Se non fosse stato per una mia carissima amica, non avrei mai davvero compreso il valore di questo acuto saggio.
Diciamocelo dai.
Il percorso raccontato qua fa parte della mia evoluzione da circa 24 anni.
Ventiquattro anni dio mio.
Tentativi e errori, dolori immensi e rabbia.
Tutto per poter rialzare la testa e sfidare con fierezza quella gabbia che mi imprigionava da tempo.
Fiabe o soltanto modi d’essere che mi stavano stretti e soffocavano ogni mio afflato all’infinito.
Sono schemi che mi proponevano con voce suadente, modelli comportamentali che tentano a nascondere, come direbbe Clarissa Pinkola Estes, la coda di lupa selvaggia, sotto le elaborate vesti alla moda del mio tempo.
E con molta fatica mi sono piano paiano avvicinata alla liberazione. Non ho certo superato ogni limite.
Affatto.
Ancora oggi, alla veneranda età di quarantotto anni certi pensieri mi arrivano alla mente, di notte, quando le difese mentali sono abbandonate e io sono in una fase di completa fragilità.
Allora ricordi di come si debba amare, come debba essere una donna, rivivono e si insinuano lungo i solchi di una mente stanca di combattere.
E iniziano a logorare tutto il castello che ho innalzato con orgoglio. Piano piano, con una ferocia assoluta.
In quel momento mi chiedo se sia davvero valsa la pena indossare una diversa identità, sicuramente più vicina alla mia originale essenza, quella discesa dalle lacrime della Sophia perduta.
Anche io subisco la tentazione di mollare.
Semplicemente gli anni di impegno, di lotta, le esperienze e persino le ferite e il dolore provato divengono la mie armi.
Un armatura ricca dei no che ho detto lungo quell’addestramento che mi ha resa coriacea e forse completante integra, nonostante la mia fragilità tutta umana.
E allora sorrido.
E i pensieri che tentano di ingabbiarmi di nuovo, sono soltanto nuvole, nuvole che non possono offuscare lo splendore che mi promette l’orizzonte.
Ecco la differenza tra me e ogni donna di oggi non è la tentazione. Quella è lecita e deve esistere perché mette alla prova ogni volta la volontà di abbracciare la colonna del rigore in attesa di essere sfiorati dalla compassione.
La differenza è la resilienza.
Quella che non allontana certo la seduzione dell’omologazione, la bellezza di usare un trito modello per poter vivere in pace con i miei simili.
Semplicemente conosce le lusinghe e le smaschera facendo si che l’idea di amore, l’idea di donna appaia soltanto nella sua oscena realtà: non certo una principessa, ma un cadavere putrescente, capace soltanto di insozzare la tua anima con effluvi di morte.
Ecco perché mi sono chiesta se davvero oggi ci siamo donne che quel velo non sono riuscite a sollevare.
Che pensano di liberarsi, ma che sostituiscono soltanto una dipendenza con un altra, più elegante, più nascosta e al tempo stesso feroce nello stesso modo.
Mi sono davvero chiesta se quei consigli, se l’esperienza ovvia che ho letto e che riconosco come valide perché l’ho oramai assimilata, bevuta con la stessa sete di un bimbo in cerca del latte materno, sia davvero necessaria.
Ho peccato di arroganza sapete.
Io ho oramai anticorpi verso ogni idea malsana su come una donna deve vivere.
O amare.
Altre no.
E negli occhi di questa ragazza dalla chioma ribelle, ho compreso come la sindrome di Cenerentola, non sia del tutto distrutta.
Noi che cresciamo con storie in cui è la sottomissione a far da padrone.
Con l’idea di essere brave, buone e zitte, belle e ubbidienti, e che questo ci regali quel briciolo di serenità elargita con sussiego come un gesto misericordioso.
Non è quella la compassione che ci serve, quello di cui abbiamo bisogno.
Compassione è ben diversa.
Connessione.
Quel sentirsi finalmente parte di un tutto che non ci limita ma ci rende importanti in tutta la nostra specifica bellezza.
Siamo unici pezzi di un mosaico e assieme formiamo un disegno. Ma se manca un pezzo, allora non esiste nessun disegno.
Ecco che è quel nostro essere unici, diversi, importanti per la nostra strana forma a creare il mondo.
