A volte un libro ha bisogno di gridare forte.
Più forte.
E per questo una voce sola non basta.
Ne servono almeno due
.Potenti e diverse.
Buon Viaggio
SINOSSI: Christian Costa è un profiler, esperto di delitti rituali. Interpol, FBI, Scotland Yard: non c’è dipartimento investigativo o sezione Omicidi nei cui uffici non si sia evocato almeno una volta il suo nome. Lo Sciamano. È così che tutti lo chiamano per via della sua poco ortodossa metodologia sulla scena del crimine e della sua sbalorditiva percentuale di successo nelle indagini. Un’infallibilità che spesso fa chiudere un occhio sulla ruvidezza dei suoi modi, sulla scontrosità del giovane cresciuto in orfanotrofio, sui silenzi ostinati dell’uomo che si è lasciato alle spalle un passato fatto di dolore e domande rimaste senza risposta. Almeno fino al giorno in cui il corpo di una donna riaffiora tra le onde al largo di Ostia e quello di un’altra, seviziata a morte, viene ritrovato in un’antica villa di Chiaia, a Napoli, dando il la a un’indagine che costringerà Costa a inseguire la verità tra le ombre di oscuri culti iniziatici, e a fare definitivamente i conti con il mistero insoluto che si annida nella sua stessa nascita. Salvatore Esposito, il nuovo volto internazionale del cinema italiano, esordiscenella scrittura di genere trascinando il lettore in una cupa spirale di orrore, sulle orme di un mindhunter contemporaneo difficile da dimenticare
Un diamante grezzo, che emana una luce intensa. A cura di Barbara Anderson
Inutile che io finga di conoscere e sapere poiché non solo non conosco ma nemmeno ho la presunzione di conoscere. Mi spiego, quando è uscito questo romanzo c’è stato una specie di fermento nel mondo letterario; poiché l’autore è un famoso attore cinematografico, il quale ha recitato il ruolo di Gennaro Savastano nella serie televisiva Gomorra. Ovviamente io che vivo all’estero da 24 anni e sono italiana non ho assolutamente visto questa serie e non avevo la benché minima idea di chi fosse questo autore/attore, nel momento in cui mi venne offerta questa lettura. Diciamo quindi che ho avuto un approccio incontaminato su questa sua prima opera letteraria. Scopro inoltre, dopo aver letto il romanzo, che l’autore ha una filmografia non indifferente tra Cinema televisione, serie web, cortometraggi e mi rendo conto che ormai vivendo una realtà straniera io sia completamente dissociata da ciò che accade nel mio paese natale.
Con il senno del poi, alla luce di questa sua esperienza di attore mi rendo conto di come essere capaci di interpretare un ruolo cinematografico possa dare modo ad un attore anche di interpretare un ruolo in una storia, in un romanzo. Ma saprà scrivere bene? Sarà in grado di accattivarsi un pubblico attento che ama leggere il genere thriller e che potrebbe essere un critico spietato?
Può un attore “osare” cimentarsi nella scrittura di un romanzo? E perché no? La scrittura è un arte di chi sa usare la magia dell’immaginazione e che sa metterla nero su bianco con parole capaci di lasciare il segno, una firma indelebile che sia una storia e in questo caso forse l’autografo più bello che un fan potrebbe avere. Non un nome su un pezzo di carta, ma una storia, un racconto, un avventura.
Ma merita questa storia?
Beh se lo volete sapere, dovrete leggerla, ma come ho fatto io senza soffermarci troppo sulla professione dell’autore o sul suo background di vita, bensì lasciando al libro il compito di raccontarvi la sua storia e le sue emozioni e poi dopo solo dopo magari potrete fare un confronto, una valutazione obiettiva e soggettiva su ciò che questo romanzo vi ha trasmesso.
Lo Sciamano, il titolo che poi è il soprannome del protagonista della nostra storia: Christian Costa, esperto in Criminal Profiling, un criminologo di fama internazionale che si occupa di tracciare il profilo dei colpevoli per far sì che si faciliti l’identificazione, non solo con l’obiettivo di assicurarlo alla giustizia ma anche per prevenire ulteriori azioni criminali. Lo sciamano collabora con F.B.I, Interpol, Scotland Yard e tutti i gruppi internazionali di investigazione.
È un duro, dalla personalità forte, tagliente, un uomo a cui nulla sfugge, dalle mani grandi e dal cuore ruvido. Perché viene chiamato lo Sciamano all’interno del suo ambiente? Semplice basta capire il significato della parola: sciamano è un individuo che attraverso un processo di iniziazione che inizia in tenera età. Acquisisce la conoscenza di pratiche di meditazione e di tecniche che gli permettono di raggiungere stati estatici (attraverso anche musiche o allucinogeni) e diviene un tramite con le entità soprannaturali come gli angeli, i demoni, le anime dei defunti, con l’ausilio di facoltà taumaturgiche e divinatorie riesce ad identificarsi con queste entità.
