“Luna Rosso Sangue” di Antonio Lanzetta, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson.

Un titolo che mi fa pensare alla blood moon, la luna rossa con la sua bellezza che incanta, con il suo significato spirituale e mistico che mi porta verso la magia, verso l’oscurità, verso la luce.

La luna e il sole come due divinità gemelle che diventano spettatori di quello che accadrà all’interno di questa storia, proprio lì sotto quel cielo rosso come il sangue.

Antonio Lanzetta ha una capacità narrativa unica, è capace di avvolgerti nel buio, ti sequestra, ti porta via nell’abisso della sua immaginazione fantastica e oscura.

Capace di mostrarci che nel buio non riusciamo a vedere ma che anche la luce intensa spesso ci acceca.

Il suo romanzo è colmo di oscure atmosfere, a tratti horror, a tratti gotiche, suggestive ambientazioni che ti avvolgono, che ti stringono fino quasi a toglierti perfino il respiro.

Con flashbacks che vanno dal passato al presente ci mostra il volto del male, del dolore; quello che ci logora dall’interno, con uno stile denso, intenso, poetico, mostrandoci la vita reale attraverso la sua immaginazione, plasmando la realtà, adattandola al lettore che non solo riesce a viverla ma perfino a indossarla sulla sua stessa pelle.

La musicalità del testo è a dir poco sublime, una delizia per le emozioni; i dettagli minuziosi rendono tutto così emozionalmente vero.

Ho ritrovato nel suo stile non solo l’horror e il gotico ma anche il neorealismo in quello stile tipico di uno dei miei autori preferiti, il grande maestro Stephen King.

Antonio Lanzetta descrive la realtà che ci appartiene nuda e cruda, rivelando come il male, i mostri, sono intorno a noi, dentro di noi.

Attraverso il realismo della sua scrittura, i suoi personaggi suscitano nel lettore immediata empatia per i loro tratti umani, vulnerabili, imperfetti.

In questa prosa c’è tanta oscurità, tanto mistero, ma c’è anche sarcasmo e ironia che tiene il lettore impegnato, la sua struttura narrativa è ricca di descrizioni che rendono i passaggi e le ambientazioni così vivide, così realistiche, facendoci percepire un enorme flusso di coscienza tra le sue parole, con una prosa semplice ma ricca ci fa sentire come spettatori seduti davanti a un narratore che ci racconta la sua storia.

Con uno stile fortemente carismatico, evocativo, introspettivo e perfino magico.

Affronta il dolore, la perdita, i sensi di colpa, l’abbandono, con una sensibilità a volte disarmante e confesso di aver abbassato tutte le mie difese durante questa lettura, la sua storia mi ha toccata nel profondo scuotendomi lati oscuri del cuore, dell’anima e della mente che per molto tempo ho tenuto illuminati dalla luce del mio amore per la vita e della mia fiducia nel prossimo.

Toni e Pietro sono due fratelli molto uniti che hanno il tipico rapporto tra fratello minore-maggiore, crescendo i ruoli a volte si interscambiano ma i sentimenti e i legami restano immutati e spesso diventano persino più saldi. L’uno ha l’altro dopo aver perduto il padre per una morte che ancora cerca una spiegazione, per un dolore che non sembra passare mai e che forse non li abbandonerà mai più.

Si dice che un ragazzo diventa uomo solo davanti alla morte, ma alla morte non si è mai preparati… non si arriva mai pronti.

La prosa nell’introduzione di questi due fratelli appare con toni pacati, quasi di rassegnazione, la stessa di chi ha subito eventi devastanti che hanno cambiato il corso della loro vita, dei loro affetti, dei loro legami con se stessi e con il mondo che li circonda.

Vivono le piccole gioie e quei piccoli gesti che ti fanno credere da ragazzino che nella vita tutto andrà bene e che tutto può essere meravigliosamente bello. 

Ma quando si affronta il dolore, quando si vede la propria mamma cadere a pezzi per la sofferenza, in quel momento inizi a comprendere che forse gli stolti vivono più serenamente anche se la stupidità può portare a fare cose molto pericolose.

Un ragazzino di 14 anni e suo fratello di 10 vennero abbracciati dalla morte sotto un albero di quercia con i suoi rami rivolti verso il cielo come ossa rattrappite che puntano verso l’oscurità di un cielo terso.

Quando vedrete attraversare la nebbia quel vascello fantasma percepirete le note poetiche e oscure che vi entreranno dentro come macchie di inchiostro a oscurare l’atmosfera, io l’ho percepita così intensamente, così improvvisa, così affascinante; incantata, assuefatta da ogni parola, da ogni descrizione, da ogni oscuro evento che sembra a volte un viaggio onirico e mentre tutto è così affascinante ecco che arriva la pura azione: inseguimenti, spari, le fughe sugli scooter, vediamo come questi due bambini siano diventati adulti, dei bravi ragazzi che per necessità, per circostanze si trovano a fare le cose dei cattivi ragazzi ma chi ha un cuore buono sa essere buono anche quando sta commettendo dei reati e Pietro è una brava persona così come suo fratello Toni anche se chi li conosce sa che è meglio stargli alla larga.

Hanno un passato tormentato, hanno una famiglia, forse poco raccomandabile, uno zio che ha un’officina dove smontare auto rubate vendendo i pezzi, ragazzi che “lavorano” con lo zio Franco che li ha sempre consigliati in maniera poco ortodossa, dura come dura è la vita ma che forse con la sua schietta onestà era stato responsabile a salvare la vita a questi due fratelli. Perché i buoni insegnamenti spesso vengono da chi ci vuole davvero bene, anche se quel bene non sa dimostrarlo se non con qualche parola brusca e qualche spinta verso la realtà, quella che ci fa anche molto male.

Tra i ricordi dei ragazzini che erano un tempo, tra i piccoli batticuori da ragazzi, tra la vergogna, la derisione dei coetanei, le aggressioni dei bulli, questi due fratelli si erano sempre fatti scudo l’un altro, insieme erano una forza; insieme erano quel tutto di cui si ha davvero bisogno.

E si affronta l’amicizia, i valori dei rapporti tra coetanei, le difficoltà, la diversità sociale, culturale, le relazioni vietate, proibite, quelle nascoste, i sogni, i desideri e la consapevolezza che nessuno nasce delinquente ma è la vita che purtroppo cambia le persone.

Una telefonata dalla loro amica di gioventù Rosa ora sposata con uno dei loro amici gemelli riporta alla luce ricordi di un passato che riemerge portandosi dietro ricordi dolorosi e oscure verità fino all’estate della loro gioventù.

Rosa chiede aiuto ai due fratelli per ritrovare la figlia scomparsa, i carabinieri hanno già iniziato le ricerche ma non sembrano prendere sul serio le preoccupazioni della mamma e del padre così che Rosa si rivolge a chi sa muoversi nell’ambito della criminalità.

Le amicizie ritrovate, quelle mai dimenticate, gli amici che ti stanno vicino che ti restano accanto e che sanno stare anche in silenzio quando non c’è nulla da dire per alleviare le sofferenze. Toni e Pietro erano soli da sempre contro il resto del mondo. Lo zio Franco ripeteva sempre: “non permettete a niente e nessuno di dividervi”.

Tra il loro gruppo di amici chi si era sposato, chi era diventato ispettore di polizia e chi perfino sindaco, chi era rimasto praticamente sempre lo stesso.

