“Stupenda creatura idiota”, Flavio Torba, Delos Digital. A cura di Barbara Anderson

Lo confesso, quando leggo i romanzi della Delos Digital mi sento veramente a casa, leggo le sue pubblicazioni ormai da un bel po’ di tempo e ogni volta riesce sempre a sorprendermi e a conquistarmi, resta una delle case editrici con un posto speciale nel mio cuore e nella mia libreria.

Quando ho visto questa cover è stato amore a prima vista, i dettagli della cover che poi si apprezzeranno ancora di più dopo aver letto il romanzo sono veramente di una bellezza quasi inquietante, di quelle che personalmente mi tolgono il fiato.

Chi è questa stupenda creatura idiota?

Oggi dovrete seguirmi per cercare di capire di chi si tratta ma sappiate che solo leggendo il romanzo fino alla fine comprendente non solo chi questa creatura sia ma anche verso quale prospettiva futura ci stiamo forse volgendo e per quanto estremamente affascinante, vi confesso che è inquietantemente vicina al mondo che ci circonda.

Siamo tutti affascinati dalla bellezza, dall’apparire, dall’essere accettati dal resto del mondo, ammirati, compresi, perfino invidiati e anche desiderati perché, che ci piaccia o meno, che vogliamo ammetterlo o meno, l’attrazione fisica, il sesso resta sempre una pulsione primordiale a cui nessuno resta indifferente.

I canoni di bellezza sono ormai plasmati, misti alla bellezza naturale, esaltata con l’uso di luci, di filtri, la possibilità di affidarsi alla chirurgia estetica per correggere qualche piccolo difettuccio. Una manipolazione dell’apparire senza possibilità di modificare però ciò che siamo veramente dentro, nel profondo.

Finché non saremo disposti ad accettarci per ciò che siamo rincorreremo per sempre una chimera fatta di superficialità, sperimenteremo il vuoto totale e a quel punto le vere creature bellissime e idiote saremo senza dubbio noi.

E se nel calderone per creare la pozione magica della perfezione estetica, ci mettessimo le nostre insicurezze, le nostre fragilità, la nostra audacia, il trend del momento, quello che attira più attenzione a livello globale anche pubblicitario, commerciale, cinematografico, se ci mettessimo un pizzico di distopia, una manciata di estetica, qualche grammo di trasfigurazione, e mescolassimo il tutto con il cucchiaio della superficialità dei nostri tempi. Secondo voi cosa potrebbe venirne fuori?

Un romanzo davvero molto bello, inquietante, che ha il sapore della fantascienza e del cyberpunk ma che ci riporta alla memoria un po’ l’audacia fantastica del grande Clive Barker, che ci inietta orrore e inquietudine se magari ricordate i suoi racconti “libri di sangue” ed è un po’ con la nostalgia nel cuore, che mi avvicino a Flavio Torba, ma anche con interesse, curiosità e entusiasmo per la sua capacità cognitiva dell’esistenza di mondi fantastici nascosti che coesistono con il nostro mondo. Un segno artistico indelebile a cui è difficile restare indifferente, egli ha la capacità di avere un ruolo costruttivo e coerente non solo in relazione alla sessualità e nel rapporto con essa ma anche nel modo in cui questo si relaziona con i dettagli del nostro vivere quotidiano.

Oggi, dove si esiste solo se si è notati, visti, discussi, criticati e ammirati la bellezza diventa il potere ma un potere spinto dalla bellezza può diventare anche una moneta, una merce di scambio, una proprietà utilizzata solo allo scopo di compiacere se stessi sfruttando la potenzialità o per far denaro o per soddisfare esigenze personali, fisiche e sessuali.

Lo sfruttamento, l’abuso, il commercio di ciò che può dare, creare piacere e portare profitto.

Immaginate se ci fosse la possibilità di modificare rapidamente se stessi e gli altri esteticamente diventando identici all’attore preferito, alla modella del momento, magari sfruttare l’arte della trasfigurazione per creare un’immagine che scuota, che inquieti, che ci faccia sentire unici, pur generando creature una identica all’altra se non nell’aspetto nell’obiettivo di compiacere a tutto ciò che ci circonda perdendo per sempre la propria individualità. 

Si ovvio a chi non piacerebbe avere un artista che sia capace di modellarci a nostro piacimento?

Non lo nego la cosa potrebbe interessare anche me, ma poi seguendo questa stupenda creatura mi rendo conto che forse non c’è al mondo creatura più bella di colei che è dotata di intelligenza, di capacità di adattamento senza cadere nelle contaminazioni esterne per compiacere agli altri.

La bellezza sta nell’essere unici nel nostro genere, nel nostro aspetto, nella nostra anima. E non c’è modificazione che possa alterare la creatura meravigliosa che sei dentro di te, al di là delle apparenze, al di là di quello che richiede la società o la moda, al di là del consumismo del mercato del piacere, del senso della lussuria e del denaro.

