“Shimaguni. Atlante narrato delle isole del Giappone” di Francesca Scotti ,Kazuhisa Uragami, Bompiani. A cura di Alessandra Micheli

Si legge per tanti motivi.

Evadere dalla realtà.

Trovare acqua dissetante per l’anima.

Oppure comprendere il proprio reale attraversando le remote regioni dell’inconscio. Leggere è sempre un viaggio.

Alla scoperta non soltanto di luoghi a noi alieni.

Ma anche quella comfort zone che delimitiamo con l’uso del concetto e che nasconde alla nostra labile vista persino angoli intessuti di sogno.

Ecco perché io ogni volta che la mia vita traballa, ogni volta che un artiglio feroce lacera quel mio fragile io, mi rifugio nella parola.

Essa con un filo fatto di una sottilissima ragnatela, rammenda lacerazioni.

Ripara abissi che rischiano di allontanare pezzi importanti di me.

Trovo ristoro e significato, in una vita che corre troppo per averei l tempo di regalarcelo. E’ la parola che con la sua malia canta antiche nenie.

E mi porta a osare, andare laddove anche gli angeli esitano.

Ogni anfratto della terra, dunque, diviene semplicemente personificazione di un altro cantastorie.

Non è mai soltanto geografia.

E’ racconto, narrazione, mito e immagini che sinuose si muovono, come quei draghi del capodanno cinese, cosi leggerei e leggiadri, capace di assecondare le correnti dei venti. Sei lassù, cullata da quella forza motoria che di fisico non ha più nulla e il mondo, sottostante, ti appare soltanto una meravigliosa Wonderland.

Persino luoghi che razionalmente non consideravi tue patrie.

Ecco cosa accade leggendo Shimaguni.

Io che con il Giappone ho uno strano e contorto rapporto, che forse odio il loro ordine, io che mi sento sempre cosi sghembe, in questo atlante trovo davvero la mia dimensione.

E la magica terra di Samurai e di ordine, diviene soltanto un altra strana e straordinaria immagine di un Altrove fatto si di regolarità, ma anche di luoghi aspri e affatto lineari. Dove bambini possono danzare divenendo volpi.

Dove i gatti sornioni assumo posture zen.

Dove il mito ti prende per mano e ti introduce in quelle regioni ctone dove ritrovi la tua ombra perduta.

Magari trasformata in spirito o demone.

La abbracci come una sorella perduta.

E ti senti integro.

Ecco viaggiare per questo Giappone, mi ha fatto sentire di nuovo completa.

Tutti i pezzi disillusi di me sono andati finalmente apposto.

E le storie risuonano come un oscuro carillon dentro le mie orecchie.

Se questo è il Giappone, se questo è il vero Giappone, vi prego non svegliatemi dal sogno.

Lasciate che l‘incanto avvolga le sue draghesche spire attorno a me.

E mi lasci fluire attraverso le correnti gravitazionali, leggera e completa.

Un libro incantato e incantevole da leggere quando la realtà è troppo pesante.

Quando geme e preme su di voi come una cappa soffocante.

Quei colori luminosi saranno il filo con cui intesserete il vostro arazzo.

O con cui cucirete quelle piccole dolorose lacerazioni dell’io, che fanno grondare un po’ di anima sul terreno, rischiando sempre di lasciarci sempre più aridi.

Sempre più preda di una quotidianità che ha perduto la sua forza immaginativa.

Ecco viaggiate.

Con il pensiero sopratutto, prima che con il corpo.

Perché un luogo non è soltanto un punto sulla cartina geografica.

Ma è una porta sull’Altrove.

Buon viaggio verso le mille e più isole incantate di una terra che al banale resiste, resiste con tutta se stessa.

“Demoni, fantasmi e leggende del Giappone” di Andrea Marrone,Newton Compton . A cura di Patrizia Baglioni

Perchè il Giappone è tanto affascinante?

Per i ciliegi in fiore? Per la cultura dei manga? Per la modernità estrema? Per le antiche tradizioni? Per la sua unicità?

Rispondo con una parola: per le sue contraddizioni.

Leggendo il libro di Andrea Marrone, che ha lavorato e vissuto per tanti anni in oriente, ci si rende conto della profondità di tali contraddittorietà: per esempio simbolo della cultura giapponese è l’aspetto ascetico e spirituale eppure leggendo il Kojiki che è il testo base dell’antica religione shintoista, si apprende che la creazione del Giappone viene da un approccio pulsionale e passionale tra gli Dei.