Ovviamente Christian Costa è un uomo dalla forte personalità magnetica, affascinante ma al contempo inquietante. Lui sa come muoversi, sa come entrare in sintonia con l’assassino e sa come scovarlo entrandogli nell’animo oscuro prima di poterlo raggiungere di persona. Lui scava, indaga, nei meandri più oscuri di menti criminali, esperto ricostruttore della psiche criminale, che quando si occupa di un’indagine la percorre come un viaggio esoterico ritornando sempre alla realtà con la soluzione. Un grande nel suo campo, stimato, temuto rispettato e forse anche odiato.
Il thriller psicologico di questo romanzo è veramente accattivante, intenso, forte, tagliente utilizza un linguaggio molto diretto, che non si perde in inutili dettagli ma che riesce a plasmare intorno al lettore un evolutivo corso degli eventi, senza al contempo tralasciare nulla.
Una storia che è carica di magnetismo e carisma pagina dopo pagina.
Come un antico sciamano Christian Costa si troverà a percorrere un viaggio introspettivo su se stesso che lo riporterà indietro fino al giorno della sua stessa nascita e tra esoterismo, riti satanici, folklore che entrano e trafiggono la quotidianità delle nostre vite si cercherà di scoprire chi ha commesso un duplice omicidio. Due donne, una riportata alla luce dalle onde della spiaggia romana di Ostia ed un’altra brutalmente seviziata e uccisa, trovata in un villa Napoli.
La violenza e la crudeltà spietata perpetrata dall’assassino ci viene servita su un piatto d’argento dall’autore senza farci nessuno sconto, senza lasciare nulla all’immaginazione; un thriller che mette agitazione, che mi ha fatto perdere qualche battito cardiaco, che mi ha fatto tirare su sospiri di ansia e che mi ha, a tratti, lasciato senza respiro in una corsa veloce verso il nulla, verso la caccia alle streghe, quelle vere, quelle immaginarie, quelle che son servite nel corso dei tempi a trovare scuse per crimini commessi dagli esseri umani.
La poca esperienza letteraria dell’autore è ciò che rende questa storia ancora più apprezzabile, più genuina e più vera, non pecca di presunzione ma ci consegna un prodotto di qualità. Lo sciamano non ha bisogno di riflettori, lui splende di luce propria, ha una corazza fatta di fama, di esperienza e di coraggio, ci farà scavare nel profondo della sua esistenza in modo non solo da scoprire il colpevole di efferati crimini ma anche da ritrovare quella parte buona che c’è un po’ in ognuno di noi, dietro le nostre paure e quelle maschere che indossiamo per non mostrare il nostro vero volto al mondo. A volte il volto bello come quello di un angelo e altre brutto e disgustoso come quello di un demone.
La competenza dello sciamano è direttamente proporzionale alla sua fragilità che risiede nel grembo della donna che ama.
Salvatore Esposito inietta nel lettore inchiostro di sangue che si coagula all’interno delle nostre vene e ci svela in un delirio estatico, invitandoci ad aprire gli occhi ed entrare in contatto con il dolore e il male.
Non sono in grado di giudicare le competenze recitative dell’autore ma posso senza alcun dubbio complimentarmi con lui per questo esordio in libreria.
Da lettrice di romanzi thriller, noir, gialli posso assicurarvi che questo romanzo ha tutti gli ingredienti necessari per dissetare un lettore esigente.
Lo sciamano ci regalerà sicuramente altre indagini, altre soluzioni e ci saranno ancora altri crimini da risolvere e altre sfaccettature letterarie di un autore che già comincia a suscitare il mio interesse e la mia stima.
Con un finale che resta aperto, che fa da sipario indubbiamente alla prossima storia ma che conclude lo scenario oscuro ed inquietante in cui le pagine ci hanno accompagnato dall’inizio alla fine.
Un noir che mi ha piacevolmente sorpresa e che sorridendo mi fa pensare: Esposito è un attore che sa scrivere bene o è un attore che sa recitare bene la parte dell’autore?
Fatemelo dire è entrambe le cose.
Un diamante grezzo, che si taglia a metà aprendo le pagine di questo libro e che emana una luce intensa.
Buona lettura agli audaci lettori che danno sempre una possibilità ad un esperienza nuova.
Attendo i prossimi due romanzi poiché ho appena scoperto che si tratterà di una trilogia.
