’impiego di una tale rivoluzionaria fonte di conoscenza?

Ma andiamo nel dettaglio per i neofiti, gli altri perdoneranno il mio eccesso di entusiasmo.

Di cosa parla, dunque Aumann nel suo saggio?

La teoria dei giochi, lo dirò in parole povere ( perdonami Neumann) è una disciplina capace di studiare l’interazione strategica tra soggetti razionali.

Pertanto, proprio per questa necessaria premessa può essere applicata in vari campi cosi come nei problemi di logica e nella teoria di sistemi e dell’informatica.

Sebbene originariamente si focalizzi su “giochi” a somma zero ossia interazioni in cui i guadagni o perdite di ogni protagonista siano perfettamente bilanciati da quelli degli altri ( in sostanza nessuno primeggia sull’altro in una situazione di omeostasi) può essere applicata a una gamma vastissima di relazioni sociali e comportamentali riuscendo a identificare la natura logica delle decisioni e se posso osare individuare anche quelli che pareto chiama i residui, ossia gli scarti illogici di tali scelte.

Comprenderete che vista in cotal ottica, la teoria dei giochi può servire proprio per quegli eventi schismogenici che riguardano le relazioni tra stati e individui in contrapposizione violenta uno con gli altri.

Si proprio la guerra detto in soldoni.

Quindi grazie a Neumann e agli ulteriori sviluppi che la teoria ha avuto negli anni successivi, si possono studiare e individuare sia le strategie disequilibrate sia quelle equilibrate in cui è possibile raggiungere stati emostatici cosi come stati sbilanciati a favore di uno o dell’altro partecipante

in tale modello la premessa indispensabile è che l’obiettivo primario di tale interazione è vincere.

Per poter ottenere, dunque tale traguardo tutti devono essere a conoscenza delle regole del gioco e sopratutto, essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola mossa, ossia la strategia.

Tale scelte obiettivamente saranno dipendenti dalle strategie adottate da tutti i giocatori che quindi potranno ottenere un determinato compenso che verterà dal positivo, negativo o nullo.
Un gioco quindi potrà essere a somma costante se per ogni vincita di un giocatore vi è una corrispondente perdita per altri fino ad arrivare alla somma zero” ( la situazione il pagamento viene corrisposto da un giocatore all’altro) e quindi per ogni “obiettivo” verrà proposta o adottata una tattica da seguire strettamente determinata per ogni giocatore.

Altrimenti è necessario “calcolare” e rendere massima la speranza del valore atteso. ( media dei possibili compensi positivi o negativi moltiplicato per le rispettive probabilità di verificarsi).

Grazie a questo ogni conflitto potrebbe erre analizzato e perfino diretto vero un valore assunto come obiettivo, dall’analista di turno.

Comprendete che enorme possibilità ci dona la scienza?

Ed è proprio questo l’oggetto del saggio in questione.

Analizzando questa teoria i suoi sviluppi e ogni applicazione o possibile risultato da a tutti noi, me compresa, uno strumento capace di ottimizzare l’energia, risolvere o gestire i conflitti o persino togliere loro quell’alone misterico che li rende cosi appetibili.

Fino ad arrivare al dato a cui ogni stato aspira ossia il gioco cooperativo.

Che si presenta quando gli interessi dei giocatori non sono in opposizione

diretta tra loro, ma esiste una comunanza di interessi.

E mentre leggiamo, analizzando con la semplicità complessa della formula matematica diventiamo, al tempo stesso parte di un sistema cibernetico che considera il mondo non già come una compagine casuale di elementi equidistanti e indipendenti, ma ci sentiamo calati in un mondo diverso parte di una rete di relazioni che ci immergono in un tutto fluido, interdipendente e interconnesso.

E fidatevi, nulla più potrà mai essere visualizzato, rappresentato con lo stesso egoico atteggiamento di camaleontico suprematismo.

“Come diventare Leonardo da Vinci” di Mario Taddei. A cura di Alessandra Micheli

Questo libro vi farà davvero diventare piccoli geni?

Non so dirvelo.

So soltanto ed è una certezza che leggerlo a me ha fatto divertire, emozionare e mi ha dato idea della meraviglia di questo strano essere umano, cosi tanto decantato dai poeti ma cosi vituperato proprio dai suoi figli.