Il romanzo di Flavio Torba è un portale che ci porterà attraverso le sue pagine nel mondo di Palmariva, un luogo un tempo rigoglioso per il turismo, il mare, il clima e oggi ridotto a poco più di un luogo triste, grigio, tecnologico, quasi post apocalittico dove il mare non è più capace di dare nutrimento, dove i pesci sono spariti e nemmeno galleggiano più morti, dove il cielo è tetro e la gente si muove in un contrasto tra tecnologia all’avanguardia e miseria ma soprattutto aridità di valori, di morale, di etica.

Alex, il nostro protagonista, è un artista della trasfigurazione, ha avuto uno dei più grandi maestri della trasfigurazione come insegnante ma ora a causa di un errore, di uno sbaglio la sua licenza è stata sospesa.

Per andare avanti, per poter sbarcare il lunario, esegue dei lavoretti su commissione in nero, ed è un uomo di grande talento artistico, non vive ma sopravvive in un mondo dove la sua arte rende temporaneamente felici le persone, che dopo poco tempo torneranno perché non ci sarà mai perfezione abbastanza perfetta da rendere le persone felici.

Inseguire una chimera di felicità acquistando un’immagine che ci allontana da chi siamo veramente affinando la nostra pura essenza e esistenza.

Alex incontrerà Heidi, una schiava sessuale, bellissima, ma strana, stupida, apparentemente vuota, un corpo spettacolare, un vaso che all’interno sembra non avere nulla, ma quando qualcosa è vuoto si può forse riempirlo di contenuti?

Chi è questa creatura così bella, portata da questo energumeno: il cliente sporco, dall’aspetto di un contadino, che richiede di modificarla a suo piacimento perché nemmeno con tanta bellezza riesce a soddisfare la sua pervertita libidine?

Avendo tra le mai questa creatura idiota che sembra inebetita, alienata, dedita al compiacimento di qualsiasi richiesta, si apre al lettore il sipario sulla bellezza eterna verso un regno oscuro dove il business della bellezza è al servizio del crimine.

Trasfigurare un cliente, guadagnare crediti: con i crediti ci si paga l’affitto, ci si può permettere il surrogato di caffè, di cioccolato, ma anche un surrogato di vita e di esistenza.

Ma quante volte quella creatura era stata precedentemente modificata?

Chi era prima di raggiungere questa perfezione eterna che verrà manipolata chissà quante altre volte allontanandola da se stessa?

Alex comincia a cercare tra la cronologia delle trasfigurazioni che questa creatura aveva subito e quando scopre che non è di natura umana, resta allibito, ma vivrà la scoperta anche come un’opportunità, una possibilità magari di riscattare il suo nome, di ritrovare se stesso. Lui che in un mondo di perfezione era rimasto lo stesso, non aveva modificato nulla del suo aspetto e questo lo rendeva diverso da quelli che erano tutti uguali.

Ciò che Alex ha dentro di sé è la parte più avvincente della storia, la determinazione, la capacità artistica, il suo conflitto morale che lo rende più umano di qualsiasi altro essere umano.

Lui riesce a vedere oltre, cerca di capire, di scoprire, nonostante la consapevolezza di chi sia veramente Heidi. 

Accettarla per quello che era diventata o riportarla alla sua vera natura?

Il cambiamento a volte è necessario e va anche accettato. Alex instaura un forte legame con Heidi, un affetto, un interesse che va al di là del comprensibile, del morale, dell’etico, del giusto perché quando si ha dentro di sé ancora intatta una morale si scopre di non aver perduto la propria identità.

Tra identità digitale, nanotecnologia, con una narrazione che ha di fondo anche un’ironia e un sarcasmo piacevolissimo e spaventosamente bello e che affascina,che incuriosisce il lettore, tra zombi al collagene, tra la pornografia come bene di consumo (non confondetevi non è un romanzo pornografico ma un romanzo di forte impatto etico, deontologico, morale e sociale che non va preso con superficialità anche se leggendolo vi divertirete tantissimo) ci saranno profondi momenti di riflessione e di considerazione sul fatto che un’arte e una scienza può essere capace di modificare non solo l’aspetto estetico ma anche gli organi interni.

Se quelle modificazioni venissero usate anche con implicazioni militari quali potrebbero essere le conseguenze?

Insieme ad Alex, al suo fedele amico Charles Bronson; perché un poliziotto che ama il suo lavoro ovvio che voglia apparire esteticamente come il grande Charles, tra l’ingenuità e la purezza della bellissima Heidi, il desiderio di Alex di decifrare la linea sottile tra uno svantaggio e un profitto.

Cosa si fa per denaro?

Cosa si fa per necessità?

Cosa si fa per la scienza?

Ma soprattutto cosa si fa per se stessi?

L’autore Flavio Torba ci scaraventa in questa ambientazione futuristica distopica, dove gli standard di vita sono bassi ma la tecnologia e la sua potenzialità sono elevati, con risultati tecnologici e scientifici futuristici spettacolari e inquietanti che entrano in contrasto con il collasso sociale.

I personaggi di questa storia sono solitari, emarginati, vivono ai margini della società, in un futuro dove la quotidianità è fortemente influenzata dal progresso e dal cambiamento tecnologico.

Lo stile narrativo è cyberpunk ma anche noir mostrando un aspetto di nicchia in una società super tecnologica.

