Non neghiamolo.
A noi italiani piace parlare di tutto, piace discutere e fare polemica; ci siamo lamentati del Natale, del Capodanno seppur ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo e dall’euforia delle festività, dei regali, delle tavole imbandite.
Siamo stanchi?
Ci siamo già ripresi dal tran tran delle festività?
Ovviamente no.
Siamo ancora tutti un po’ storditi e intorpiditi dalle riunioni familiari, dal coma etilico e dalla quantità industriale di cibo che abbiamo mangiato per tradizione.
E adesso?
E adesso si parla del Festival di Sanremo.
Puntuale come un orologio dal 1951 il festival della canzone italiana entra prepotente nelle nostre case con anticipazioni, con i big, con i giovani, con gli ospiti e con i suoi presentatori.
Gli italiani si dividono in 4 categorie per quello che riguarda il festival:
Chi lo vede
Chi non lo vedrà nemmeno sotto tortura come se si trattasse quasi di una posizione politica
Chi fingerà di non vederlo ma poi non si perderà una serata
Chi non lo vedrà ma farà di tutto per criticarlo
Tra amore e odio a breve inizierà l’attività più amata dagli italiani: la polemica
Nel 1964 una Gigliola Cinquetti ancora in erba vinceva il Festival con la canzone: “Non ho l’Età”
Non aveva l’età per amarlo, per uscire sola con lui…
Oggi nel 2024 io ho l’età invece per parlarne; di chi?
Ma ovviamente del Festival di Sanremo visto e considerato che ci son cresciuta, che ci ho riso, che ci ho pianto, che quelle canzoni hanno accompagnato i momenti più belli, più felici, più divertenti e tristi della mia vita.
Il festival della canzone italiana segna un percorso storico e sociale ma anche personale di chi lo guarda, di chi non lo guarda ma poi ne canterà comunque tutte le canzoni.
Facendo un excursus nel tempio dei ricordi per quello che la memoria mi possa aiutare, nel 1977 Homo sapiens vince con la canzone: Bella da morire.
Presentatore il grande Mike Bongiorno.
Nel 1978 i Matia Bazar con:e dirsi ciao
Nel 1985 i Ricchi e poveri con: se m’innamoro
Nel 1996 Ron e Tosca con: vorrei
Salto astro temporale nel 2023 con due vite di Mengoni.
Sapete la cosa allucinante qual è?
Che per ogni anno di Sanremo che è stato trasmesso io le canzoni le so tutte, ma tutte tutte, nessuna esclusa persino quelle che cantava mia madre.
Il festival ci segna, ci fa sentire di appartenere a una cultura, a un popolo e per chi come me vive all’estero questa appartenenza diventa un patrimonio necessario per farmi sentire ancora legata con un cordone ombelicale fatto di musica e parole al mio paese natale.
Alle mie origini.
Quando mi è stata proposta questa lettura ho sorriso perché era un po’ come se la stessi aspettando.
Come se in cuor mio sentissi che questo momento sarebbe prima o poi arrivato.
Chi legge tanti libri sa che prima o poi qualche libro parlerà anche un po’ di lei.
E i libri questo fanno, ci ricordano la nostra storia attraverso le loro storie.
Questo romanzo ci mostra il festival visto dagli occhi di chi lo ha vinto ma che fa rivivere tanti momenti piacevoli a chi il festival non lo ha vinto ma come me lo ha visto.
Il festival della canzone italiana si tiene a Sanremo, la bellissima città dei fiori dal 1951.
Vi partecipano concorrenti, ospiti, direttori d’orchestra più famosi e unici della musica italiana.
Rappresenta non una manifestazione frivola e leggera ma uno spaccato dell’Italia.
Iniziata come manifestazione canora subito dopo la guerra ci mostra la forza e il potere dell’evasione del dopoguerra: un’Italia che si affaccia alla modernità.
Attraverso la diretta in Eurovisione, divi, stelle, dischi, tormentoni, scandali, polemiche perché come diceva il grande Pippo Baudo: “se il festival non crea polemica, allora il festival non lo hai fatto bene”.
Il festival è la componente del DNA della cultura italiana, passano gli anni e si modifica, cambia adattandosi alla società e al tempo. Ai periodi storici e al linguaggio che anch’esso cambia e si modifica in base all’andamento delle nuove generazioni.
Da Grazie dei fiori allaTerra promessadi Eros, al Non voglio mica la Luna, all’Italia sì Italia no, all’Italiano vero di Cotugno, alle lacrime con Perdere l’amore con cui si sono straziate tutte le coppie lasciate e abbandonate.
Le canzoni sono fatte di parole e le parole attraverso la musica ci raccontano le emozioni ma anche la storia.
Ascoltando una canzone si attivano modificazioni chimiche nel nostro cervello che favoriscono la produzione di endorfine e di dopamina (ormoni responsabili della felicità).
La canzone ha un enorme potere evocativo; ci permette quella che si chiamaimmedesimazione nel testo.
Alcune canzoni ci fanno stare bene, ci mettono allegria, ci rendono malinconici, ci danno coraggio, ci mettono tristezza, si trasmette un pensiero, si fa anche una denuncia sociale, ci si ribella, si comunica, si trasmette.