Il concetto di umanità ha infatti subito tante trasformazioni dovute a cambiamenti sociali, economici e morali.

Si è passati da un’idea di evoluzione a una sorta di abbrutimento totale che ha reso il figlio di quella divinità aliena eppure presente in natura solo un pavido sottomesso tremolante soggetto.

Troppo fragile per affrontare l’immensità dei cieli e della scienza, troppo bisognoso di cure costanti anche se rischiavano di divenire una sorta di prigioni dorate.

Noi capaci di nominare il mondo, dotati di libero arbitrio abbiamo delegato per secoli quella porzione di scelta a chicchessia.

Stati entità liturgiche, dominatori, influencer o guru d varia specie.

Abbiamo barattato la creatività e quindi il movimento con la stasi e la sicurezza. Il cambiamento con la mortifera routine.

La sperimentazione con l’adesione pedissequa a passi che non sono nostri, non ci appartengono e spesso mortificano quella sorta di ribellione che permise a Eva di conoscere il bene e il male e a Prometeo di regalare il mistero del fuoco.

E’ vero.

Queste intemperanze hanno causato anche danno.

Icaro si è bruciato le ali.

Eva è stata ripagata con dolore e sofferenza.

I Nephilim sono stati condannati a essere visti come demoni.

Ma tutti, seppur pregni di dolori e punizioni hanno conservato uno strano scintillio nello sguardo.

Una sorta di sorriso sghembo, misterioso lo stesso che ravviso nel bel volto di monna lisa.

E lo stesso che vedo nel ritratto di Leonardo appeso nella mia camera.

Quindi comprendete bene che il solo raccontare l’esperienza umana di Leonardo per e valga molto di più che l’aspettarmi, il credere o lo sperare che alcuni di voi davvero diventino Leo.

O che possano conquistarsi il posto nella storia.

A me serve che il nostro buon Mario con questo testo vi stuzzichi, vi faccia capire quante possibilità, quanti talenti abbiamo conservati nella bisaccia.

E che questi vanno spesi non sotterrati in attesa che qualcosa germogli.

E se uno solo di voi si renderà conto che la macchina perfetta chiamata uomo può davvero creare meraviglie mi basterà.

Mi basterà se alcuni decideranno di dire fanculo a questo mondo ovattato, cosi rigido in cui si è soltanto se si soddisfano requisiti immorali come la corsa al successo a ogni costo, come l’assecondare le leggi non scritte di chissà quale entità.

Leonardo studiava, sperimentava, contestava, si ribellava, si faceva domande e andava con il pensiero oltre perison il suo secolo.

Farlo non so se vi renderà geni.

Ma sicuramente umani si.

E abbiamo bisogno di persone che parlino con la propria anima, fonte di creatività e di meraviglia.

Buona sperimentazione allora.

Aspetto la vostra arte.

In qualsiasi aspetto di questa vita che è davvero una grandiosa avventura.

Mamma, mamma, questo è il mio destinoStare sopra il tetto a sona’ il violinoDillo a babbo, dillo alle sorelleSe nessuno sente, sòno per le stelleDillo a babbo, dillo alle sorelleSòno per me solo, sòno per le stelle

Roberto Vecchioni

“Tempo e divenire” di Marcello Risicato. A cura di Patrizia Baglioni.

La filosofia ha un fascino inquietante, attrae per la natura dialogica e meditativa, per la possibilità di spingersi oltre il sensibile e “navigare verso la metafisica”.

Troppo spesso ci si dimentica che la filosofia è scienza, è metodo, è ragionamento esatto, sì aggirabile ma soggetto a dimostrabilità.

Anche Marcello Risicato rimane irretito dal canto della filosofia e a trascinarlo nei meandri della riflessione, è la questione del tempo.

TEMPO E DIVENIRE è un compendio irrinunciabile per gli appassionati, perché non solo sintetizza le teorie sul tempo che vanno dalla filosofia antica a quella contemporanea, ma offre un punto di vista originale e rispettoso della tradizione filosofica.

Alla fine di ogni breve analisi, l’autore inserisce delle parole chiave che vadano a sintetizzare il contenuto della trattazione precedente.

La domanda da cui partire naturalmente è “Cos’è il tempo”?

Gli antichi già avevano le idee chiare e con logica ferma offrono il loro apporto, difficilmente si riesce a scalfire le solide basi della loro razionalità, si può solo aggiungere, rivedere e aggiustare, cosa che la fisica moderna prova a fare con Newton.