Demoni, fantasmi e leggende del Giappone si pone l’obiettivo di esplorare lo spirito nipponico fin dalla sua origine, perché altrimenti non sarebbe comprensibile.

Per fare questo l’aspetto religioso è fondamentale e l’autore si premura di spiegare la natura dei quasi otto milioni di Kami e degli Oni, esseri soprannaturali con artigli affilati, corna e zampe, mutaforma e ingannatori degli uomini.

Nei tempi gli Oni hanno funzione protettiva, spaventano gli Oni “cattivi”, originando una distinzione tra bene e male piuttosto mutevole, rafforzata dalle leggende come quella sullo Shutenn Dōji, uno dei tre peggiori demoni esistenti nella tradizione nipponica.

Nato bambino il demone, ebbe una crescita straordinaria, che tutti guardavano con sospetto, così lui preso da vergogna scappò dal suo villaggio e per ricambiare il sospetto degli uomini diventò sempre più dispettoso nei loro confronti.

Ciò che non diverge dalla cosmogonia e dalla religione occidentale è la morale, perché questa storia insegna che la stigmatizzazione da parte degli uomini ha portato Shutenn Dōji a diventare cattivo.

Scorrono le pagine e resto sempre più incantata dal ricchissimo mondo soprannaturale giapponese popolato anche da fantasmi, da animali mitici e degli spiriti vendicativi e affamati come il Gashadokuro.

A colpirmi in tutte queste storie è l’aspetto macabro, prettamente amorale e profondamente umano che emerge: la corruzione, l’avidità, il vizio e l’invidia, essi non vengono nascosti, ma raccontati e tramandati, come monito di consapevolezza della propria fragilità e meschinità.

Gli spiriti guardiani mi affascinano completamente, possono essere cani, uccelli da preda, rapaci, scimmie o avere sembianze antropomorfe.

Sarutahiko per esempio, il protettore delle arti marziali, ha l’aspetto di un uomo torreggiante, possente, con una folta barba.. e le natiche rosse come quelle delle scimmie.

In un capitolo a parte l’autore spiega perché i giapponesi si sentano “diversi” da tutto il resto dell’umanità e finalmente riesco a dare risposta a tanti quesiti che mi ero posta, la questione è geografica, storica e governativa.

Ma per avere altri chiarimenti dovete proseguire voi la lettura.

Un libro estremamente appassionante, circostanziato e ricchissimo di dettagli che, se amate il Giappone, vi stupirà ma soprattutto, vi farà innamorare ancor di più della sua tradizione.

“Antichi esseri Alati” di Fabrzio Bartoli, Nisroch edizioni. A cura di Alessandra Micheli

I libri della Nisroch sono per me paragonabili ai regali posti ai piedi dell’albero di natale.

Quelli che guardi con bramosia, che magari non apri, ma che sai che conterranno gioie e meraviglie.

Io li sento cosi.

Attendo con impazienza le loro produzioni, le accarezzo e le leggo con attenzione regalandomi il tempo.

Pagina per pagina, guardando le foto che corredano i loro saggi.

Assorbendo le informazioni e lasciando che la fantasia viaggi.

E mi ritrovo sempre altrove, in una realtà che ha il sapore del mistero e dell’ignoto.

Ecco perché amo i loro libri.

Non creano un altro mondo, non indagano dimensioni a me sconosciute.

Mi portano indietro nella storia magari, ma sono argomenti di attualità, incanti architettonici che potrei toccare con mano, quadri e immagini che sono in questa terra.

Magari ignorati, oscurati dalla fretta di una società che poco si dedica alla sostanza e moto offre all’apparenza.

E cosi antichi esseri alati, piomba su noi come non una rivelazione straordinaria, ma come un fatto ovvio che tendiamo a scordare.

In ogni civiltà, in ogni religione, il messaggero dotato di candide piume ha fatto la sua comparsa.

Latore di liete novelle, portatore di conoscenze, o di ribellione.

Esso appare a noi, primitivi e addormentati esseri umani, come colui che stimola, che dona, che risveglia.

Che libera sopratutto.

Pensate alla meravigliosa storia dei Nephilim.

Essi trasgrediscono il tabù, che li separa dal resto della creazione, regalando alla donna che li amano i segreti occulti di una sapienza che deriva dal cielo.

O Prometeo, che ruba il fuoco proibito e lo dona all’uomo immerso nel buio.