Che fine aveva fatto la giovane Luisa?

Rosa, sua mamma, stava rivivendo l’orrore del passato quando ella stessa con la sua famiglia dovette affrontare un immenso dolore e lutto familiare improvviso inaspettato. Quando accade qualcosa di doloroso tutto il dolore precedentemente sofferto torna a galla; si mescola al dolore nuovo intensificandolo.

In questa atmosfera altamente suggestiva tra passato e presente vivremo sensazioni, paure, timori, speranze, segreti. Tra estorsioni, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, centri di accoglienza per immigrati, il mondo di oggi si affaccia sul mondo di ieri.

Un albero secolare, una corda appesa, quella stessa corda che ha liberato qualcuno intrappolando e sospendendo ai rami della sofferenza e dell’oblio tutti i suoi affetti.

Tra cerchi di pietre insanguinati, macabri rituali di morte, tra sentieri, insenature scavate dall’erosione del mare nella costa, una ragazza, una barca e quel volto così familiare che avrebbe riconosciuto tra mille.

Pietro e Toni si trasformeranno in due abili investigatori seguendo le tracce invisibili lasciate dalla giovane ragazza scomparsa, cercheranno indizi, prove, cercheranno l’aiuto dell’amico ispettore, si dovranno avvicinare anche al vecchio bullo e arrogante di quando erano ragazzi, le loro indagini sono ai limiti della legalità, ma sono due ragazzi capaci, coraggiosi e dal cuore fondamentalmente buono che stanno cercando di riportare una figlia ai propri genitori ma che nel tentativo scopriranno da dove aveva origine quel vuoto negli occhi del loro stesso padre, quell’abisso oscuro che egli aveva nell’anima.

La notte porta consiglio si dice ma fa riaffiorare anche gli incubi più grandi, quell’albero malvagio, assassino, quella montagna oscura, minacciosa, il dolore e la consapevolezza che due come loro non possono essere la prima scelta di nessuno.

Tra sensi di colpa, rimorsi, antichi rancori, la luna sarà alta nel cielo e le stelle danzeranno nella notte.

In quel confronto antico tra il bene e il male tra la luce e l’oscurità per non farti vincere dal male devi dimostrare sempre a te stesso di saper resistere, di poterti rialzare ad ogni caduta, le ferite guariscono e siamo forti.

L’autore ho avuto la sensazione a volte che sia stato spesso solo con le sue paure, con il suo dolore e che abbia trasmesso la sua forza e il suo coraggio proprio attraverso questa storia. 

la montagna chiede la montagna offre mentre il cerchio si bagna di sangue.

Siamo tutti al centro di un cerchio di pietre, un cerchio che con il tempo non solo si chiude, alcune volte ci libera, altre volte ci intrappola nei pregiudizi, nella menzogna, nei segreti, nell’ignoranza.

Cosa è accaduto oggi che è ancora legato a ciò che è stato ieri?

Seguite la storia di questi due fratelli; ragazzi che nessuno vorrebbe frequentare ma che tutti meritiamo di avere accanto perché; il male che li ha avvolti e abbracciati non è stato capace di tenerli legati a sé per l’eternità.

Un finale che… non ne avrete mai abbastanza perché la verità lascia cose in sospeso con la vita, con la morte e perfino con la luna.

Complimentissimi all’autore, stile impeccabilmente fantastico.

Un libro che non scorderete facilmente..” La tormenta ” di Luigi Carrozzo, Dark zone, ovviamente!

Quello che vide lo lasciò senza fiato: una serie perfetta di schegge, una dietro l’altra in fila, come le zanne di un predatore. Sembravano sospese in aria e puntavano verso di lui in un ghigno feroce. E poi, una costellazione di occhi azzurri e fiammeggianti. L’esercito delle Bestie era schierato. Quanto dovevano brillare quegli occhi per essere visti da così lontano e sotto una tormenta incessante? Cominciò, quindi, un concerto di ululati e versi terrificanti.

La tormenta – Quarta di copertina

Una bufera del genere non si era mai vista; in poche ore, sulla sola Milano, quasi un metro di neve. È la notte del 13 gennaio e chi esce di casa a sfidare il maltempo non fa più ritorno. La mattina seguente è anche peggio: sotto l’incessante tormenta esplode la furia delle Bestie. Sono animali da incubo, simili a lupi famelici e inarrestabili. Sbranano chiunque incroci il loro cammino. E l’orrore non è ancora finito. In mezzo al cielo compare un punto nero, una sorta di buco che si ingrandisce di ora in ora.

La bufera di neve, le Bestie, il buco nero: chi o che cosa ha dato inizio a tutto questo?

Per scoprirlo bisognerà seguire le vicende di una madre e una figlia: Ilde e Greta. Entrambe condividono un dono, entrambe scopriranno una terribile verità, entrambe sanno che dovranno combattere a rischio della loro stessa vita per salvare tutto ciò che amano e, forse, la stessa realtà.

Strillo

Non puoi salvarli tutti

L’autore

Luigi Carrozzo è nato a Salerno e vive a Milano. Ha lavorato per anni con numerose case editrici ricoprendo vari ruoli: traduttore, ghost writer, editor.

Suoi racconti sono stati pubblicati su diverse riviste e antologie.

Per DZ edizioni ha pubblicato i romanzi Il pane dei morti, nel 2020, e La danza dei ragni, nel 2022. Inoltre, un suo racconto compare nell’antologia illustrata Hellgate, 2021.

Review party “La Cripta di Venezia” di Matteo Strukul, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

Tutti conosciamo Venezia come una delle città più belle del Mondo: con i suoi canali, le calle, i suoi 400 ponti, le sue peculiarità urbanistiche, il suo immenso patrimonio artistico e storico: la stupenda Piazza San Marco, con la sua Basilica, Il Palazzo Ducale, il Ponte dei Sospiri… una città straordinaria, costituita da 118 isole separate da ponti e attraversate da canali che fungono da strade. Venezia è lei stessa un’opera d’arte incredibilmente meravigliosa e dalla storia affascinante e possente, che nel tempo fu anche chiamata la Serenissima, un epiteto per evidenziare la stabilità politica e la tranquillità sociale che caratterizzano la Repubblica di Venezia nonostante le sfide e le rivalità con le altre potenze europee.

In questo straordinario thriller storico nato dalla mente brillante di Matteo Strukul, scopriremo una Venezia quasi inedita, più oscura, macabra, la Venezia forse conosciuta a pochi, quella delle cripte, i luoghi nascosti nei sotterranei, luoghi lugubri ma ricchi di fascino e di arte. 

Spazi che erano stati pensati originariamente per conservare e preservare le reliquie dei santi protettori a cui le chiese erano dedicate, luoghi poi dimenticati per negligenza o a causa delle acque alte che li sommergevano.

Siamo alla terza avventura di Giovanni Antonio Canal, soprannominato il Canaletto che si ritrova a esplorare e a indagare non in una Venezia vista dall’alto ma nei suoi sotterranei al di sotto della Venezia che appare agli occhi del mondo per scoprire ciò che sembra essere celato nelle profondità degli abissi degli inferi.