Il fatto è che la questione del tempo è estremamente complessa in quanto coinvolge più sfere. Quella fisica e prettamente quantitativa, quella metafisica meramente qualitativa, quella percettiva come Kant ci ricorda e quello psicologica, come ben sottolinea Sant’Agostino.

Cominciare a chiedersi è semplice, darsi risposta lo è meno, così Risicato ripercorre gli studi effettuati dai grandi pensatori distinguendo il tempo dal divenire e considerando la possibilità che il tempo in realtà sia solo illusione.

E lo spazio qual’è la sua implicazione con il tempo? I due coesistono sullo stesso piano da sempre richiamandosi uno all’altro, gemelli di uno stesso creatore.

Ecco a proposito di creazione, come si è originato il tempo?

Da questo momento Risicato prova a progredire, a dare nuova voce alla questione del tempo e si mostra convincente.

La questione avvince perché ad un certo punto anche il libero arbitrio viene chiamato in causa.

Perché il potere di decidere sulle proprie azioni è implicato con il tempo?

Bhe se la meraviglia si è destata in voi, e le risposte premono sulla vostra curiosità, lasciatevi conquistare anche voi dal mondo della Sapienza e della Saggezza.

Risicato oltre ad apportare qualcosa di nuovo, riesce in un’opera ancora più importante, riporta la filosofia alla quotidianità, dove chiedere è lecito e cercare una risposta valida non è tempo perso, ma tempo essenziale.

D’altronde il tempo ci accerchia, domina le nostre giornate, costruisce i nostri ricordi e organizza la nostra agenda.

Il tempo è cosa di tutti, eppure non sappiamo cos’è, per saperlo gestire forse è bene comprenderlo.

Non sapete come fare?

Basta leggere TEMPO E DIVENIRE di Marcello Risicato.

Buona lettura!

“Homo, arte Scienza” di Pietro Greco, Di Renzo editore. A cura di Alessandra Micheli

All’inizio non c’era divisione.
Tutto veniva emanato da un energia spiegabile sia in numeri che in versi.

La bellezza li legava, una fatta di armonia e di leggi che rispecchiavano il cielo. Cosi in cielo e cosi in terra.

Mentre la curiosità umana accoglieva l’invito del numinoso a indagare e nominare il mondo che ci circondava, l’arte e la letteratura donava loro la profondità che gli spettava.

Cosi il numero aureo era si matematica ma anche ritmo e suono primordiale. Era illusione e poesia, era leggiadria e regola.

Nulla si distingueva, gli uomini e sopratutto quelli curiosi, gli scienziati non si esimevano dall’amare anche il regno dell’immaginario.

Pleroma e creatura danzavano assieme.

Ed è dalla loro danza che è nata la nostra civiltà.

Poi qualcosa li ha disuniti.

Come tra fratelli una lite per la supremazia, per essere i prediletti dal padre ha creato una cesura.

E da questa fessura è entrata polvere, marcio, e perché no scorie.

E sono queste che hanno acuito la distanza.

E oggi noi soffriamo di questa dicotomia tanto amata da Cartesio: realtà e illusione, mente e natura, spirito e meccanico.

Siamo inondati dalla schematizzazione e da una gerarchia inutile.

La scienza perde la poesia e diventa solo calcolo e struttura.

La poesia perde la scienza e divenuta solo vaneggiamento senza regole.

E entrambe soffrono di solitudine.

Proprio perché nati dalla stessa energia, chiamata dio.

Questo è il dramma.

Togliere dalla matematica lo stupore, dalla fisica il senso di meraviglia, dalla storia la fantasia le rende scialbe, orpelli per un ego smisurato.

E togliere la bellezza del numero e delle coordinate dall’arte la rende un mero esercizio presuntuoso senza significato ne senso.

Una semantica adatta a bambini che si viziano dell’idea di essere priori, senza che si abbia il confronto.

Ecco che l’uomo, nato con quel senso unico del pensiero dalla notte dei tempi ha creato questo mondo fatto si di struttura ma anche di sottili legami.

E in quei legami noi troviamo ciò che serve per tenere assieme incollato questo mondo.

Uomo, arte e scienza sono un tutt’uno indissolubile ogni regola armonica esiste appunto il senso dell’incanto, della proporzione, dell’equilibrio.