E’ la trasgressione, dunque, il primo passo della civilizzazione necessaria affinché l’umo si risvegli, come la bella addormentata davanti all’ardire del principe.

Deciso a renderla autonoma e davvero libera.

Perché senza apprendere, senza passare di livello, senza cambiare la prospettiva con cui si osserva il mondo, nessuno può dirsi davvero umano.

Possiamo essere frammenti di luce, immagini di una potenzialità resa dormiente da qualcuno o qualcosa geloso della nostra possibile autonomia.

E cosi gli esseri alati sono coloro che portano la creazione al di la dei limiti consentiti dal dio limitante.

Colui che nega a noi la percezione del bene o del male.

Colui che decide per noi, che ci regala un’illusione beata certo, ma fuorviante e falsata.

Solo coloro capaci di elevarsi al di sopra delle sensazioni materiali, coloro che possono raggiungere il cielo inteso come elevazione spirituale, possono avere la volontà, la tentazione di regalarci l’assoluta libertà dalla schiavitù del nulla. Quel nulla che ci coccola, che ci rassicura, ma che si spegne inesorabilmente.

Questo testo non vi dona certezze.

Anzi.

Mette in discussione tutto, provoca e magari lancia qualche proposta ardita.

Ma lo fa appunto per togliervi il muro davanti agli occhi, quello che vi convince che esiste solo un unica verità.

Quello che fa di voi vittime della logica e della razionalità

Quello che, in fondo, vi priva di una storia che non si è mai svolta in modo lineare o regolare.

Ma è fatta di balzi e di orribili stop.

Che avanza e arretra che conosce e dimentica.

E che però nei simboli che funestano e infestano sogni e incubi, ogni tanto si rivela.

“Insetti: dei e demoni” di Fulvio Giachino. A cura di Alessandra Micheli

Ricordo ogni passo dell’arrivo di questo libro tra le mie braccia.

Era proprio la fiera di Torino e io ero ospita di una mia carissima amica.

La sua era per me la casa delle meraviglie, visto che possedeva il tesoro dei tesori, un giardino pieno di meraviglie.

Perché dovete sapere che per me, la natura è uno scrigno, è un po’ la mia Hogwarts.

Potrei passare ore e ore a osservare il lavorio di un ragno e il suo risultato finale, la ragnatela, perfetta, incredibilmente simmetria e spesso capace di attrarre la luce del sole.

Mille diamanti splendono su essa.

E il ragno, maestosa divinità osserva compiaciuto il frutto del suo lavoro.

E cosi ero stata a dilettarmi con le mie amate falene, compagne di mille notti d’estate.

E proprio su una poltrona, come un gioiello prezioso stava questo libro, insetti Dei e uomini.

Ora, lo so che ahimè il mio essere distrugge ogni canone della femminilità.

Che incrociarmi significa distruggere ogni schema, ogni pattern di cosa sia una donna.

So di essere proprio l’anticlichè per eccellenza, nelle mie passioni, nel mio modo di approcciare il mondo, persino nei ragionamenti logici.

Che a volte sono cosi netti, concisi e semplici da sconvolgere.

Un no è un no, o massimo un non ho voglia.

Un si è semplicemente un si, o al massimo ma perché no, muoviamoci un po’.

E quindi anche sugli insetti sono strana.

Ho amato il film phenomena e da sempre ho i miei inserti preferiti.

Ragni, falene, scarabei, formiche, api e persino mantidi.

Li adoro.

Non posso farci nulla.

E cosi quel libro mi fissava.

Lo giuro, non mento.

Mi guardava con un sorriso suadente, tipo sfogliami, prendimi e leggimi.

E cosi qualche pagina, lo ammetto l’ho accarezzata.

E sentivo quello strano pizzicorio sulla punta delle dita che mi imponeva di leggerlo per davvero, immergermi in quel mondo e sparire per un po’.

E cosi pensate alla meravigliosa coincidenza di me che incontro Fulvio e che vengo omaggiata del libro.

Sembra destino non trovate?

E ammetto di averlo letto, stavolta, con i miei tempi.

Non affannosamente.

Capitolo per capitolo.

Con calma, con la giusta lentezza che il libro merita.

Letto e riletto.

E poi chiuso con un sospiro.

Perché è vero che qua gli insetti sono spiegati in modo professionale ma…non disdegna il nostro autore di presentarceli in modo assai diverso dal cipiglio accademico.

Essi entrano a passo di danza nel nostro mondo.

E non quello pratico, razionale della scienza.