Matteo Strukul dimostra ancora una volta di avere un’immaginazione straordinaria, capace di mostrarci il periodo storico con accuratezza di dettagli e di riferimenti storici ma con un twist assolutamente moderno, in uno stile che si avvicina molto allo stile di Quentin Tarantino. Non impone ai suoi lettori gli eventi o i complotti, egli lascia che siano i suoi personaggi a svelarli attraverso una narrazione dinamica, organica e del tutto imprevedibile; narrativa rigogliosa di dialoghi e di azione, che rende il suo stile iconico per la sua profonda comprensione della storia che ci sta svelando così come il coraggio nel raccontare la storia in uno stile che intriga e che, permettetemi di dirlo, ho trovato pregno di una carica erotica assolutamente estrema.

Non confondete ciò che sto dicendo, non ci sono scene o descrizioni grafiche che portano all’erotismo per come lo intendiamo letteralmente, ma egli è un abile giocoliere e alchimista delle parole e riesce a inviare dei messaggi quasi subliminali attraverso la sua prosa che suscitano pulsioni molto erotiche seppur si tratti di un romanzo storico e thriller.

Penserete che sia una pazza, ma leggete questo libro e capirete da soli cosa intendo.

Non è facile riuscire a giocare con la mente del lettore e Strukul lo sa fare e lo sa fare bene e sono convinta che il suo intento non sia casuale o una percezione esclusivamente mia, sento e sono convinta che sia voluto.

La sua apertura mentale fa da portale tra il passato e il presente dove ci troviamo. Noi lettori ci ritroviamo a vivere il 1732 in tutto il suo fulgore politico, sociale, storico, culturale e religioso.

Il suo linguaggio è comunicazione metaforica, i suoi dialoghi hanno una risonanza ritmica accattivante, riesce a manipolare e a plasmare gli eventi mostrandoci la natura umana nella sua essenzialità, costruisce tensione, suspence e ha un sotto testo molto incisivo che rende esplicito al lettore ciò che nei dialoghi è implicito.

L’atmosfera è solenne, rigida, inquietante in alcuni aspetti ma assolutamente affascinante.

La novizia Marietta ci porta da subito all’interno di quelle atmosfere oscure, mettendoci addosso una forte sensazione di inquietudine, tra le opere artistiche e architettoniche si muove questa giovane novizia che percorre quel luogo sacro con reverenza e rispetto ma anche con una forte curiosità verso quel puzzo fatiscente che sembra entrarle dentro dal naso fino a torcerle le interiora.  Un luogo sacro che emanava l’odore della bestia.

La prosa curata, musicale e assolutamente ammaliante ha un effetto elettrizzante sul lettore.

La giovane Marietta scoprirà qualcosa di terribile nelle profondità della cripta, il corpo di una donna legata e violata con feroce brutalità, con un mattone infilato con violenza nella sua bocca, che le ha sfondato la mandibola uccidendola.

Quella donna era anche ella una giovane monaca imparentata al doge di Venezia e questo ritrovamento turba la quiete della Serenissima, accende forti preoccupazioni sul movente dell’assassinio. 

Il nostro investigatore, il Canaletto insieme ai suoi amici, Joseph Smith colui che rende possibile l’impossibile, il Dr Liebermann e Owen McSwiney, dovrà scavare indizi, scoprire segreti, congiure, complotti e tradimenti per poter trovare il colpevole di questo efferato crimine.

La brutalità perpetrata sulla giovane innocente vittima gli riporta in mente lo stile criminale di una sua vecchia conoscenza Olaf Teufel, era tornato?

Il Canaletto sta già combattendo le sue sofferenze e il suo dolore: la lontananza dalla sua amata Charlotte gli provocava un forte vuoto interiore.

Il suo amore era lontano e la sua mente era spesso in viaggio attraverso il mondo dei ricordi e dei rimpianti.

Ma quando viene convocato al palazzo Ducale al cospetto del doge ormai alla deriva dei suoi rigogliosi giorni e delle potenti gesta, ridotto al fantasma di se stesso, Canal non può rifiutare l’incarico assegnatogli. Il suo senso del dovere, il suo onore e la sua fedeltà al servizio della Repubblica non gli permette di rifiutare.

Ma dove c’è chi Venezia la ama si cela qualcun altro che invece la bellissima Venezia la odia.

La baronessa Orsolya Esterhazy appare come una strega dalla bellezza affascinante e ammaliatrice; dalle abili arti di seduzione ma colma di rancore, di odio e di ricordi di un’infanzia dolorosa, le sofferenze della sua famiglia, di sua madre, del suo popolo, figlia dei Valacchi neri e futura monarca ci appare circondata da nubi oscure, quelle del temporale, che sembra scatenato dalla sua stessa ira e dalle sue stesse dolorose emozioni.

La pioggia scende come un manto di disperazione, la stessa della baronessa che complotta, che seduce, che minaccia al solo fine di compiere il suo destino e quello della vendetta.

La vendetta è paziente e si nutre di rancore.

Si percepisce tutta la perversione psicologica di questa donna che ho adorato per il suo carisma, per la sua audacia, per la sua forza e per il suo potere. Una donna potente ma stracolma di fragilità.

Lei muove i fili delle persone di cui si circonda, nessuno le è accanto per caso, nessuna delle sue gesta o azioni o parole son mai casuali. 

Tutto ha un obiettivo, tutto la muove verso un’unica e sola direzione.

Gli amici del Canaletto che sono personaggi assolutamente di spicco nel contesto di questo romanzo sono davvero particolarmente affascinanti: Joseph Smith è un mercante e collezionista d’arte, l’amico irlandese Owen McSwiney vive in un vecchio teatro. Ho assolutamente adorato come i confronti e le considerazioni sulle indagini di questi amici si svolgesse proprio in quel luogo così particolarmente teatrale, uno sul palco, uno sugli spalti, un altro dietro le quinte, sembrano osservare gli eventi e gli indizi da diversi punti di prospettiva e quei dialoghi mi hanno assolutamente incantata e catturata per la loro coreografica bellezza.

Il doge sta morendo e Venezia ha la necessità di un nuovo doge; un uomo che sia indipendente, un uomo di pace, un uomo giusto, ma la politica di Venezia è molto intricata, non priva di cavilli e di intrighi e complotti segreti.

Chi stava colpendo brutalmente le persone vicine al morente doge di Venezia?

Era davvero il ritorno di Teufel o forse non è giusto che il passato influenzi e contamini le indagini di eventi che potrebbero essere del tutto nuovi?

Le indagini proseguono tra segreti, inganni, menzogne e corruzione politica, tra relazioni illecite e segrete, tra fughe romantiche e tradimenti ma non è tutto perché Strukul ci porta anche nel regno oscuro della rinascenza, del vampirismo, facendoci scoprire il folklore tedesco, polacco, il morbo che riporta in vita i morti, i masticatori di morte.

Tra la bellezza della Venezia in superficie con i palazzi, gli affreschi, le sale dei caffè veneziani dove si consumano prelibatezze locali: frittelle, lingue di gatto, capezzoli di Venere, si passa dal peccato di gola al peccato capitale ma cercate di non saltare a conclusioni affrettate perché ciò che sembra è ancor più inquietante di quello che realmente è.

C’è in questa storia la pura essenza del male ma anche il dubbio sulla sottile linea di demarcazione tra la vendetta e la giustizia, ma soprattutto chi sta veramente dalla parte del bene e chi dalla parte del male?