La cosa più bella che fa il festival è quella di mettere insieme generazioni diverse, tenendole incollate agli schermi: giovani e vecchi una sfida difficile e complessa che è nelle mani degli artisti ma anche e soprattutto del direttore artistico del Festival.
Proprio poco fa è stato annunciato il direttore artistico del prossimo festival, confermando Amadeus: un presentatore che agli inizi guardavo con diffidenza e che invece oggi considero degno successore di Mike Bongiorno e di Pippo Baudo.
Un uomo che sa fare spettacolo, che sa tenere spettacolo, che sa far sorridere e che riesce a mantenere integri gli equilibri quando questi equilibri vacillano. Ricordiamoci l’episodio tra Bugo e Morgan.
Questa lettura mi ha fatto fare un viaggio nel tempo a ritroso, facendomi vedere i dietro le quinte del festival; ma anche il dietro le emozioni dei vincitori,alcuni dei vincitori più importanti che hanno segnato la storia del festival.
Si inizia dalla bellissima prefazione di Amadeus dove questo ci mostra come il sogno di una vita diventa realtà.
Per una come me per la quale il festival era stato da sempre Pippo Baudo sentire le emozioni di Amadeus e la sua forza ha aperto una finestra nuova su un mondo che conoscevo da spettatrice.
Il direttore artistico che si assume la responsabilità di uno spettacolo così importante per il nostro Paese è qualcosa di bello, di sano, qualcosa che ti fa sentire libero.
Confesso personalmente che per un periodo di tempo non ho visto il festival vivendo all’estero, i collegamenti complessi, il lavoro, ma ammetto di avere sempre seguito e cercato di recuperare guardando video on line, le parti salienti dei vari festival che non ho seguito in diretta. Conoscendo tutte le canzoni, cantandole.
Ricordo quella sensazione, quel tuffo al cuore quando Diodato cantavae fai rumore. Il momento in cui in un gesto che ricorda Domenico Modugno a braccia aperte canta, urla un’emozione che fa un rumore immenso.
Lì ho sentito un tuffo al cuore, i brividi intensi di una forte emozione.
Le canzoni sono come i libri, catalizzano emozioni e ce le trasmettono con potenza, con forza, senza chiedere permesso, sfondano le porte delle nostre emozioni.
Chi canta al festival si mette in gioco e si mette anche in discussione. Si assume delle responsabilità e accetta dei rischi.
E seppure la canzone italiana sta cambiando il linguaggio, quei sentimenti di base dell’essere umano restano intatti.
Le emozioni sono le stesse e con gli anni si amplificano e fanno anche più male e più bene secondo le circostanze, secondo il valore che diamo alle parole.
L’anno scorso ricordo ero nel mio letto. Collegata via streaming al festival che non seguivo da anni. Contemporaneamente al telefono in chat con le mie amiche più strette Eleonora, Jessica, Alessandra, commentando e facendo battute sui vari ospiti, sui concorrenti, sui presentatori, sugli abiti e lontana da casa mi sono sentita a casa, mi sono sentita parte di un progetto fatto di emozioni condivise ed è stato forse il festival più bello che io abbia mai seguito. Perché non ero lontana e non ero sola.
Perché Sanremo è Sanremo e perché fin da bambina amavo Beppe Vessicchio che mi ricordava un po’ Babbo Natale.
Il festival rappresenta il cambiamento e l’evoluzione senza mai staccare le sue radici dal passato, è qualcosa di bello che va avanti riuscendo a farti fare qualche passo anche indietro.
Un libro piacevole, interessante, scritto in maniera leggera ma profonda e sincera.
Mi fa strano pensare che io ero una di quelle ragazzine che cantava: Siamoi ragazzi di oggi e oggi invece non sono più una ragazza ma una big. Una big fan della musica, della canzone del suo Paese, delle parole, dell’armonia, della bellezza artistica e delle emozioni.
Il tempo passa inesorabile ma la musica quella bella, quella buona resta.
Buona lettura, complimenti agli autori per averci dato e regalato una fetta del festival di Sanremo attraverso sapori nuovi, grazie a chi il festival lo vedrà, a chi lo aspetta, a chi non vede l’ora di criticare ma grazie soprattutto a chi fa della musica la sua vita e la sua passione.
Grazie a tutte le Emozioni che ci avete fatto provare attraverso la forza e il potere di una canzone.
Prima dal salone delle feste del Casinò di Sanremo e dal 1977 dal teatro Ariston di Sanremo e oggi tra le pagine di un libro scritto con rinnovata passione.
Come disse Pier Paolo Pasolini: “è cominciato ed è finito il festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il festival di Sanremo e le sue “canzonette” sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società”
La sua disapprovazione non era una forma di snobismo ma spingeva verso una volontà gramsciana; verso il concetto di egemonia secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici intellettuali e morali alla società con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi e soprattutto quelle subalterne.
Il festival non è solo canzonette il festival è politica, cultura, società, religione, è un potere di cui spesso ignoriamo la forza.
Bellissima lettura.