Ma quello magico, simbolico, folcloristico.

Quello delle storie che intrecciano i destini dell’essere umano.

Quello della religione.

Del significato oltre il dato oggettivo.

Quello che ce li fa amare o odiare.

Che ci terrorizza perché tocca fili delicati del nostro io.

Ricordi ancestrali, terrori ma anche il sogno.

Che è stato presente in ogni autore capace di penetrare dietro il velo sollevato a distingue reale e numinoso.

E allora il libro diviene prezioso.

Contenitore non solo di sapienza ma anche di magia.

E dietro al volo di un calabrone, al fruscio di una falena, il ticchettio di un millepiedi, il mondo interiore può essere davvero a portata di mano.
Perché un insetto è un piccolo microcosmo, spesso immagine di qualcosa di più grande.

E sta a noi rivelarne il segreto.

Magari grazie all’arte letteraria del nostro Fulvio.

E ora scusatemi.

La tela di ragno mi aspetta, desiderosa di rivelarmi ogni suo segreto.

“Miti, storie e leggende” di Armando Savini, Diarkos. A cura di Alessandra Micheli

Per troppo tempo religione, mito e scienza sono stati divisi da barriere apparentemente insormontabili.

Il mito, la storie e la leggenda erano relegati nella nebulosa zona dell’immaginario, assieme a simboli e archetipi.

Mentre le scienza con i fatti e le teorie da essi ricavati appartenevano di diritto al regno della famosa dea ragione.

Quella che fu la musa di ogni rivoluzione.

Eppure…

Per fortuna ci sono stati filosofi e sociologi che a questa cesura hanno reagito armandosi di ago e filo per ricucire la lacerazione profonda tra due regioni considerate opposte.

Il pericolo era che, in quella zona lacerata si annidasse tutto ciò che ragione e fantasia rifiutava ossia quel collegamento chiamato ombra. Ombra è tutto ciò che rifiutato, che privato della radiosa luce del sole, diviene pericoloso e calamita per emozioni e istinti rifiutati da ambe due gli emisferi.

Chi rifiuta signora ragione diffida e teme la prolificazione di una fantasia che, appunto perché ritenuta perniciosa diventa una sorta di mostruosità tentacolare.

E lo stesso chi rifiuta la ragione deturpa il regno dell’immaginario facendolo diventare ricettacolo di scorie e istinti.

Le ombre sono pericoloso perché non nominate, rifiutate nascoste fatte oggetto di biasimo.

E sappiamo come il rifiuto in fondo rischia di creare mostri.

Istinto e ragione, soprannaturale e meccanico si sono guardati per secoli con odio, sfida e con orrore, uno troppo diverso dall’altro, troppo incompatibile con i precetti che sostenevano le diverse posizioni.

E cosi gli emisferi mentali, immagini speculari dei due diversi universi ontologici sono stati messi in sfida uno con l’altro: chi usava il lato emotivo abbandonandolo per il razionale e vivendo di emozioni lasciate scorrere come cavalli selvaggi, e chi preferiva la mano onnipresente e soffocante della razionalità tenendo eccessivamente a bada ogni altro sentimento.ùwentrambi erano destinati a una lotta impari che rischiava di portarte ogni organismo, mentale, e sociale al collasso.

Fu grazie a Pareto con la sua teoria dei residui e a Gregory Bateson con il suo motto ne soprannaturale ne meccanico che pleroma e creatura si sono specchiati e visti, per la prima volta, scoperti di un volto unico.

Un Giano bifronte impossibile da scindere che veniva soltanto osservato a seconda dall’angolazione dello sguardo.

Ecco che pleroma e creatura divengono aspetti di una percezione che può essere binaria o unitaria.

E questo nuovo paradigma scientifico non può quindi non essere applicato anche a quelle scienze umane considerate un passatempo per intellettuali vanesi e inconcludenti.

Ecco perché il lavoro di Antonio Savini risulta un tassello fondamentale per una scienza con un approccio multidisciplinare che unisce quindi scienze “umane” ai nuovi traguardi della della fisica, della cosmologia e della psicologia.

Se usato questa forma mentis, noi possiamo leggere ogni libro sacro in doppia modalità Sia come un immaginario simbolico dell’esperienza umana a livello psico spirituale ma anche in modo scientifico con un linguaggio adatto ai tempi che poteva sposare la poetica del mito con i dettami, non dogmi, della scienza.

In questo senso persino la genesi può contenere elementi di rilievo cosmologico affatto diversi dalle moderne teorie della creazione dell’universo.