Tutto dipende dall’altro in una rete, in una ragnatela che è al tempo stesso materiale e sogno.

Perché senza sogni, nessuno scienziato ha avuto il coraggio di superare il limite.

Ed è questo libro che restituisce unità alla divisione scellerata di un essere che è forse meno uomo e troppo oggetto.

Che ha perso la volontà di lasciare che l’incanto si manifesti.

Nell’arte, letteratura o numero.

In fondo l’arte è connessa alla regione tramite l’evoluzione, la fusione essendo in fondo fratelli di uno stesso punto originario.

E ispirazione.

Perché sia Hugo che Newton in fondo, hanno aspettato un segno, un simbolo per entrare a passo danzante in quella regione ctonia che è preclusa a chi non ha il potere dell’immaginazione.

E allora ritroviamo quello che per troppi secoli ci hanno tolto, riuniamo i fili e intessiamo di nuovo, grazie a Pietro Greco questo arazzo.

Non ce ne pentiremo.

“Ucciderò il gatto di Schrodinger” di Gabriella Greison, Mondadori. A cura di Alessandra Micheli

Già conosco la domanda che scaturirà in voi lettori, leggendo questa mia lettera d’amore alla fisica quantistica: cosa ti sei fumata?

E io vi rassicuro.

Assolutamente nulla.

E’ un amore che nasce da lontano, dal giorno in cui innamorata delle teorie batesoniane lo imitai, cercando di coniugare, finalmente, in un matrimonio perfetto creatura e pleroma.

O detto volgarmente spirito e materia.

Da troppo tempo divisi, da troppi eoni considerati incompatibili, incapaci di incontrarsi, incapaci di trovare un punto di unione, come in fondo capita persino al sole e alla luna.

Soprannaturale si rifuggia nelle sue fosche interpretazioni della vita, si rannicchia nella parte ctonia del nostro io fino a divenire quell’ombra con cui, una volta almeno nella vita, dobbiamo fare i conti. E il meccanico?

Lui si consola dandosi regole precise, ferree, dove tutto è certezza, dove la spiegazione caccia proprio quell’ombra che appare spesso come un mostro, ghignante e pernicioso.

Non è in fondo il mistico che corrompe gli animi?

Facendolo sprofondare nella barbarie dell’ignoranza?

Non è, come diceva Marx, la religione oppio per i popoli affamati di giustizia?

E cosi gli emisferi si combattono, ognuno difeso dal suoi gruppo di grupie esaltate dal trovarsi, finalmente, in una lotta per la supremazia della verità.

Troppo indifesi eravamo di fronte al dubbio, quello che fece crollare i grandi sistemi di pensiero.

Troppo sperduti senza una bandiera da seguire.

E cosi, l’opposizione tra i due emisferi divenne il nuovo modo per interpretare la vita e renderla meno folle, meno misteriosa: ognuno aveva pronta la spiegazione giusta.

Ognuno in fondo, aveva di nuovo il suo beato paradiso.

E io?

Io ero completamente inadatta a partecipare al gruppo di pressione.

Ne il soprannaturale mi arricchiva, ne il meccanico.

Ognuno reo di non donarmi quella sensazione di unità che avvertivo nel cosmo e sopratutto nella biologia.

Magica e misteriosa mi sembrava la cellula umana!

E ancor più straordinario il miracolo dell’atomo capace di creare molecole e poi cellule e poi organi.

Come poteva questo mondo interconnesso essere spiegato cosi, semplicisticamente, da esaltate teorie granitiche?

Ecco che la scienza, cosi affascinante,si rivelava incompleta, quasi sulfurea per quella sua arrogante pretesta di sostituirsi all’Ennade delle divinità, portatrici di un ordine armonico chiamato Maat.

E allora, direte voi, cosa ci azzecca la fisica quantistica?

Tutto.

Essa è la coniugazione dei due emisferi che in questa scienza trovano il loro paciere.

Quantistico divine tutto il mondo.

Tutto è spiegabile attraverso le scoperte di Einstein.

Persino la mente.

Tutto è possibile.

Persino la fantascienza.

L’universo diviene un telaio fatto a stringhe.

Il tempo sparisce, quasi sospeso dalla meraviglia della relatività. Newton si scusa, perché in fondo non aveva assolutamente ragione.