C’è molta brutalità e perversione tra le pagine di questo accattivante romanzo, ma c’è anche molto sentimento, quello puro, innocente, indissolubile dell’amore vero, quello romantico, quello che continua anche quando si interrompe, gli scambi epistolari del Canaletto con la sua Charlotte, una donna che cerca di punire se stessa per le sue mancanze, per i suoi errori, per colpe che nemmeno ha, ma per responsabilità che ha deciso di assumersi.

Un uomo spezzato che cerca di rimettere insieme non solo i pezzi di un caso molto complesso ma anche quelli della sua vita, dei suoi sentimenti e dei suoi desideri. Quando ci si assume colpe che non abbiamo diventiamo immeritevoli perfino della nostra stessa felicità.

Una storia in cui non ci sono né vincitori né vinti ma solo tanta amarezza, tanto rancore e tanta voglia di giustizia.

Venezia di Diego Valieri:

C’è una città di questo mondo,
ma così bella, ma così strana,
che pare un gioco di Fata Morgana
e una visione dal cuore profondo.

Avviluppata in un roseo velo,
sta con le sue chiese, palazzi, giardini,
tutta sospesa fra due turchini;
quello del mare, quello del cielo.

Così mutevole! A vederla
nelle mattine di sole bianco,
splende d’un riso pallido e stanco,
d’un chiuso lume, come la perla;

ma nei tramonti rossi affocati
è un’arca d’oro, ardente, raggiante,
nave immensa veleggiante
a lontani lidi incantati.

Quando la luna alta inargenta
torri snelle e cupole piene,
e serpeggia per cento vene
d’acqua cupa e sonnolenta,

non si può dire quel ch’ella sia,
tanto è nuova mirabile cosa:
isola dolce, misteriosa,
regno infinito di fantasia…

Cosa di sogno vaga e leggera;
eppure porta mill’anni di storia,
e si corona della gloria
d’una grande vita guerriera.

Cuor di leonessa, viso che ammalia,
o tu, Venezia, due volte sovrana:
pianta di forte virtù romana,
fiore di tutta la grazia d’Italia.

Review party “Le Mooners. Tre sorelle e tanti guai” di Laura Gaeta, Hope edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Ogni canzone d’amore
Svanisce nel vento e lo sai dove va?
Va da una donna sognata
Perduta per sempre
Che non tornerà

Ma la canzone ritorna
Ritorna per dirti che un’altra verrà
Che non finisce mai niente
E il cuore lo sente
E il cuore lo sa
Portami via questa notte
Portami ovunque tu vai
Portami dove le stelle
Non si addormentano mai

Avrei voluto scrivere questa recensione in modo diverso. Poi è arrivata la notte.

E uno strano silenzio invade questa mia anima cosi stanca.

Stanca di scappare dal dolore, dai ricordi e dai rimpianti. Stanca di cercare di mantenere una maschera, stanca di trovare solo cenere nei suoi cassetti dei sogni.

Stanca di ingannare me stessa, fingendo di essere qualcosa che non sono.

E cosi arriva sempre un libro a prendermi per mano e a accompagnarmi nella discesa in quel regno segreto che è la mia anima.

E lo fa tra risate e lacrime.

Perché la vita non è altro che una giostra che si alza e si abbassa, che gira con furia attorno a un perno.

Nel tentativo vano di acchiappare il proprio premio.

E spesso questo girare crea disequilibrio.

Non è facile restare in sella al proprio cavallino addobbato a festa. Non è facile svegliarsi e affrontare quelle ferite che il tempo ti ha lasciato.

Tutti noi che abbiamo una cicatrice lo sappiamo: abbiamo bisogno di un abbraccio, e in quell’abbraccio sperare che il calore torni a riscaldare un cuore congelato.

Non accade sapete?

Se non accettiamo la scommessa e prendiamo la vita per quello che è una bizzarra avventura.

E cosi senza pensare, sfidando la sorte con un incoscienza fragile e forte al tempo stesso, sappiamo cogliere ogni occasione.

Che sia assurda come quella di Aldrin, che è buffa, scomposta, scapestrata e assurdamente tenera.

O come Armstrong cosi dura, feroce e cosi sola.

O come Collins che passa la vita a ingannare se stessa e poi gli altri. Tutte loro, la tre sorelle a un certo punto del loro percorso lasciano uno spiraglio aperto, laddove il destino può entrare, sostare farsi spazio e iniziare a ronfare come un gatto che finalmente trova casa. Mi piace immaginarlo cosi il mio destino.

Io che gli sfuggo, lui che mi lascia fare, sornione, sapendo che prima o poi lascerà aperta la porta per sbaglio o per bisogno.

Ecco che qualcosa inizia a cambiare.

Tutto crolla, ma in realtà non fa altro che rimodellarsi.

E mentre noi continuiamo a andare avanti, senza quasi accorgersi, la bellezza torna a fiorire dentro di noi.

Oh se si ride con le Mooners!

Perché in fondo l’esistenza stessa e ogni nostro tentativo di cavalcarla è davvero esilarante.

E si piange.

Oh che lacrime nel vedermi riflessa in Armstrong.

E quanta pena nel comprendere come Collins fosse un po’ l’altra patte di me.

Tre aspetti di ogni donna rappresentati con dolcezza,a delicatezza e profondo rispetto, perché ogni nostro lato, lo sapete bene, contiene un grosso dolore.

Un dolore privato.

Un dolore nostro che tentiamo di nascondere.

Aprire lo zaino e lasciarlo balzare fuori è davvero una grandep rova di coraggio.

Ma in fondo siamo donne no?

Nutrite a pane e coraggio.

Figlie della luna, del cielo stellato, di quel mistero che si risveglia ogni mattina nei nostri occhi.

Cinici, sognanti, disperati.

Poco importa

Noi siamo le Mooners.

E come loro vivremo quest’avventura con la stessa profonda spensieratezza.

Perché anche noi dopo un lungo difficile percorso avremo il nostro lieto fine.

Come ognuna di queste preziose sorelle.

E cosi con dolcezza arriverete all’ultima pagine con gli occhi che brillano, come le stelle a cui appartenete.

Un po’ vi mancheranno lo so.

Vi mancherà persino l’adorabile Quack.

Ma loro non sono andate via. Torneranno ogni volta che avrete bisogno di noi.

La scapestrata, quando dovrete osare e affrontare l’avventura.

Quando dovrete farvi strada in un mondo maschile senza perdervi.

Quando vorrete semplicemente togliervi la maschera e ricominciare a amarvi, cosi come meritate.

Le Mooners sono voi.

E vi insegneranno che l’amore è si prezioso, ma quello che dovete provare per voi stesse.

Cosi belle quando siete fragili.

Cosi belle quando siete stronze.

Cosi belle senza trucco, impiastricciate e persino quando stringerete al cuore un piccola innocente papera.

Belle perché siamo fottutamene umane.

E se non siamo eterne, lo saremo in ogni brama di vita che lasceremo come segno su questa terra.

Portami via
Se sbaglio insegnami
Portami via
Se cado tienimi

Non riconosco nessuno
Non c’è più nessuno
Non conta più niente
Questo non è più il mio tempo
Non è più il mio canto
Non è la mia gente

Portami via
Se ho freddo coprimi
Portami via
Se torno stringimi

Stringimi forte stasera
Ti sei primavera
Io sono l’inverno
Stringimi stringimi ora
Perché ho seri dubbi
Di essere eterno

Roberto Vecchioni

Review party “Una promessa in riva al lago” di Carley Fortune, Newton Compton. A cura di Alessandra Micheli

Chi di noi non ha avuto in dono una promessa?