Con le conoscenze che abbiamo a disposizione sappiamo che l’universo si crea quando ha coscienza di esistere.

E’ quell’azione organizzatrice sostenuta da coordinate precisa i cosiddetti numeri di dio che organizza una materia che era quasi solo un sogno nella mente di qualcosa di immenso ma inattivo.

La coscienza è il libero arbitrio sono gli assiomi fondamentali su cui poggia l’intero edificio della scienza e in particolare della fisica quantistica la quale è fortemente caratterizzata dall’esistenza di un osservatore in grado di prendere coscienza in primo luogo di se e poi dei risultati degli esperimenti.

E ancora

da questo principio scientifico ( l’importanza dell’osservatore ndr) ne scaturisce un altro un universo senza una coscienza preesistente rimarrebbe in uno stato indefinito.

Ossia

senza la presenza di un osservatore cosciente, le particelle al più esistono in uno stato indeterminato di onde di probabilità..

Senza qualcosa che organizza dalla disgregazione della materia preesistente (separazione delle acque, creazione del tempo) la vita sarebbe soltanto una possibilità. Ma senza un azione che coordini e progetti tali possibilità non esisterebbe un universo né la terra
la materia primordiale è confusa e concentrata in un punto ad altissima densità e temperatura.

E’ materia ad alto potenziale che va poi a costituire ogni realtà dell’universo.

La realtà del nostro mondo è quindi caratterizzato da un processo di disintegrazione organizzatrice: cioè il cosmo si organizza disintegrando.

E’ in tale contesto che va ripensata l’idea del caos. In un universo singolare e originale il caos ne è parte integrante. La cosmogenesi si effettua nel caos e tramite il caos.

E non vi sembra familiare questo concetto?

In principio Dio creò il cielo e la terra.
Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.

E’ un intelligenza capace di separare e nominare ossia far esistere che inizia la storia umana.

E cosi la bibbia, ma come ogni scritto sacro diviene qualcosa di più di una leggenda, di un mito di una favola, ossia diviene la modalità con cui grazie a un linguaggio musicale e ritmato ( poetico) si può indagare il mistero dei misteri l’uomo e il suo ambiente.

E questo modo allegorico, simbolico e ricco di archetipi è capace di contenere più piani di significato, cosi da poter essere scientifico, religioso, sacrale e di iniziazione.

Cosi come il cosmo anche l’uomo deve disgregarsi per potersi evolvere. Basti pensare alla torre di Babele dove l’uomo diventa la verità necessaria al cammino umano.

E’ un libro ricco di scoperte, di suggestioni e di meraviglia, cosi come in fondo è meravigliosa questa nostra avventura in questo mondo strano a volte difficile da decifrare ma che proprio grazie al suo enigmatico porsi alla nostra percezione ci permette di spingersi più in la dei confini limitati della nostra quotidianità.

In fondo

L’uomo incontra Dio dietro ogni porta che la scienza riesce ad aprire

Albert Einstein

“Le streghe di Benevento. La leggenda della superstitiosa noce” di Antonio Oliva, Caravaggio editore. A cura di Alessandra Micheli

 

Le Streghe di Benevento. La Leggenda Della SuperstitiosaNoce-Antonio Oliva.jpg

Unguento unguento, mandame alla Noce de Benevento, supra acqua et supra vento et supra ad omne maltempo”,

Questa cantilena, che doveva spaventare le brave bambine, a me non spaventava per nulla.

Forse perché non ero una brava bambina.

O almeno non nel senso che gli adulti davano a questo termine.

Per me brava significava rispettare i moti del cuore.

Conoscere e diventare anche polemica qualora, le acquisite nozioni, cozzavano contro il cosiddetto senso comune.

Non incarnavo il prototipo della femminilità considerato intoccabile.

Ero selvatica, odiavo i compromessi, odiavo abbassare il capo se non per seguire estasiata il percorso di una lumachina.

Che prontamente salvavo dall’incauto passo del uomo qualunque.

Per me il mondo era un parco giochi.

Nella natura ascoltavo voci che altri non udivano, troppo presi da se stessi.

Per me la terra respirava e mi raccontava i segreti di un fiore.

Che sotto le sue spettacolari spoglie nascondeva l’anima pungente dell’aglio selvatico.

Andavo a cercare i crescioni e a ascoltare il ronzio delle api, convinta che sussurrassero arcani segreti.