Alla fine del romanzo ho avuto sulle labbra un sorriso amaro dal piacere scaturito da questa avvincente lettura ma anche la consapevolezza che forse anche io son ormai una di queste splendide creature idiote con la differenza che cerco di riempire quei vuoti interiori leggendo romanzi che riescano a mostrarmi un po’ di più quello che mi porto dentro e apprezzare le inevitabili imperfezioni della persona comunque bella che sono.

Avvicinatevi ad Alex con curiosità ma anche con la consapevolezza che la verità quando viene portata alla luce mostra le oscurità più infide dell’animo umano.

“Da soli non si cambia il mondo”, Nate Ragolia, Ring world.A cura di Barbara Anderson

Sapete come sto scrivendo questa recensione? 

Con la bocca spalancata, gli occhi alzati verso il cielo, con lo stesso stupore ed eccitazione di una bambina che sta guardando un display di fuochi artificiali. 

Stupita, esterrefatta, eccitata da quella combinazione esplosiva di colori, di magia, di meraviglia che si dischiude ai miei occhi facendo esplodere dal cielo buio di una notte senza luna colori, scintille, in uno spettacolo psichedelico e caleidoscopico.

Che lettura avvincente, che divertimento spettacolare. 

Se questo libro fosse energia in questo momento sarei in sovraccarico e sento che sto per esplodere!

Aspettate un attimo, fatemi riprendere perché questa lettura l’ho divorata praticamente in una sessione, non sono riuscita a smettere di leggere e qualsiasi interruzione della vita reale che mi allontana anche per pochi secondi dalla storia era per me un acerrimo nemico.

Non ho mangiato, non ho bevuto per tutto il corso della lettura.

Intrappolata tra la meraviglia spettacolare e la trama avventurosa e dal suo messaggio sociale, politico e umano.

Che fantastica esperienza di lettura; consigliata ai ragazzi ma anche a noi adulti, perché ci fa bene vedere il futuro che poi è così simile al presente e al passato; nel corso di ciò che segna i destini di noi esseri umani.

Mossi da sogni, idee, pulsioni ed egoistici interessi di potere e di denaro.

Parliamo della politica, della società odierna, magari facendo qualche salto nel passato nella storia del nostro Paese, ovunque noi ci troviamo a vivere oggi, poiché le trame, le linee, i passaggi cambiano; le lingue cambiano, i secoli anche, ma restano sempre le stesse.

Il cambiamento si può ottenere?

Cambiare le cose che non vanno, che sono ingiuste, che non sono eque né inclusive è di fatto possibile?

Ammettiamolo che ci aspettiamo sempre che siano gli altri a cambiare le cose; poiché la responsabilità delle cose che non vanno bene di fatto non è mai la nostra.

Siamo bravi a dare la responsabilità solo ed esclusivamente agli altri, a chi ci governa, a chi prende le decisioni, a chi fa le leggi e a chi le fa rispettare. 

Siamo sempre e solo vittime e mai gli artefici di ciò che ci accade nel mondo.

Come dice il titolo: “da soli non si cambia il mondo” eppure cari miei lettori per far sì che il mondo cambi bisogna attivare la forza motrice che avvii una catena di circostanze, di eventi e di situazioni che ci spingano verso il cambiamento delle correnti, delle cose, delle direzioni sociali, politiche, culturali e perfino religiose.

Per cambiare le cose bisogna abbandonare le nostre personali paure, quelle che ci fanno vedere la realtà alterata e modificata secondo i nostri timori e pregiudizi, bisogna abbandonare l’egoismo, la fiducia eccessiva in noi stessi, bisogna imparare avedere, a farci delle domande su noi stessi, su chi siamo, sulla nostra capacità di pensare con la nostra testa, di vedere, di decidere, di scegliere, dobbiamo comprendere che siamo disposti e capaci perfino a tradire noi stessi, raccontandoci bugie, menzogne, spostando le effettive responsabilità di ciò che ci accade e che permettiamo che ci accada.

La responsabilità del mondo che viviamo è di tutti, nessuno escluso. 

Basta di fatto un piccolo gesto, una parola per scatenare una catena di azioni e reazioni che spingeranno verso il vero cambiamento che deve iniziare dal cambiamento interiore, personale.

Ricorderete sicuramente l’impatto visivo, emotivo, morale e politico del giovane studente che fermò i carri armati diretti in Piazza Tienanmen a Pechino.

Un folle? Un visionario? Un sognatore?

No.

Può un uomo solo cambiare il mondo?

Da solo puoi cercare di reclutare un gruppo di persone disposte a cambiare le cose iniziando da se stessi.

Quando ho cominciato a leggere questo libro avevo compreso da subito che mi sarei divertita ma mai avrei potuto immaginare che divertendomi, che meravigliandomi, che affascinandomi davanti alla bellezza narrativa dalla coloratissima fantasia e immaginazione dell’autore, io mi sarei avvicinata alla mia personale umanità, alla pura essenza della mia esistenza, al vero valore della mia vita e della mia presenza su questo folle pianeta che cambia continuamente, che diventa tecnologico, moderno, cibernetico sempre di più.