Un mondo che ci appartiene.
Un mondo che è a immagine di quel potere latente che abbiamo, quello di creare, rendere viva un idea, di saper morire e di rinascere. Come fa la natura.
Come fa la Madre Terra.
Come fa la vita stessa.
Noi fasi della luna, capaci di sentire i flussi della marea.
Costrette a servire, a indossare scarpette di cristallo per poter essere scelte da un coglione che crede di conoscerci soltanto perché sa il nostro nome.
Un deficiente in calzamaglia che ci fa sto regalo di ingabbiarci un un alta torre, pretendendo la libertà in cambio di vestiti, onori e un amore di plastica.
Che amore potete provare se dovete sforzarvi di assecondare un irrealistica immagine per ottenerlo?
Cenerentola non grida.
Non urla.
Non dice parolacce.
Non da schiaffoni alle sorellastre.
Non impreca.
Non sogna di essere qualcosa a prescindere dall’identità del proprio compagno.
Cenerentola è soltanto ballo ,scarpetta.
Non pensiero, azione e sogni.
E’ questo modello che ci ha funestato per tanti troppi anni.
In in vetrina, confezionare apposta per attirare il miglior compratore.
Noi vilipese ogni volta che tentavamo di imporci,scendendo dal piedistallo e desiderando ardentemente di correre in modo scomposto.
Noi che alla dipendenza avremmo preferito la complicità.
Noi che non vogliamo ne stare avanti, ne indietro all’uomo, ma affianco, cosi come racconta il simbolo della costola.
A fianco dell’uomo.
Camminando sulla stessa linea.
A guardare lo stesso orizzonte.
Cenerentola è sempre un passo indietro.
Evanescente.
Irreale.
E capace di esistere soltanto se imbellettata.
L’amore cosi raccontato non è altro che una bella trappola sapete?
Nessuna discussione.
Perché l’amore arriva in un attimo, ti mozza il respiro e ti incendia. Perché se si trova un amore simile, si deve rinunciare a tutto.
Anche alla propria anima.
E invece l’amore è simile alla terra.
Per far crescere qualcosa dovete scavare, dissodare il terreno, seminare, annaffiare.
L’amore è il pane da cuocere nel forno sacro, da poter essere usato nel convitto di dio.
L’amore è fatto di farina colta dal grano seminato da un contadino fiducioso, capace di sfidare temporali e caldi asfissianti.
Cresce e deve essere poi falciato, con mano ferma e decisa.
Va separata la pula dai chicchi.
Impastato con acqua di sorgente fresca e cristallina e mani amorevoli ma forti.
L’amore è come la salita verso la cima di una montagna immersa nella magia delle nuvole.
Faticoso il viaggio.
Spezza il respiro la salita.
Ma con sudore e una punta di gioia si continua a inerpicarsi sempre più su, mano a mano che gli occhi si abituano alla bellezza e non ci si accorge che si è arrivasti in cima.
E dalla cima si scopre quanto sia vasto l’orizzonte e quanto sia vicino il cielo.
Non sono balli.
Non sono certamente i giochi proibiti.
E’ carnale e spirituale.
E’ fatica e meraviglia.
E pianto e sorriso.
Ed è per te, ragazza dai rossi capelli che vuoi davvero amare senza più stare in vetrina.
Per te che non ammetti mai di aver bisogno di aiuto, perché il modello della donna forte è troppo presente.
E che invece non sai che nel silenzio, qualcuno accarezza i tuoi sogni.
Anche se non si fa vedere.
Per ogni ragazza che oggi si sente perduta, per te che senza un uomo accanto ti senti incompleta.
E per te che oggi scopri te stessa grazie alla consapevolezza del potere femminile..è ora di mandare proprio a cagare Cenerentola.
Fatelo assieme a Beau e Shannon.
Fatelo e non ve ne pentirete
Parola di una vecchia zia che ha sempre preferito il te con il Cappellaio matto a quella sfigata con la scomoda scarpetta di cristallo.
“Quando si lotta per qualcosa di importante bisogna circondarsi di persone che sostengono il nostro lavoro. È una trappola e un veleno avere intorno persone che hanno le nostre stesse ferite ma non il desiderio vero di guarirle.”
Clarissa Pinkola Estes