E il cosmo, e lo spazio divengono infinito, diviene un qualcosa che addirittura di autogenera.

E noi?

Noi siamo parti di un meccanismo preciso, quasi guidato da intelligenze superiori, capaci di ordinare il caos e rendere caotico l’ordine.

Le stesse certezze, grazie alla fisica quantistica svaniscono, persino noi non siamo altro che un riflesso di un occhio onnipresente, di un interpretazione chiamata realtà.

E il tempo assume il tono di eternità

Tutto questo con la fisica quantistica?

Si miei cari lettori.

E sapete qual’è la più straordinaria equazione della storia di questa disciplina mistico meccanica?

Quella di Erwin Schrödinger .

Che grazie al suo paradosso, tormenterà le notti e i giorni di Alice, ma al tempo stesso la guiderà verso le meraviglie lande della crescita personale.

Cos’è mai questo gatto quindi?

E’ un esperimento mentale, ideato dalla genialità di uno scienziato che unisce, quindi disciplina fisica a spunti psicologici e anche filosofia, del 1953 con lo scopo di illustrare come, la meccanica quantistica, possa diventare paradossale se applicata a un sistema fisico macroscopico.

Ma aspettate sapete cos’è un paradosso vero?

Ci sono due significati delal parola.

Il primo rimanda a una cosa tecnica: è una proposizione formulata in apparente contraddizione con l’esperienza comune, con i principi elementari della logica, ma che all’esame critico si dimostra valida.

Vi state già interessando vero?

Sento i vostri neuroni che si attivano, sconvolti e stuzzicati dalla comprensione enorme della scoperta di Ewin.

Secondo significato. Stavolta ringraziamo la letteratura greca per averci donato quest’etimologia: breve narrazione di fatti straordinari o aneddoti bizzarri della natura e della storia, per lo più raccolti in sillogi.

Capite?

Già solo definendolo paradosso quantistico, Erwin unisce due terreni che si stavano combattendo: il fuori dall’ordinario e il bizzarro e l’analisi critica, fonte indiscutibile e inattaccabile del processo scientifico.

Ecco che andando decisamente fuori dal comune senso di logica, si presenta un gatto che, in uno stato noto come sovrapposizione quantistica, può essere contemporaneamente vivo che morto.

Oddio ci stiamo perdendo vero?

Si possono anche costruire casi del tutto burleschi. Si rinchiuda un gatto in una scatola d’acciaio insieme alla seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d’essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un’ora forse uno dei suoi atomi si disintegrerà, ma anche, in modo parimenti probabile, nessuno; se l’evento si verifica il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un’ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato, mentre la prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione dell’intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso

Erwin Schrödinger

In sostanza, detto in parole povere, il gatto dentro questo marchingegno da lui congeniato è vivo o morto?

O entrambi?

E sapete la cosa ancor più interessante?

Che le particelle subatomiche, si comportano esattamente allo stesso modo.

Possono essere “vive” o morte.

E sapete da cosa dipende?

Dall’osservatore.

E’ lui che vede realizzarsi solo una delle due alternative, perché egli stesso fa parte di uno dei due possibili stati dell’intero universo.

Come a dire, che la realtà è reale perché esiste l’osservatore che l’osserva.

Che io sono, perchè ho la possibilità e la follia di definirmi.

Cosi, la stessa Alice in piena crisi esistenziale, incontrerà tramite la fisica uno dei più importanti detti Zen: va tutto bene. Se va male cambia pensiero.

Tramite un libro divertente, godibile e intellettualmente stimolante, l’autrice potrà farvi appassionare alla fisica dei quanti.

E forse, allora, non avrete più bisogno di un guru o di un qualsiasi maestro di vista.

Perchè in fondo sarete un po’ come il gatto della scatola: tutto e il contrario di tutto.

“Cosa pensano gli animali? Un viaggio sorprendente alla scoperta del mondo animale” di Karsten Brensin di Newton Compton editori. A cura di Patrizia Baglioni

Vicino casa mia abita Paco, un bellissimo esemplare di Pappagallo Cenerino.

Dalla sua spaziosa voliera, ci saluta fischiando allegramente ogni volta che passiamo.

Per le mie bambine andare a trovare Paco ormai è un rituale, ma la visita dell’altro giorno è stata speciale perché il proprietario ci ha raccontato la sua storia.