Come sono buffe le bugie che ci raccontiamo con la tecnologia attraverso il virtuale, gli ologrammi che ricreano cose che non esistono più, mostrandoci come se ci fossero ancora, come se ci saranno anche domani quando non ci saremo nemmeno più.

Un romanzo assolutamente, permettetemi l’aggettivo, fighissimo, distopico, eroico, pieno di azione, di visioni future e collegamenti distanti a un passato malinconico ma anche ricco di speranza per un mondo più giusto più inclusivo e migliore.

Run Ono Marks, il protagonista del romanzo, ci ricorda un po’ Blade Runner e un po’ Clint Eastwood, è pura azione e tecno-fantasia psichedelica, è energia, è dinamica, è ironia, è malinconica allegria.

Ex ragazzo privilegiato, nato e cresciuto nella Città di Sopra, rimane orfano e per poter pagare i suoi debiti è costretto a vendersi quasi tutti i suoi organi sostituendoli con parti sintetiche, ricaricabili e che richiedono una manutenzione regolare e non economica.

Vive nella città degradata di Sotto, tira avanti facendo dei lavoretti anche illegali o al limite della legalità per acquistare estensioni settimanali di energia che gli permettano di vivere un altro po’.

Ogni 7 giorni di ricarica sono la possibilità di poter cambiare le cose, sono l’estensione di un’opportunità.

Run ha solo il cervello umano e ha tenuto i suoi occhi perché sono quelli della sua mamma e il suo naso perché è quello del suo papà.

Tutto il resto è sintetico, anche il suo cuore, ma ci serve davvero un cuore organico per conservare integra la nostra umanità?

Beh Run ci dimostrerà che possiamo essere al 90% sintetici ma basta anche una sola cellula di memoria per tenere vivo ciò che ci rende veramente umani. Vi sentirete leggendo come dei viaggiatori nel futuro, come se foste saliti sulla macchina del tempo e foste stati trasportati nel futuro fatto di ologrammi, fatto di cybertecnologia, di musica cyber pop, cyber jazz, fatto di luci, di colori, fatto di ologrammi spettacolari, di strade multi-stratificate, di torri luminose che si innalzano in un cielo cobalto con scudi anti radiazioni.

La bellezza di un mondo che affascina e che fa paura.

A bordo della sua Kento M6 a sei velocità, 300 km, che si alza, che vola, con le sospensioni graviscopiche per la guida fluida, con i propulsori verticali che vorrei anche io, mi ha fatto sentire l’emozione di sedermi accanto a un pilota di formula uno mentre sfreccia tra le strade olografiche e le città di specchi circondati da droni, da mech e da militari di sicurezza e di controllo. Mi ha fatto provare il brivido dell’ignoto, mi ha fatto tremare, ridere, mi ha tenuto per tutto il tempo con il fiato sospeso. Adrenalina allo stato puro!

Le differenze sociali e politiche tra la città di sopra a la città di sotto, le differenze economiche, gli stili di vita tra i ricchi e i poveri, tra i vincenti e gli abbandonati, i disperati.

Un messaggio politico e sociale tra le righe di azione, di carismatiche guerre e battaglie per e verso il potere. 

Tra l’avidità economica, la moralità ingannata e violata. L’etica abbandonata e menzognera. 

Run otterrà un ingaggio forse pericoloso, forse folle, ma da quell’incontro per un lavoretto illegale nascerà il vero cambiamento. 

Tra droga, svapo (tipo di droga del futuro), tra denaro e potere, tra promesse di parti cyber perenni, tra somme di denaro che permetteranno una vita agiata per l’eternità nella città lussuosa e ricca del di Sopra, Run viene scelto per ripristinare la giustizia e la pace, inclusione per tutti nel Commonwealth. 

Tra due partiti politici che vogliono distruggersi l’uno con l’altro, il CAP e il BOUQUET, Run verrà usato da entrambi per ottenere i loro effimeri interessi di potere.

Il bouquet che permette di ripristinare la dignità e il diritto alla vita per tutti gli umani e synth con motti e slogan fatti di promesse e di belle parole che abbiamo sentito anche noi dai nostri politici:

Se non ora quando?

Insieme ci proveremo

Il domani può essere oggi.

Parole parole parole.

Il CAP dove il più forte esce vincente e vittorioso, promette di cambiare in meglio la città di sopra ma a scapito della città di sotto. 

Inganni, menzogne, segreti, atti di ribellioni, opposizione, morti innocenti, guerra tra ricchi e guerra dove a morire sono sempre i poveri.

Run si troverà a servire entrambi i partiti e potrà scoprire con i suoi occhi, vedere ciò che andava visto, che è la realtà delle cose, della menzogna, delle bugie che i partiti politici nutrono il popolo ingannato, mostrandoci nemici che non esistono, costruendo ribellioni e alleanze al solo scopo di beneficiarne loro stessi.

Il denaro che crea denaro, che permette di creare la felicità destinata non a tutti ma ai pochi privilegiati. I conflitti politici servono a tenere la gente legata al conflitto, facendo credere che ci siano i buoni e i cattivi, quando invece ci sono solo ed esclusivamente i cattivi.

Run conoscerà non solo le due facce politiche i ribelli e le milizie, ma anche coloro che si astengono dalla politica, i non con che invece non credono alla politica o alla necessità di un governo ma alla collaborazione, alla società che vive e lavora per tutti e non per se stessi.