Poco importa se è morta alla feroce luce del sole cocente.

Importante è averla avuta.

Perché significa che nonostante il gelo che la vita dona al nostro cuore, esso un tempo era vivo, pieno di fiducia e forse di un pizzico di ingenuità.

Significa che quel cuore oggi stanco e ferito, batte ancora.

E dietro di se, nascosti in cassetti quasi dimenticati, ci sono anche quelle frasi non dette, quei segreti che, forse, sottolineo forse ci hanno allontanato proprio da quella promessa.

E i treni mai davvero presi sono quelli a nutrire queste ombre.

Sono i se e i forse a farci avvizzire.

Non il dolore di un amore vissuto.

Non il sogno consapevolmente custodito perché il vento gelido del reale non lo rovinasse.

Sono i rimpianti.

Quel avrei potuto ma non ho avuto il coraggio.

Quell’appuntamento non vissuto per chissà quale motivo.

Tutti noi abbiamo un Will a cui tornare.

Qualcuno che ha infranto il velo dell’inconsapevolezza strappandolo a mani nude.

Qualcuno che aveva teso la mano ma che non siamo riuscite a afferrare.

O forse qualcuno che per proteggerci non l’ha proprio voluta stringere.

E cosi ci sentiamo svuotate.

Perse, disilluse.

Ed è in quel momento che accade qualcosa di magico.

Quando noi ci siamo oramai costruiti un bel fortino irto di ostacoli per chi vuole conquistarlo.

Con fossati profondi per chi desidera entrare con passo potente dentro i nostri giardini.

Una fortezza invalicabile, protettiva, dove possiamo passeggiare in un tempo non tempo, istanti sospesi, ripuliti dalla difficoltà di scelta, dalla possibilità di provare emozioni feroci, come la guerra che si avvicenda fuori dalle alte mura.

E’ vita questa?

Non lo so.

Ma conosco la sensazione soffocante della sicurezza.

Quando tutto è perduto.

E non vuoi neanche un sogno a cui aggrapparci per sopravvivere. Conosco la sensazione molto bene, della disillusione di chi ha aspettato qualcosa, qualcuno, in riva al suo lago.

Perché il lago è placido e profondo.

E’ tranquillo e insidioso, cosi come la vita, l’amore e la crescita.

Fern è un po’ tutte noi sapete?

Noi che pensiamo di esserci finalmente liberate da ogni fragilità.

E poi..

La vita gioca ancora le sue carte.

Le rimescola e decide di giocare un altra mano.

Un’altra dannata mano di poker, in cui ci sarà chi bara, chi finge, chi vince e chi perde.

E cosi quando tutto sembra oramai scritto, la promessa torna a bussare alla nostra porta.

E’ luminosa e accecante, cosi accecante che farà luce in ogni antro buio del nostro io, in ogni vicoli in cui abbiamo custodito segreti.

E cosi non sarà soltanto una seconda possibilità in amore.

Lo sarà per la donna che deve ancora sbocciare.

Perché credetemi, rinchiuse in quella torre di avorio non si cresce. Non si cambia.

Non si soffre è vero.

Ma si rimane solo possibilità e mai, mai presenza.

E noi come Fern, come ogni donna che mi leggerà dobbiamo poter incidere con una lama rovente sulla corteccia della nostra vita.

Far scendere linfa in terra e percorrere fiere il sentiero che essa traccerà.

Torna il grande talento di Filippo Mammoli con una nuova inquietante storia “Eclissi totale” edito Dark Zone. Ciò che la luce non rischiara, il buio divora.

Marcello era sempre più allibito dalla totale insensibilità di una persona come Viganò, che ricopriva un ruolo di grande rilevanza istituzionale e sociale.

«Io preferisco non avventurarmi in considerazioni personali. Le dico solo che abbiamo trovato un altro messaggio e dobbiamo capire se sia stato scritto dallo stesso Grazzini.»

Il PM fece una pausa. «E cosa ci sarebbe scritto?»

«Solo due parole. Di corsa.»

«Lei, Tarantini, vuol mettere alla prova la mia pazienza. Come minchia fa a sapere se sono state scritte di corsa? E cosa ce ne fotte a noi, in ultima analisi?»

«No, non ha capito. ‘Di’ e ‘corsa’ sono le due parole che compongono il messaggio.»

«Ah» altra pausa. «E allora?»

«Allora potrebbe essere collegato agli altri due suicidi.»

«Ma se mi ha appena detto che questo disgraziato è morto per overdose! Non mi pare un suicidio. Di certo non a livello cosciente. A meno di non ritenere che si suicidino anche tutti quelli che muoiono per un cancro ai polmoni dopo aver fumato per trent’anni!»

«Beh, in effetti non sarebbe una considerazione del tutto sbagliata. Comunque, in attesa dei risultati della Scientifica e del medico legale, riterrei opportuno apporre i sigilli all’appartamento.»

«Faccia come crede, ma non perda tempo con l’idea di un altro suicidio.»

Marcello chiuse la comunicazione prima che lo facesse il PM, giusto per prendersi almeno questa piccola soddisfazione. Rimase alcuni secondi a fissare il display del telefono, facendosi violenza per non obbedire all’impulso di scaraventare il cellulare giù per la tromba delle scale.

«Ma puttanaccia della… cazzo di Budda!»

Marcello sbatté il pugno della mano destra sul corrimano metallico, provocando un rumore che risuonò fino al portone d’ingresso al piano terra.

Sinossi 

Un uomo vola giù dal tetto di un edificio e a indagare viene chiamato il commissario Marcello Tarantini, insediatosi nel nuovo ruolo di capo della Squadra Mobile della questura di Prato da appena due settimane. Tutto fa propendere per l’archiviazione del caso come suicidio, quando una seconda e una terza morte in situazioni analoghe arrivano a complicare le cose, complici anche i messaggi scritti a mano dalle vittime e collegati ai disturbi mentali per cui erano in cura da alcuni specialisti.

La lente d’ingrandimento di Tarantini si sposta su una influencer e il suo ragazzo, sempre i primi ad arrivare sui luoghi delle tragedie per girare e pubblicare video di dubbio gusto. Ci sono loro dietro la catena di suicidi? O lo psicologo che si rifiuta di collaborare?

Filippo Mammoli regala ai suoi lettori la nuova indagine del commissario Tarantini, che questa volta dovrà vedersela non solo con una serie di morti sospette, ma anche con una questora che non vede l’ora di liberarsi di lui.

Sono nato a Prato il 5 agosto del 1972. Come ingegnere elettronico, sono responsabile dello sviluppo software di un’azienda fiorentina che lavora nel settore del controllo qualità tramite machine vision.

La mia passione per la scrittura inizia dalla poesia, con cui mi sono cimentato fin dall’età di vent’anni. Ho ottenuto premi in concorsi letterari e pubblicazioni nell’antologia del concorso “Daniela Pagani” indetto dal C.A.L.C.I.T. Chianti fiorentino nel 2004. Nel 2005 ho pubblicato un’altra poesia nell’antologia “I segreti di Pulcinella” edita da Giulio Perrone.

Nel 2016 ho pubblicato in self publishing il mio primo romanzo dal titolo “I casi del destino”.