Visita l’interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta. A cura di Alessandra Micheli
Ero molto indecisa se scrivere o no codesta recensione.
E non perché ho qualcosa contro il libro anzi.
E’ entrato nella lista dei miei libri preferiti.
Ma quando il testo non è inviatomi direttamente dalla casa editrice diventa un po’ come il Secret World cantato da Peter Gabriel.
Ossia quel rifugio totalmente tuo, isolato e confortante in cui entri quando sei davvero stressato dal mondo, devastato dalle ossessioni altrui (eh Chang) e desideroso di sfuggire alla fretta inconsulta di questi tempi terribili (piccola citazione letteraria).
E cosi lo sciamano si è presto confermato come uno dei mondi dell’altrove, un altrove concordante con i miei strani canoni, in cui la mia anima trova ristoro e si disseta con l’acqua cangiante del mito, delle emozioni e dell’ombra.
Eh si miei amati lettori.
Lo avrete ormai compreso vero?
Per me l’ombra è l’acqua che lambisce con dolcezza le rive del mio io, spesso aride poiché avvezze a seminare la cultura della razionalità: per rilassarmi, per tornare me stessa non ho bisogno del tipo di fantasia e di immaginario che di consuetudine bazzicano gli altri, altri con anime meno strane della mia.
Ho bisogno di follia, di un universo che mostra la sua magnificenza innalzando la sua infinitezza fino a raggiungere la materia oscura.
Ho bisogno di Shoggot, di tetri anfratti boscosi o si neri abissi in cui sbuca una città dalle forme geometriche che forse non esistono.
Allora la mia anima pulsa e si risveglia.
Allora si sente forse, meno sola e meno sconfitta.
Ecco cosa mi ha provocato la lettura di sciamano.
La stessa emozione strisciante dei miei onirici rifugi.
E per questo non potevo recensirlo, proprio perché b volevo vivermi la solita sensoriale esperienza priva della razionalizzazione che pretende il linguaggio. Eh si.
Quando scrivete, quando comunicate mettete ordine nel disordine, sequenza logica ai simboli e persino una parvenza di logicità a questa oscuri meandri emozionali.
E non sempre ho bisogno e voglia di farlo.
Ma Salvatore Esposito, se mi permettete, un po’ si merita parola capaci di rendere omaggio al suo talento e al significato profondo del testo che ho assorbito ma non razionalizzato.
Non ho permesso si sedimentasse in un qualcosa di coerente, ma l’ho lasciato aleggiare come lo spirito di dio sulla massa informe della creazione, senza dare loro forma e dimensione.
E allora perché dico che si merita parola scritte con senno?
Perché è un attore famoso.
E lo so miei amatissimi discepoli del regno infero che dentro di voi, nei residui logici parietani, dietro la parvenza di civiltà, potrebbero sopravvivere degli edifici fatti di pietra dura, che si ergono a difesa del vostro concetto di talento arginandolo con paletti di un finto rigore logico.
Detta in parole povere potreste essere pieni di pregiudizi sull’arte definendo l’arte secondo una serie di motivazioni che implicano la totale assenza di qualcosa che possiamo definire privilegio.
Esposito, in quanto attore famoso è secondo molti il privilegio reso carne.
E’ il concetto che si manifesta.
Le case editrici si accaparrano il personaggio a discapito, cosi si dice dell’arte. Ma è davvero cosi?
E’ l’atto stesso di indossare panni che non ci appartengono per portare in questa commedia dell’arte un altro mondo, un altro carattere non è esso stesso essenza di quel mondo vasto e colorato che noi ci intestardiamo a definire con canoni stretti e rigidi?
Il recitare, il darsi al pubblico famelico, vampiri che succhiano voraci l’anima non è forse arte?
E cosi chi calca le scene, cercando di portare a noi l’essenza di un libro, di una scenografia, di un testo è forse un menestrello che non usa solo voce e parole, ma anche gestualità, mimica e comunicazione non verbale.
Allora è davvero un privilegiato?
Eh si.
Un po’ come lo sono io che ho la possibilità di raccontare me stessa attraverso il testo.
O voi che a differenza di altri giovani o meno giovani del mondo, potete leggere. Siamo privilegiato quando possiamo vedere un TG senza sentire il rombo delle bombe, quando possiamo ammalarci ma anche curarci, quando possiamo andare felici incontro ai black Friday.
Privilegiati perché per un’enorme botta di culo siamo nati dalla parte “giusta” del mondo.
Quindi mi dispiace ma il privilegio noi lo viviamo ogni fottutissimo giorno.
Allora il discorso va indirizzato sotto un diverso microscopio: un attore può avere il talento anche della scrittura?