Ovviamente trapela chiaramente dalle avventure di Run e dei suoi amici e nemici che la politica è narrativa, fatta di parole, di storie che ci vengono raccontate.

Run è stato usato e abusato dalla vita, dall’economia, dai governi, dalla legge e verrà usato ancora poiché il suo essere quasi totalmente sintetico è necessario al potere. 

Inutile negarlo, il potere è necessario anche a chi ha buoni intenti solo che per esercitare o controllare il potere o sottomettere bisogna scendere a compromessi con un sistema corrotto e violato. Per pulirsi a volte bisogna anche sporcarsi proprio come cita un passaggio del romanzo. 

Incontrerete personaggi avvincenti, dinamici, emotivamente sensibili, corrotti, forti. 

Sognatori, ribelli, dall’intelligenza e le capacità tecnologiche strabilianti ma soprattutto conoscerete la purezza di Run, la sua giovane energia, la sua speranza, la sua voglia e consapevolezza di poter fare qualcosa di buono, di bello perché vivere per sempre in un mondo ingiusto non è vivere, perché nella vita anche la morte è giusta: un inizio, una fine per tutto e per tutti. 

Ma mai e poi mai la fine della speranza.

Una narrazione che è corrente elettrica, che è pura energia, azione cyberpunk, critica sociale e soprattutto una lezione su cosa significa veramente essere umani.

Mente, anima e spirito in un unico elemento che ci rende capaci di elaborare concetti e di operare scelte rispondendone con responsabilità.

Un romanzo che anche dopo averlo chiuso mi ha lasciata a bocca aperta con un fiore di metallo che ha messo le radici nel mio cuore, Run è il ragazzo che tutti vorremmo avere accanto, Run è l’antieroe più eroe di ogni eroe, è il futuro, è la verità ed è la speranza.

Veramente una lettura che entusiasma, che mostra, che insegna.

Da soli non si cambia il mondo ma si cambia noi stessi.

Cyberfreejazz,Stefano Spataro,Edizioni La Nuova Carne,A cura di Barbara Anderson

L’Arte è diventata merce illegale, anche la musica; per suonare ora bisogna entrare a DIONICA, nel Nido, città nel mondo virtuale. Ma anche il Nido è sorvegliato da sinistre presenze cyber, e lo sa bene Cole, l’avatar di un musicista jazz, che si troverà intrappolato in una serie di eventi tragici e surreali, che sconvolgeranno letteralmente la sua esistenza.

***

Eccoci qui al nostro puntuale incontro per parlare insieme di questo romanzo scritto dall’abile talento di Stefano Spataro.

Confesso che Spataro ha la capacità attraverso le sue storie di farmi vivere: “multiple realtà” facendomi perdere spesso il senso della realtà che mi appartiene e trasportandomi in luoghi alternativi che scombussolano la mia etica morale, sociale, politica e culturale.

Ogni libro è un trip mentale. 

Un viaggio psichedelico nelle possibilità incredibili della tecnologia, tra le assuefazioni mentali, le dipendenze psichiche, l’alienazione sociale.

Spataro riesce a scuotere i miei neuroni fino a farli esplodere in una varietà multicolore di pixel frammentati e a farmi dissociare completamente dalla mia essenza; portandomi a livelli di consapevolezza e presa di coscienza estremi.

No, non sto esagerando, vi assicuro che il romanzo è capace di trasportarvi fuori dalla vostra mente fino a farvi ritrovare nel più profondo del vostro inconscio e subconscio. 

Lasciatevi andare a questo romanzo ma sappiate che è devastante, avvincente, inquietante e che vi lascerà con una fitta la cuore e tante risposte a quei dubbi sugli effetti e sul futuro della tecnologia ai quali spesso non avete coraggio di dare le logiche risposte.

Eh sì ragazzi, oggi qui si parla molto del futuro del metaverso, di quel luogo virtuale dove sembra si rivolga il futuro dell’umanità; dove potremo vendere, vivere, fare scambi, spostarci per vari luoghi senza doverci muovere dalla nostra abitazione e non si parla del teletrasporto di Star Trek ma di qualcosa che ti porta via attraverso la tua mente, la tua coscienza e le tue capacità neurali.

Fa paura già solo detta in questo modo. 

E qui non stiamo parlando della realtà virtuale dove giochiamo on line con amici intercontinentali, qui parliamo del viaggio nella mente. Ricordate Matrix? Un chip nella testa e si trasportavano informazioni, si trasferivano dati, si potenziava il livello mentale.

Nel romanzo di Spataro gli esseri umani vivono in un futuro fatto di una realtà degradata, palazzi edifici monolitici, le oscurità del cielo e il sole che quando sorge non raccoglie più speranze e che fa la gente? 

Cerca di vivere un mondo alternativo scostandosi da una realtà che ci pesa, che ci emargina, che ci fa sentire soli e vuoti. 

Nella realtà virtuale puoi essere ciò che vuoi e soprattutto fare ciò che ami fare.

Nella realtà di Nick il protagonista ci sono stati eventi catastrofici che hanno portato alla messa al bando dell’arte e della musica.