Nel 2018 il mio racconto “Purezza” è stato inserito nell’antologia “Racconti toscani” edita da Historica edizioni.

Nel 2019 ha visto la luce il thriller “Oltre la barriera” pubblicato da Dark Zone edizioni con cui ho partecipato al Salone del libro di Torino.

Sempre nel 2019 è uscito, per la Jolly Roger edizioni, il giallo dal titolo “Il bosco delle more di gelso”.

A giugno del 2020 ho pubblicato, per la Dark Zone edizioni, una raccolta di racconti noir dal titolo “Sospesi sul nulla”.

Nel dicembre 2021 è uscito il thriller “Le farfalle dell’Elba”, edito da Dark Zone edizioni.

A maggio 2023, in occasione del Salone del libro di Torino, è uscito per Dark Zone edizioni il thriller dal titolo “Due passi all’inferno” che a settembre dello stesso anno si è classificato sesto al concorso “Giallo Trasimeno”.

Marcello era sempre più allibito dalla totale insensibilità di una persona come Viganò, che ricopriva un ruolo di grande rilevanza istituzionale e sociale.

«Io preferisco non avventurarmi in considerazioni personali. Le dico solo che abbiamo trovato un altro messaggio e dobbiamo capire se sia stato scritto dallo stesso Grazzini.»

Il PM fece una pausa. «E cosa ci sarebbe scritto?»

«Solo due parole. Di corsa.»

«Lei, Tarantini, vuol mettere alla prova la mia pazienza. Come minchia fa a sapere se sono state scritte di corsa? E cosa ce ne fotte a noi, in ultima analisi?»

«No, non ha capito. ‘Di’ e ‘corsa’ sono le due parole che compongono il messaggio.»

«Ah» altra pausa. «E allora?»

«Allora potrebbe essere collegato agli altri due suicidi.»

«Ma se mi ha appena detto che questo disgraziato è morto per overdose! Non mi pare un suicidio. Di certo non a livello cosciente. A meno di non ritenere che si suicidino anche tutti quelli che muoiono per un cancro ai polmoni dopo aver fumato per trent’anni!»

«Beh, in effetti non sarebbe una considerazione del tutto sbagliata. Comunque, in attesa dei risultati della Scientifica e del medico legale, riterrei opportuno apporre i sigilli all’appartamento.»

«Faccia come crede, ma non perda tempo con l’idea di un altro suicidio.»

Marcello chiuse la comunicazione prima che lo facesse il PM, giusto per prendersi almeno questa piccola soddisfazione. Rimase alcuni secondi a fissare il display del telefono, facendosi violenza per non obbedire all’impulso di scaraventare il cellulare giù per la tromba delle scale.

«Ma puttanaccia della… cazzo di Budda!»

Marcello sbatté il pugno della mano destra sul corrimano metallico, provocando un rumore che risuonò fino al portone d’ingresso al piano terra.

Review party “Il silenzio dei vivi” di Diego di Dio e Francesco de Benedettis, NPE edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Ho sempre detto che il bisogno di chi legge thriller o gialli o noi è molto diverso dalla gioia narcisistica di scovare l’assassino.

Non è solo un gioco d’astuzia contro l’autore.

Seppure quella parte entra in quella giostra emozionale da cui, una volta salita non si scende più.

Mi spiace dirlo, ma per quanto io mi possa dilettare con ogni genere alla fine torno sempre a casa.

Perché il male mi spaventa mio lettore.

E non solo quello fuori di noi, nato nei bassifondi di una società che continua a essere una piccola riproduzione di quella vittoriana, stratificata, gerarchizzata e piena di etichette.

Non è soltanto la disperazione di chi tramite il delitto vuole lasciare un impronte, seppur malsana, lungo il suo cammino e quando nessun ascolta, quando sai che giocarti l’anima non è il peggiore dei finali, te ne freghi e entri con passo tonante nell’abisso.
No, non è quello il male che mi turba.

So quale potrebbe essere la soluzione e saperlo, anche se mi fa rabbia non vederlo applicato, diventa un po’ il balsamo sulle ferite.

Il vero male, quello su cui tu non hai assolutamente modo di agire, che puoi soltanto accettare spaventandoti, perché è lui il vero mostro dentro l’armadio è la follia.

E’ quel click che spegne un interruttore e annulla la distanza tra ragione e istinto bestiale.

E’ quello che racconta terrorizzandomi, Vasco Rossi

Perché la vita è un brivido che vola via è tutto un equilibrio sopra la follia

Un equilibrio sopra la follia è una frase agghiacciante.

Non ci avete masi pensato?

E’ come se noi miseri umani, nonostante la grandeur che abbiamo dimostrato lungo i secoli, siamo soltanto sciocchi equilibristi che camminano dondolandosi, sopra un sottile filo.

Di ragnatela magari, con un abisso che ci attende sotto.

Un abisso cosi nero, cosi contorto e grottesco da risultare stranamente seducente.

Guardarci dentro è la nostra fine.

Non dobbiamo soltanto tenerci in equilibrio ma dobbiamo anche evitare che il suo tenebroso sguardo ci seduca, ci avvinca e ci porti a lui. Il terrore non è tanto nella caduta, ma nella tentazione di gettarci dentro senza remore, senza pensarci senza rimpianti.

E’ allora che inizia il viaggio solitario verso il buio.

E’ la follia che invade la tua anima e non c’è compassione che tenga. E sapere che è soltanto un filo sottilissimo che mi separa dalla follia mi spaventa.

E per esorcizzare la mia paura imbevo la mia mente di horror, di thriller e di saggi di criminologia.

Come se sapere sempre più cose mi preservasse dalla maledizione.

Ecco un thriller quasi sempre è un viaggio onirico dentro queste ossessioni, un viaggio in cui l’unico protagonista siamo noi.

E finché riusciamo a dire no, a ritrarci come scottati, forse, sottolineo forse, siamo salvi.

E tra i motivi peggiori per cui esiste quel click nell’anima è sicuramente la perdita.

Un lavoro, una sicurezza, o una persona cara.

Fa in modo che ci gettiamo tra le braccia id un abisso fatto di dipendenze, alcol o violenza.

O pallidi e assurdi tentativi di riscatto.

Perché porre noi il gesto risolutivo di qualsiasi inceppo nei nostri sogni, nello schema della nostra vita, significa avere il controllo della nostra storia.

In fondo, il silenzio che fa più paura non è certo quello di chi non c’è più.

Ma di chi resta.

E risuona di tutto ci che abbiamo dentro la testa.

Tutto.

E sappiamo dagli studi di psicologia di J. Ames che dentro la mente abbiamo di tutto.

Tutto mio lettore.

Pensieri positivi, pensieri distruttivi, residui e un ombra acquattata negli angoli, pronta a balzare.

E’ uno dei motivi per cui odio sentir dire “dicco cosa penso” proprio perché dentro di noi abbiamo sia il grano che la pula.

E lasciare fessure aperte significa distrarsi e noi dobbiamo essere gladiatori pronti a combattere la bestia feroce.

Che è e resta il nostro io.

E nel silenzio tutto questo rimbomba.

Come certe canzoni che non ti lasciano dormire la notte, risuonano, e risuonano ipnotizzando la parte conscia e dando più potere a quella latente e oscura.

Nel silenzio tutto nasce e tutto muore.

E cosa nasce o cosa muore, dipende da noi.