E li ecco che lo snob, lo scrittore acerbo, il non amante del libro irrompe con forza tuonano un no grande come una casa.
Lo scrittore rubato allo spettacolo è solo un ladro che toglie la possibilità a altri miseri, piccoli e fragili, di essere notato dalle grandi big.
E’ davvero così?
Se però osserviamo il caso Faletti ci rendiamo conto che, la scrittura deve essere considerata un qualcosa di vivo e senziente.
Che sceglie qualcuno dalle alte regioni dell’iperuranio per poterci donare una storia.
E la storia diventa non solo parte di noi ma del mondo in cui viviamo, definendolo e quindi dando lui l’opportunità del cambiamento.
E allora dobbiamo, di nuovo, riformulare la domanda, oltre la frustrazione privata, oltre i nostri paletti derivanti dal terrore del buio dell’uomo primitivo: Esposito è stato chiamato?
Eccoci allora finalmente alla domanda di stampo graaliano, quella che serve per aprire o far scoprire il castello dove il dono prezioso è stato conservato: lui è stato elargito dal fato di quella chiave che apre il confine chiuso da troppo tempo con l’altrove?
La mia risposta è: si,
in questo tesato c’è qualcosa che fluisce dalle pagine e che persino sospende il nostro spirito critico rapendoci con il suo vischioso tentacolo.
Si chiama ispirazione.
Perché vedete non è solo il racconto di un uomo di mezzo, che fa da spola a due mondi considerati da troppo tempo distanti ossia il pleroma e la creatura.
Ma ci dona anche la consapevolezza che, se si distaccano questi due emisferi parte di una stessa unica mente si creano disastri.
Si divide l’indivisibile e si creano categorie.
Bene e male, buono e cattivo, donna e uomo, credente e blasfemo.
Solo che, vedete non sempre la dicotomia è davvero utile o peggio, reale.
Ciò che noi consideriamo berne è solo una strana maschera del male.
E viceversa.
E in questa storia di superstizioni, dolore e orrore, di magia e occulto, di streghe e vittime, le apparenze fanno sorgere una cortina fumosa che ci allontana dalla verità: è il potere l’unico vero ostacolo perché la dicotomia si risolva in un necessario monismo.
Se la spiritualità si definisce soltanto in funzione del suo rispetto per il sacro.
Se la bontà diventa non più fattore ideologico ma azione.
Non siamo buoni perché abbiamo idee e ideologie.
Ma per come ci rapportiamo verso l’esterno, verso l’uomo.
Siamo buoni perché anteponiamo l’uomo al Sabato.
In questo testo, al contrario, è il Sabato a essere messo sul piedistallo.
A lui si offrono sacrifici che hanno uno scotto: la spersonalizzazione dell’umanità.
Che se è considerata come dominio del Sabato (inteso ovviamente come ideologia, liturgia o ortodossia o persino potere) non ha più importanza se non come suo tributo.
Diveniamo tutti capri espiatori per poter onorare il nostro riferimento di turno. Per portare più denaro, per assecondare istinti, per prolungare il senso di onnipotenza.
Per dominare il nostro reale anche sottomettendo l’altro.
Che sia il diverso, la donna, il bambino.
Ecco che la strega non è più un qualcosa che riguarda solo la donna.
La strega è colei che conserva in se ogni nostro peccato, ogni apparente distorsione, frutto del nostro modo di approcciare il mondo e che è quindi facile da eliminare, come un tributo sanguinoso a chissà quale valore assunto a verità assoluta.
La strega è simile all’eretico, al Cagot dei tempi medievali a ogni essere umano sacrificato sul grande palcoscenico della rappresentazione umana in cui si invoca il potere della discordia.
Ecco che lo sciamano, l’uomo oche redime il ricordo della vittima e aggiusta i torti è il collegamento unico e vero con l’altrove.
E’ lui che può di nuovo instaurare la comunicazione con un buio che diventa non più spaventoso ma rassicurante: è il ventre della terra, la mano compassionevole di un dio o di una Dea che non vogliono da nient’altro che fiducia, fede e amore.
Ecco che questo libro divine prezioso, commovente e non solo agghiacciante.
E’ un viaggio, il nostro viaggio verso l’unico grande dono: conoscere se stessi, accettarsi e accettare anche un po’ di quel buio che in fondo serve per poter vedere la luce brillare.
Salvatore Esposito ha scritto qualcosa di meraviglioso e indimenticabile.
E se è un privilegiato, dio o la Dea o l’intera Enneade benedica quel privilegio che mi ha permesso non solo di emozionarmi ma anche di farmi riflettere.
Un libro serve a questo no?