Il governo ha rilasciato il Decreto Davisper cui ascoltare, suonare o riprodurre musica è illegale e l’unico modo per poterla ascoltare o suonare è recarsi virtualmente al Nido, collegandosi attraverso un portale cerebrale di cui tutti gli utenti sono in possesso; collegato nella propria testa.

Una speedy plugin che permette all’individuo di collegarsi al software e spostarsi nella realtà virtuale, attraverso un avatar che ci permette un’esperienza completa dove perfino il piacere e il dolore sono percepibili cerebralmente e fisicamente dal nostro corpo reale.

Dionica è la capitale del Nido; un luogo dove Nick Avatar Cole può continuare a fare ciò che amava: suonare la musica Jazz con la sua banda. Il suo Sassofono.

Attraverso la condivisione di cervelli biologici sparsi sulla terra distanti ma vicini, si possono eseguire concerti criptati, invitando avatar e liberando la magia della musica e il potere del suono. 

Di fatto la musica, il suono, ha il potere ineluttabile di penetrare nella nostra anima, ci permette di stimolare emozioni come dispiacere, allegria, nostalgia, tristezza, gioia, amore.

E là dove nella realtà tutto questo è vietato, la musica a Dionica diventa la vera rivoluzione.

Nick trascorre molto tempo collegato al Nido e deve assumere determinati farmaci per far sì che l’uso continuo del virtuale non gli crei dipendenza: una specie di dipendenza farmacologica per controllare una dipendenza cyber logica.

Il rischio di chi trascorre troppo tempo nel virtuale è la dissociazione, ovverosia l’incapacità di distinguere il reale dal virtuale rischiando di perdere totale consapevolezza della propria realtà e il controllo di se stessi.

La dissociazione sovrappone la realtà e crea uno stato catatonico, un decadimento cognitivo.

Per ritrovare ciò che si ama o che si vorrebbe essere si rischia di perdere se stessi.

Tra sesso atavico, cambio di impulsi elettrici, tra concerti supersonici e cyberpower, Nick con il suo carattere un po’ selvaggio da musicista un po’ ribelle non evita di mettersi nei guai nel Nido tante di quelle volte da arrivare al momento in cui viene disconnesso dalle autorità cyber senza possibilità di rientrare e lì inizia la sua disperazione per la separazione dai i suoi amici della band nel Nido; Il Mods, il live club dove suonava con Joseph al contrabbasso, Max il vecchio alla batteria, Liam al piano elettrico, Margaret alla tromba e l’odioso L.C. al violino.

Tagliato fuori dall’unica realtà che lo appaga e lo rende felice entra nella disperazione; cerca in ogni modo di potersi ricollegare al Nido fallendo miseramente in mille modi.

Riesce a criptare un messaggio di aiuto e a inviarlo ai suoi amici del Nido, messaggio che raggiunge il vecchio Max.

Il corpo reale di Max si mette alla ricerca di Nick e quando lo trova si mostra per ben altro di ciò che appare nel virtuale. 

Poiché ognuno sceglie di mostrarsi come preferisce e Max non è quel vecchio scorbutico che Cole\ Nick conosceva e con cui spesso scanzonatamente si prendeva per i fondelli.

Una sorpresa inaspettata anche se Cole il sospetto lo aveva da un po’ di tempo e spesso prendeva in giro Max dicendo che sicuramente era una bella ragazza nella realtà. 

Inizia così insieme a Lisa il viaggio per riuscire a bypassare il blocco neurale di Nick e permettergli di tornare nel Nido.

La crisi di astinenza è intensa tanto che il lettore stesso fa fatica a distinguere il reale dal virtuale tramite i continui passaggi di luoghi, di eventi e di situazioni che susseguono le avventure di questi due compagni di musica e di vita.

Quando si usa il virtuale si perde un pezzo della propria coscienza ma questo accade di fatto anche nella vita reale.

Ogni giorno perdiamo colpi, ci sembra che tutto vada bene, che siamo la stessa persona di ieri, con le stesse capacità, le stesse facoltà cognitive e intellettive e invece lasciamo sempre qualcosa per strada; le nostre stesse cellule si modificano, evolvono invecchiano e muoiono.

La realtà di Nick inizia a collassare, si scioglie diventando quasi liquida, sovrapponendo stati di coscienza con stati di alienazione totale tra sogno onirico e ricordi di vita passata.

La fase in cui Nick perde perfino il controllo del suo corpo, della sua coordinazione fisica e mentale, della capacità di parlare, di esprimersi, ci crea un senso di sofferenza; vedere un uomo ridotto ai margini di se stesso e la sua disperazione che lo fa apparire come un tossicodipendente che cerca di ritrovare benessere continuando a farsi del male.

Disperato e ormai rassegnato dal fatto che non potrà mai più rientrare nel Nido trova coraggio e tira fuori il suo sassofono e inizia a suonarlo. Un atto di ribellione, di disperazione che potrebbe costargli la vita e la libertà.

Lisa arriva in suo soccorso per poter rigenerare la sua connessione: chi considera la musica vita è disposto anche a morire per poter esprimere la sua arte.