Un libro thriller o noir deve raccontare questo contrasto fatto di chiari e di scuri, di bellezza e sorrisi e di profondità di un dolore che è all’origine di ogni caduta dentro le fauci dell’abisso.

In genere, una storia mi dona questo, seppur riesco a stare quasi lontana dall’immersività che la lettura richiede.

Tranne con loro, tranne con il binomio Diego e Francesco.

Perché lui sa scrivere e quindi prende dal calderone dell’archetipo tutto ciò che seduce, sconvolge e ossessiona noi esseri umani.

E Francesco rende tali sogni/incubi reali, disegnati, usando proprio i chiari e scuri che sono alla base del perturbante.

E imitando perfettamente la tecnica di Kubrick ci fa comprendere come a volte è nella luminosità che è insito il pericolo.

La luce illumina e da consapevolezza, fa vedere lo sporco.

Mentre nell’oscurità si rannicchia la mente e quasi si assopisce.

E cosi che il viaggio è totalizzante.

Dalla grapich novel è difficile staccarsi.

Mentre delinea scene, che divengono mano a mano che la lettura prosegue, sempre più reali, più paurose dello stop del buio che quasi culla il protagonista.

E cosi il libro e l’immagine diventano voci che forse in piccolo ognuno di noi ha udito.

Magari senza il finale…

Che ovviamente non vi svelerà mai.

Ecco che concluso il viaggio il silenzio dei vivi ha meno segreti.

E’ sempre spaventoso, ma forse nominarlo lo rende, o spero che lo renda meno pericoloso.

O forse in fondo alla luce, quella che ci ha inchiodato come cervi rapiti dai fari di un auto di notte, esiste la redenzione.

Sullo sfondo di una Napoli che con la sua solarità rende il contrasto con la prua ancora più raccapricciante, il silenzio dei vivi si ritaglia un posto.

Non solo come miglior grapich novel, ma sopratutto dentro di me.

E’ scesa una notte di tenebra eterna su tutto il regno. Improbabili ma coraggiosi eroi tenteranno di sconfiggerla…Raggiungeteli in quest’avventura folle e incredibile “Tenebre sulla fattoria” di Dario di Gesù edito dalla nostra Dark Zone, ovviamente.

Risalita la collina spoglia che circondava la struttura, Katliam sussurrò: «Troppo facile.»

«Dietro di noi» fu Pigfried il primo a dare l’allarme mentre dalle fronde alle loro spalle emergevano le guardie della peste in gran numero, con alcuni mastini d’ombra tra le proprie schiere.

«Era, dunque, una trappola» ruggì Norton, voltandosi verso Genette con cresta e bargigli pulsanti per la rabbia, ma non ebbe il tempo di fare altro prima che Pigfried ordinasse di gettarsi nel fossato per raggiungere l’interno del castello. Il gallo stava per eseguire l’ordine, quando si rese conto che il liquido sul fondo era troppo nero e agitato. «Fermi tutti!» avvisò, ma non prima che un lupo si tuffasse e venisse rivoltato, producendo un rosso geyser tra i flutti di ciò che non era acqua.

Il fondale iniziò a sollevarsi verso di loro: un immenso Infestanotte o forse la summa di tutti gli Infestanotte riuniti in un solo luogo, un’oscura massa pronta a inghiottirli, troppo grande perché il gallo potesse sperare di darle fuoco, come avrebbe fatto con un esemplare più piccolo.

Mentre i compagni formavano un cerchio per proteggersi le spalle a vicenda, Norton estrasse dalla propria borsa il reliquiario che aveva chiesto di confezionare a Yilmaz: conteneva gli occhi della ragazza seviziata e uccisa dai briganti. Stringendo l’oggetto sacro in un artiglio, il sacerdote iniziò a intonare un canto e, lasciato il cerchio, camminò con passo cadenzato verso la marea d’ombra, mentre la luce del suo amato Onnipotente Lume lo avvolgeva come il più caldo degli abbracci. Non aveva paura.

QUARTA

Il sole ha smesso di sorgere e ombre perenni celano orrori in agguato. Eppure la fattoria degli Ashmoore non è sguarnita: animali dalle capacità uniche trattengono l’assedio delle tenebre fuori dal recinto.

La capra Jillian evoca creature extradimensionali tracciando circoli sul terreno col suo sangue, a rischio della propria salute mentale.

Il gallo Norton scaccia le tenebre e brucia i propri nemici con le benedizioni del Sole, senza lasciare che la sua fede vacilli sotto l’assalto della notte.

Il maiale Pigfried combatte con la propria corazza armata, addestrato per anni e irriducibile nella volontà di battersi per difendere ciò che gli è caro.

Riusciranno questi insoliti guardiani a evitare che l’oscurità oltrepassi i confini della fattoria o la notte li inghiottirà e trionferà sulla luce del giorno?

L’autore

Nato a Palermo il 25 marzo 1984, Dario Di Gesù è cresciuto tra viaggi, letture, giochi e l’interesse verso qualsiasi altro modo per raccontare una “storia”. Laureato in biotecnologie a Pavia, approda infine tra i monti nei pressi di Lucca.

Affascinato dal mondo umanistico quanto da quello scientifico, nonché lettore onnivoro, Dario nutre da sempre una passione per ogni declinazione del fantastico e per la scrittura, che esercita sin da giovane.

Nel 2021 scrive il proprio primo romanzo, TENEBRE SULLA FATTORIA, che vince il Premio Giancarlo Mancini per la Menzione Speciale della Commissione alla seconda edizione del concorso Giovanni Pace del 2022. DZ Edizioni.

Le cose cui tiene di più sono la moglie e gli altri affetti. Adora qualsiasi tipo di animale, ma se si dice che i suini siano i suoi preferiti…

Pronti a un nuovo viaggio? Les Fleurs du Mal vi porta a scoprire i segreti della grapich novel “Il silenzio dei vivi” di NPE edizioni, con un esclusiva intervista con il famigerato Diego di Dio e il bravissimo illustratore Francesco de Benedittis.

Introduzione. A cura di Alessandra Micheli

Conosciamo Diego di Dio per la sua attività non solo di scrittore, ma anche di editor e educatore letterario.

Uso il termine educatore non a proposito, proprio perché dai suoi interventi, ogni scrittore non soltanto crea ma cresce anche personalmente di pari passo con la parola scritta.

La parola viene studiata, compresa conosciuta e quindi sedotta affinché possa interagire con la mente feconda del giocoliere/autore per creare quell’incantesimo che ci porta altrove.

La scrittura nelle mani di Diego diventa un po’ una passa-porta di potteriana memoria.

Ecco che chi concepisce l’arte della parola in siffatto modo, la considera non certo confinabile in limiti rigidi e ben definiti.

Anzi.

Sa che è cosi malleabile da potersi adattare, egregiamente, per ogni arte, divenendo immortale e al tempo stesso duttile.

Non dovrebbe stupire, quindi, ritrovare Diego in quest’evoluzione del fumetto, quella grapich novel che impone cosi tanto, oggi, la sua presenza, quasi ingombrante e che però ci è cosi aliena e ostica.

Laddove noi vogliamo la libertà di immaginare, grazie all’abilità dell’autore/giocoliere, la grapich ci impone una matita capace di tratteggiare personaggi, situazioni e sogni.

Ecco che questo ci affascina e ci rende diffidenti, proprio perché siam pieni di pregiudizi verso la definizione, quella che tanto ha influenzato il nostro sentire moderno.