Quando era piccolo, sua zia gli riportò questo uccello non ancora adulto catturato nella foresta, il signore ricorda bene quel giorno perché non ricevette solo un dono ma un amico.

Oggi Paco ha 44 anni e lui qualcuno in più, sono cresciuti insieme e a vederli non sfugge il rapporto simbiotico e lo sguardo di fiducia reciproca con cui si guardano.

Proprio in virtù di tale legame, ad un certo punto il padrone decise di essere solo un amico e lasciò libero il suo compagno di giochi.

Rischiò, ma Paco non tradì la sua aspettativa, per anni ha volato felice sui nostri tetti restando fuori per uno o due giorni, ma ogni volta tornava felice al suo nido.

Per questo qualche anno fa quando non lo vide tornare dopo una settimana, il proprietario subito si allarmò, aveva ragione: Paco era stato rapito.

A nulla valsero le ricerche, dopo venti giorni furono gli stessi rapitori a riportarlo a casa, l’uccello era stato preso come compagno per la loro pappagallina ma lontano da casa, aveva smesso di mangiare e si stava lasciando morire.

La cosa li aveva talmente colpiti da presentarsi a casa del mio vicino rischiando una denuncia, ma a quel punto l’importante era salvare il Pappagallo.

Mentre il proprietario raccontava, Paco lo guardava partecipe e si lasciava coccolare poi faceva altrettanto avvicinando la testa al suo viso, sfregava il becco contro la sua guancia.

Uno spettacolo per me e le bambine che ascoltavamo a bocca aperta.

Ora che conosciamo la sua storia il nostro rispetto per Paco è ancora maggiore.

È questo lo stesso effetto che provoca il libro COSA PENSANO GLI ANIMALI? scritto dal biologo KARSTEN BRENSIN e pubblicato dalla NEWTON COMPTON EDITORI.

Il testo ha infatti l’obiettivo di ampliare la nostra conoscenza del mondo animale, che non è poi tanto lontano dal nostro visto che comunque si parla di sesso, cultura, gioco, pensiero, emozioni e comunità.

Così come scorriamo le pagine più che vedere in cosa gli animali differiscono da noi, ci sentiamo più vicini a loro.

L’etologia, la scienza che studia con metodo rigoroso il comportamento animale per confrontarlo a quello umano, per molto tempo è stata fonte di importanti ricerche raggiungendo il suo apice nel secondo dopoguerra con gli studi di Konrad Lorenz.

Poi lentamente la disciplina è caduta nel dimenticatoio e spesso mi sono chiesta il perché.

Eppure i video curiosi di animali sono i più visualizzati e a volte si nota verso i propri amici domestici un attaccamento morboso e compulsivo.

La sensibilizzazione verso il mondo animale oggi sembra diffusa, ma qualcosa non torna.

KARSTEN BRENSIN ci spiega il perché, l’individuo seleziona le informazioni accettando per sé solo quelle comode, questo però ci porta ad una conoscenza arbitraria, non solo del nostro amico domestico ma di tutto il mondo animale, ed è un vero peccato.

Leggere delle orche mammone, dei delfini che si chiamano per nome, o dei corvi che scivolano sul tetto perché amano divertirsi, non mi ha solo interessato, mi ha fatto guardare a queste specie con ottica diversa, non sono più animali, sono orche, delfini, corvi ecc, posso dire di conoscerli meglio, ora so che essi vivono con pieno senso di organizzazione, che alcuni di loro sanno perdonare e altri hanno un sistema di pensiero consapevole, no, non sono semplici animali, sono creature degne del massimo rispetto.

Nonostante l’approccio scientifico, il testo è estremamente scorrevole, emerge la passione dell’autore e alcuni sketch sugli animali sono esilaranti.

La spiegazione che ne consegue di solito crea un ponte con il mondo umano e viene spesso da chiedersi chi sia rimasto allo stadio più primitivo!

Una lettura stimolante che tutti noi dovremmo fare per ricordare che

“molti animali pensano e sentono come noi a livello individuale ma non sono in grado di usare la forza per difendersi dai nostri abusi pianificati strategicamente e commessi congiuntamente.”

Facciamo di questo invito buona regola perché quando guardiamo negli occhi un animale, riconosciamo un parte di noi.