Attraverso il coding informatico, una vasca mirroring con un liquido di connessione a immersione, Nick scoprirà chela saggezza è nelle piccole cose, in cerca di colui che potrà permettergli di rigenerare la sua connessione mette a rischio tutto se stesso.

La conoscenza risiede nel pensiero, è solo osservando i dettagli che si può comprendere a fondo la realtà. Tutte le realtà.

La musica è libertà, è rivoluzione, è unione, è condivisione.

Nick non ha scelta, deve tornare nel Nido, ne ha necessità, ma questa sua bramosia, questa sua dipendenza lo allontana da ciò che ha di bello nella realtà, la presenza di una donna straordinaria e un amica sincera, i suoi ricordi, la sua memoria e il suo talento. Ma non ha scelta davvero?

C’è sempre una scelta anche quando non abbiamo mai scelta, di fatto Spataro ci mostra che non decidiamo di nascere né dove nascere, né con chi e che tutto ciò che ci accade è condizionato da ciò che ci circonda: dagli stimoli e dalle esperienze che ci vengono imposte dalla società, dalla cultura, dalla famiglia, dalla scuola e dai governi.

Cosa fa di me ciò che sono? Una serie di cose, una serie di pensieri o il tutto?

L’autocoscienza è l’origine personale, è l’identità universale.

Viviamo solo nella nostra testa; tutto è elaborato dalla nostra mente e non possiamo credere che tutto ciò che vediamo sia vero poiché la mente inganna, è manipolabile e bisogna tener sempre il controllo delle proprie capacità.

La bellezza di questo romanzo è la presa di coscienza mentale, del potere della nostra mente, delle sue fragilità ma anche della sua forza.

La disperazione di Nick e la sua realizzazione di ciò che il nido gli aveva tolto oltre a ciò che di bello gli aveva dato mi fa capire che tutto ciò che di bello esiste e possiamo avere è qui e la scelta è nostra, se viverlo e amarlo e proteggerlo o se fuggire via in qualcosa di costruito, di immaginario, di irreale.

Osservo gli entusiasti dell’arrivo del metaverso e delle sue possibilità eppure dopo questa lettura se avrò la possibilità di scegliere sceglierò di restare nella realtà che vivo; non ho nessuna intenzione di vivere un illusione al prezzo della mia vera esistenza per quanto questa possa essere difficile, dolorosa e stressante.

Io scelgo di essere me stessa e di cercare di continuare a fare ciò che mi fa stare bene a dispetto di ciò che un giorno possa venire considerato illegale a quel punto anziché collegarmi con un software preferirò unirmi alla ribellione per riconquistare ciò che ci è stato tolto.

Come la libertà artistica e di espressione.

Un romanzo veramente intenso che mi ha provocato un dolore virtuale che ha la stessa intensità del dolore reale. 

Grazie Spataro per questo concerto multiverso dove la musica jazz è stata la mia guida e il mio contatto con la realtà per tutta la lettura.

Complimenti per l’immaginazione, l’inventiva, l’originalità e la capacità di farci vedere un futuro non poi così lontano.

“Mindlag” di Giorgio Borroni. A cura di Alessandra Micheli

Cupo.

Claustrofobico.

Grottesco.

Assurdo.

Devastante.

Irriverente.

Questi sono soltanto alcuni dei termini con cui potrei definire questo allucinante viaggio tra un futuro distopico e tra un autore che esagera le nostre manie.

Ecco la definizione giusta: allucinante.

Come certe visioni che emergono dall’inconscio, di notte, quanto i nostri sensi sono capaci di catare l’altro mondo.

E li sono nascosti i segreti della nostra strana razza, destinata agli allori, ma finita a dimenticare le proprie potenzialità in squallide bettole.

La scrittura di Borroni è un graffio, un unghia che scende serafica sul vetro.

E disturba persino il senso di bellezza, quello che fa delle regole armoniche il suo dio.

Qua non esiste armonia.

E’ tutto ingigantito.

E’ tutto completamente coperto di fango.

E pertanto…bellissimo.

So di aver detto quanto amo la bellezza.

Ma esiste una piccola perversione di cui raramente parlo: sono attratta dal fango.

Forse proprio perché ho la possibilità di volare via, perché so ammaliare i miei occhi di incanto, a volte ho proprio bisogno di indagare nel torbido.

Non ne faccio parte, mi rifiuto di cedere ai vizi.

Mi ritengo dotata di una coscienza che ha tutto il diritto di ambire a un posto nell’eden.

Ma quell’oscurità, quella putrefazione dai miasmi nauseabondi è la parte più importante per trovare la strada verso il paradiso. Senza caderci.

Ma avendo la possibilità di esaminarla, cosi come può fare un provetto archeologo.

Con una sorta di distacco tipico dello studioso.

Non necessariamente viaggiare in questi luoghi, comporta una sorta di caduta.

E’ in realtà una risalita.

Soltanto grazie alla tecnica di Giorgio noi possiamo comprendere i rischi insiti in questo mondo cosi perfetto e al tempo stesso cosi maniaco del controllo.

Luogo in cui siamo tutti connessi, dove il politicamente corretto ci imprigiona in una sorta di continue riverenze all’autorità di turno.