Ero più interessata alla magia di ogni piccolo istante che a assecondare le aspettative di una società che mi voleva inquadrata in un percorso preciso.

Non ho mai avuto un percorso.

Tuttora, non sono sicura di averlo.

Ascolto ancora voci di esseri invisibili, solo che non è più il piccolo popolo a occhieggiare furbo da un arbusto, ma un libro, un racconto, una canzone.

Tuttora nascondo la feroce coda di lupa, sotto un’elegante tailleur pronta a ringhiare o mordere qualora mi si manchi di rispetto.

Sono stata una bambina strana, fantasiosa, ma tanto amata dai suoi genitori che, lungi dal preoccuparsi della mia fantasia, ne erano orgogliosi.

Tanto da alimentarla a libri e racconti.

Specie mia nonna, con quella sua voce che narrava di un dono di famiglia.

Di una capacità particolare che regalava una strana sensibilità a noi donne.

E tuttora mia zia, la mia adorata zia Marisa, mi racconta di questa nascosta tradizione.

Mentre Zia Laura la immortala nei suoi libri.

Quindi capite che per me la nenia del noce di Benevento era familiare e consueta, per nulla minacciosa.

Anzi.

Raccontava di donne magiche capaci di oltrepassare i confini dell’umana limitazione e addirittura sfidare le impervie strade della natura.

Sopra pioggia, sopra vento sopra ogni maltempo.

Come se essa fosse cosi parte dell’universo naturale da poterlo, se non dominare, compenetrare.

E quindi dialogare con esso.

Con il tempo la curiosità per queste sorelle “streghe” che in fondo non erano altro che erboriste, sognatrici, ribelli, anticonformiste o medichesse, si sposò con un certo amore per la scienza.

E cosi impadronendomi dei segreti della sociologia, della storia e dell’etnologia mi sono chiesa che potere avesse mai questo noce e soprattutto, quello di Benevento.

Perché una città si trasforma:

con una sua storia riconoscibile e con una geografia chiara e distinta, in un luogo dell’immaginario?

Un luogo proibito e pericoloso, e sede di ogni vizio ma cosi suadente da nascondere dentro di se un inno alla libertà.

Che in fondo, nell’ottica della stregheria non era altro che partecipazione alla vita societaria.

Una partecipazione orizzontale e mai verticale, garantita da un patto tra dominato e dominante effettuato sulla base del mutuo soccorso.

Se le ragioni politiche della trasformazione sociale (la perdita progressiva del significato di cittadinanza e di rappresentanza politica autorizzate e legalizzate dalla bramosia della chiesa) mi erano chiare, meno lo erano quelle profonde, quelle che si muovevano nei residui logici paretiani.

Ecco che Antonio Oliva ci prova nel suo saggio, raccontando un po’ le suggestioni e le fantasie che hanno adombrato Benevento.

E che forse lo adombrano ancora.

E riportando in vita voci dimenticate, antichi tomi che nella loro assurda lotta ora contro la stregheria ora con l’era illuministica contro le superstizioni.

Ecco fonti letterarie si sposano in una danza antica che rende vive e concrete l’immaginario collettivo, fatto di religiosità contadina, lontana dal colto mondo cattolico e residui pagani.

Ecco allora che di nuovo capiamo come essi, le motivazioni illogiche sotto le azioni apparentemente razionali sono il mondo da raccontare, infangare e mostrare al lettore che, a differenza di me non ha mai subito il fascino delle streghe.

Ma in fondo le sente vicine, forse in quella pulsione passionale strana e aliena al suo mondo ordinato, o forse con quella volontà nata nel DNA di ribellarsi a qualcosa, a tutto e nulla.

Ma solo per sentire quel pizzico di irriverenza che ci rende profondamente vivi.

E cosi con le descrizioni piccanti di insensati raduni e sabba riviviamo una carnalità rifiutata o troppo esaltata, che ha perso un po’ del suo mistero, o una volontà di andare controcorrente e quella legge che ci voleva sottomessi, rassegnati in attesa del paradiso.

E quella volontà della strega seducente che ci diceva che il paradiso è qua e ora.

E che in fondo il serpente non proprio nostro nemico.

In fondo i rivoluzionari non sono stati tacciati di stregoneria o di eresia?

In questo testo la leggenda vive e riprende forza.

E forse può farsi strada dentro di noi rendendoci meno cauti, meno inquadrati ma profondamente vivi.

 che meritiamo un’altra vita

Più giusta e libera se vuoi

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