“Rivoluzione digitale italiana” di Giulio Giorgetti. A cura di Alessandra Micheli

indipendenza digitale

Il mondo di internet è stato protagonista di molti romanzi e di parecchi saggi.

E’ grazie a questo universo virtuale che la creatività, letteraria in primis, ha potuto dare la vita a tanti generi diversi dal cyberpunk al genere psichedelico, laddove di intreccia un discorso prettamente social politico, ossia limiti e distorsioni di quell’universo parallelo che è quasi una distorsione della nostra realtà.

E cosi le intelligenze artificiali divengono protagoniste della dialettica, spesso contro, il nostro post moderno dove l’eccesso di tecnologia sembra sostituire persino ( grazie alla realtà virtuale) persino le emozioni umane.

Dal robot al cyborg, ossia un strano innesto di umano e meccanico, quasi un archetipo di questo strano mondo che tenta di convivere con tradizione e innovazione, con moderno e rigurgiti nostalgici.

In sostanza, l’avvento di internet e della possibilità di comprare on line, di essere a contatto annullando le distanze, riuscire a gestire tutta la propria vita anche finanziaria con un solo click, è stato visto come un fatto aberrante.

Emblematico è stato il caso del primo mondo virtuale, un onirica realtà fatta di personaggi perfetti, di mondi quasi tangibili e di identità azzerata come Second life.

Da quell’esperimento odiato e considerato pericoloso dai psicologi si rivelato la soglia oscura e la perniciosità di un sistema che sembra sostituire l’essere umano, cercando di annullarlo per inglobarlo nel proprio sistema cibernetico.

Ma è proprio cosi?

Davvero l’innovazione digitale è solo disastro?

Ci possono essere, invece, opportunità insospettate anche in un qualcosa che è divenuto il nuovo demone da cacciare?

Io non credo che esista qualcosa di totalmente malvagio.

Siamo sempre noi a dover usare tutta la tecnologia nel modo migliore per facilitare la vita, per creare cambiamento.

E spesso avviene esattamente il contrario ci facciamo usare, delegando sempre ad altro fori di noi la responsabilità di scegliere persino di dire di no. Nel caso dell’era digitale ci siamo accontentati dell’esterno di chi ci concede la possibilità di divertirci trattandoci alla stregua di bravi bimbi obbedienti a cui papà ha elargito un ora di gioco.

E concordo con il nostro autore: tendiamo a accettare in modo passivo ogni colonizzazione.

Che si letteraria preferendo sempre la narrativa straniera alla nostra e mettendo quindi a rischio il nostro particolare ethos culturale. O accettando l’invasione di prodotti enogastronomici altrui, lasciando i nostri in balia del caos.

Succede persino con internet che totalmente in mano del nostro miglior alleato, l’America.

Ma perché non rendere vivo il concetto di competizione onesta e corretta?

Perché limitarsi a usufruire il genio altrui e non sviluppare il nostro?

Non è soltanto una sorta di strano torpore che rende manifesta la decadenza, voluta da noi e dalla politica del nostro paese.

Questo lassismo come scrive Giorgietti ci toglie una parte importante di introiti con cui dare una spinta non solo alla nostra economia ma alla nostra sicurezza.

Parliamo tanto di la burocrazia, ci sono tanti solerti impegni che però alla luce della pratica non possono fornire risultati.

Introdurre il digitale anche nelle funzioni di governo non ci rende schiavi di quel mondo, ci rende semplicemente capaci di cavalcare le potenzialità del nuovo e agevolare la vita di ogni cittadino.

Non significa togliere posti di lavoro ma inserirne altri.

Spronare la normale e atavica curiosità del nostro paese verso i sogni e verso orizzonti mai esplorati finora.

Come Marco Polo ad esempio, che non ebbe paura di imparare la tecnica e la scienza dal vicino oriente.

Uscire da ogni colonialismo è un modo per ritrovare un po’ il senso perduto della nostra bella patria: quello di tornare ad essere un popolo di sognatori, di navigatori e di artisti.

Soltanto l’arte può anche essere espressa e deve essere espressa in altre forme.

E può coesistere con una tradizione che sarà sempre la base su cui si impianta il nuovo. Leonardo da Vinci ce l’ha insegnato.

Giorgietti con questo saggio ci da spunti pratici.

Fateli vostri.

E facciamo crescere questo bel paese che rischia di diventare stagnante.