Noi oramai solo parti di una gerarchia fatta di finti eroi, viviamo quasi sdoppiati, rinunciando al bizzarro, all’allegria, al potere catartico della poesia.

E cosi in questo nostro vagare come automi in cerca di approvazione, lacerati dai ricordi di scorribande e ribellioni giovanili, siamo prede per i peggiori antri oscuri.

Per ognuno di noi esiste un Pervernet.

Dove non siamo obbligati a indossare grigi completi, dove possiamo usare le parole con le vocali, dove possiamo scordare chi siamo e cosa abbiamo perso.

E magari annullarci in un fatale quanto contorto atto d’amore: la nostra signora almeno un po’ di piacere, un ebbrezza, un pizzico di vita ce lo concede.

E forse Bog non è soltanto un fottuto personaggio di invenzione, antieroe in un mondo troppo patinato.

E’ il riflesso, contorto e urlante, di noi stessi.

Che piangono i tempi perduti quando si poteva urlare:

L’allegria al potere!”

E adesso lasciamoci cullare dalla ferocia di uno scrittore che ci appare come una perfida Moira, senza pietà e compassione.

Eppure…dietro ogni taglio inflitto con la parola, una tristezza nostalgica e venata di una dolcezza, di un richiamo alla parte nobile dell’uomo appare.

E non può non produrre una lacrima.

Un ricordo caldo dell’allegria di un tempo lo pervase, come accade a un amputato con la sindrome dell’arto fantasma.

“Linx” di Luca Giribone, Europa edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Io non odio gli androidi

Io odio tutta la dannata razza umana.

Che non riesce a fermarsi di fronte all’utopia

anche quando quest’ultima dovrebbe essere guidata dalla capacità di fermarsi quando è il momento.

Vuole il giocattolaio antistress e scacciapensieri.

Non importa con quali conseguenze.

E chiedete a me una recensione?

Cosa posso aggiungere mai la talento di Giribone?

Alla perfezione di una filosofia che occhieggia e si nasconde nella fantascienza?

e’ tutto scritto in queste poche tragiche e reali parole.

Noi esserei fatti più di angeli e coronati di stelle e gloria.

Noi cosi stupidi sempre intenzionati a cercare l’acme di ogni emozioni, di divorare in modo convulso la propria esistenza, senza rispetto per le sue arcane regole.

Non amiamo affatto la terra che calpestiamo.

Non amiamo la scienza e la nostra intelligenza tutto ci serve per dimostrare che siamo dio.

Non parte di dio, ma proprio dio.

Tutto ci serve per addormentare come ubriachi il nostro senso del limite. Come se non fosse un aiuto ma appunto una sorta di odioso giudice.

Non fare quello.

Occhio alle leggi arcane della Maat.

Non sei dio.

Forse nasci da un suo sogno.

Forse aveva solo bisogno di un figlio che lo osservasse e lo rendesse reale.

Ma non puoi oltrepassare la soglia.

Noi ce ne freghiamo.

Vogliamo creare e creare.

Seppur ignoranti delle sacre regole di Maat, dell’armonia cosmica.

Noi stessi figli di dio e al tempo stesso arconti assetati di potere.

Linx non è solo un libro.

Linx è la radiocronaca lucida e odiosa della nostra fragilità.

Noi che creiamo senza rispetto.

Cosi assorti nel sogno di Franskestein senza però avere quel bisogno di amore che aveva avuto dio nel crearci.

Cosi stufo di essere solo, perfetto e osannato dal silenzio eterno.

Cosi bisognoso di una creatura che era parte del suo sommo respiro, ma al tempo stesso più semplice di un eternità sempre uguale a se stesso.

Noi che dovevamo solo far crescere il divino con il nostro sforzo di comprenderlo il mondo, lo abbiamo solo devastato.

Reso il nostro parco giochi, mettendo alla prova quel soffio divino fino a distruggerlo.

Nessuna motivazione può giustificare quel narcisismo che ci fa innamorare del nostro vuoto.

Che soddisfa la fantasie narcisistiche di chi ha bisogno di qualcuno che lo lodi come fece un tempo dio.

Ma senza sperarlo in magnificenza.

Cosi odiata l’imperfezione.

Eppure è lei che ci ha coronato di gloria e stelle.

Cosi lontana dai nostri egocentrici sogni.

E cosi scordiamo o cerchiamo di resistere alla natura profonda dell’incompiutezza meravigliosa:

ti gratifica la realistica perfezione.

Ma santo cielo, la perfetta imperfezione sono proprio gli uomini.

Impara a relazionarti invece di emozionarti di fronte al confine estremo al quale hai spinto la mancanza di difetti del tuo simulacro.

La vita non si vende.

Né si crea.

E’ il sommo mistero sul quale si regge tutto l’universo.

Mistero violentato vilipeso proprio dal so custode.

Lix non è solo un godibile libro di fantascienza.

E’ la denuncia realistica e lucida di una creatura che si è persa.

E che invece di ritrovarsi distrugge con cipiglio infantile il so ecosistema e il suo equilibrio.

Giocando a fare dio, facendosi beffe di quell’immenso che lo guarda con compassione.