Eppure la grapich novel non confina.

La linea di ogni disegno non è mai definita.

E’ fatta della stessa pasta dei nostri sogni e perciò totalmente adatta a entrare con passo trionfante nel nostro personale Eden, quello letterario.

Per questo vogliamo proporvi una tappa diversa, in cui non sarò io a raccontare o a approfondire quest’innovazione tradizionale. Saranno i due autori il nostro Diego e il brillante artista Francesco, a accoglierci in questa parte del regno dell’Altrove che non aspetta altro che il nostro arrivo.

Buon viaggio!

***

Benvenuti tra noi!

A. Per iniziare la domanda delle domande….Dal fumetto alla grapich novel, quali sono le differenze e le assonanze per uno scrittore e un illustratore?

F: Per un illustratore credo ci siano poche differenze. I protagonisti cartacei devono sempre recitare meglio di De Niro, le mani disegnate non si possono sbagliare, la teoria delle ombre è un obbligo e gli inchiostri pulsare di vita propria.

D: La graphic novel (o“il” graphic novel, che dir si voglia) è sempre un fumetto, non c’è alcuna differenza. Secondo alcuni dovrebbe essere un “romanzo a fumetti” (ossia una storia più densa, complessa, tradotta sottoforma di fumetto), ma questo potrebbe valere per buona parte dei fumetti esistenti. Io, come autore, ho un lavoro sia più complesso sia più facile rispetto al disegnatore: è vero che devo congegnare tutta la storia, le scene, la trama, ma è pur vero che, materialmente, impiego meno tempo del disegnatore (che può perdere anche un’intera giornata su una tavola; io no).

A.Cosa serve per scrivere una buona grapich novel

F: Credo sia fondamentale tanta autoironia e aver letto almeno l’opera omnia di Gipi.

D: Quello che serve per qualunque prodotto narrativo: una buona storia, ma anche un disegnatore che si sposi bene con le idee dell’autore.

Sarebbe assurdo, per esempio, mettere insieme un autore realistico con un disegnatore onirico e surreale. Non sarebbe un buon “matrimonio” artistico, secondo me.

A.Perché la scelta di collaborare assieme per questo progetto

F: Colpo di fulmine. Ci han chiesto di lavorare insieme ed è stato come un trekking sul Vesuvio. Spettacolare e con la consapevolezza che qualcosa ti ribolle sotto i piedi.

D: In realtà non è stata una scelta nostra in senso stretto; quando l’editore (NPE) ha accettato il mio progetto, abbiamo spulciato tra i lavori di alcuni disegnatori. E quelli di Francesco ci sono sembrati ottimi per la storia che avevo progettato. Gli abbiamo proposto la cosa e ha accettato. Quindi diciamo che un po’ sono state le esigenze, un po’ la volontà di lavorare assieme.

A. Quali sono le difficoltà che avete riscontrato in questo progetto?

F: Troppe poche cene insieme a parlare di omicidi cartacei davanti a un buon lambrusco.

D: Per me una sola, come sempre: il tempo. Lavoro molto, poi ho famiglia, una bimba piccola e una casa da mandare avanti. Il tempo che ho per la scrittura, ahimè, è pochissimo. Avessi più tempo, mi divertirei di più.

A. Esiste un wordbuilding della grapich e come si gestisce?

F: In questo caso è una città intera. E che città: Napoli! Costruita in secoli di meraviglia e stupore.

D: Più che altro esiste uno studio preliminare. Prima di lavorare alle singole tavole, autore e disegnatore studiano (concettualmente, ma anche graficamente) i personaggi, gli ambienti, le cose.

A. Diego cosa ti ha spinto a scrivere la sceneggiatura?

D: I personaggi, come sempre. Avevo in mente questo trittico tutto particolare: il commissario Ettore (un pazzo totale) accompagnato da due personaggi curiosi, assurdi: Bambino Pazzo e Signor Nascosto. Un bambino che fuma la pipa e impreca, accompagnato da un signore elegantissimo che vive dentro un armadio. La storia, poi, è venuta da sola (ma ovviamente ho lavorato parecchio al soggetto, affinché tutto filasse).

A. Come hai eseguito la realizzazione pratica dell’idea di Diego e com’è lavorare con lui?

F: Ho cercato di far vibrare le atmosfere noir partenopee che mi passavano in testa leggendo la sceneggiatura. Ho cercato di intessere inchiostri esuberanti ma sufficientemente drammatici in modo da riprodurre le suggestioni fornitemi. Per fortuna Diego ci si è trovato a suo agio e il lavoro s’è srotolato piacevolmente.

A. A che pubblico si rivolge il progetto?

F: A un pubblico a cui piacciono incubi e famiglie complicate.

D: Agli amanti del fumetto in generale, sì, ma anche e soprattutto agli amanti del thriller, del noir esasperato, delle atmosfere cupe e piovose, agli amanti del gotico e del mistero.

A. Quale messaggio vorreste che fosse assorbito dal lettore?

F: Mah, di avere buoni amici… se si può… reali…

D: Io non mando messaggi al lettore, non inserisco morali dentro le storie. Vorrei una sola cosa: che il lettore, leggendo, provasse la stessa emozione che ho provato io scrivendo. Una sola cosa mi interessa in quanto autore: emozionare.

A. Un lettore di una grapich secondo voi è più esigente di un lettore di prosa?

F: Sicuramente il lettore di graphic và compiaciuto sia sul lato letterario che su quello visivo. Una bella storia con brutti disegni o dei bei disegni con una storia banale spesso non funzionano. Se codesto lettore non è più esigente va comunque convinto su più livelli di complessità.

D: No. Dipende dal lettore. Un lettore occasionale di fumetti sarà come un lettore occasionale di romanzi (magari poco esigente, magari poco esperto del settore, perché di fatto legge meno), mentre un lettore esperto di fumetti potrà essere esigente quanto un lettore esperto di prosa.

A. Cos’è il silenzio per voi?

F: Spesso lo associo al pensiero profondo.

D: Ti rispondo con una citazione (credo) famosa: «Meglio un silenzio sensato che parole senza senso.»

A. Quali sono i riferimenti artistici di entrambi?

F: Mah, tutto forma la massa culturale che diventa riferimento artistico. Dai cereali della colazione alle mani di Egon Schiele, dalle architetture modulari dei LOT-EK al mercato del contadino di Piazza Fontanesi. Però Sergio Toppi di più.

D: Nel mio caso, mi hanno ispirato artisti e fumetti che ammiro, e con i quali sono cresciuto (sia come uomo sia come sceneggiatore): Dylan Dog, Frank Miller, Alan Moore, Il Corvo, Grant Morrison, Sin City.

A. Perché dovremmo tutti leggere il silenzio dei vivi

F: Son 20-25 minuti lontani da uno schermo.

D: Per emozionarci, leggendo una storia che affonda le radici nel senso di colpa. E nella redenzione.

***

E ora tocca a te, mio lettore, immergerti in incubi, atomosfere noir e quella bellezza viva, decadente e romantica della splendida città di Napoli.

L’ho sempre detto.

Altro che New York o Quebec.

La nostra italia è lo sfondo ideale per le storie da brivido!

“Il mostro di Trieste” di Gianluca Rampini, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

I bambini hanno paura del buio.

Nell’oscurità, quando gli occhi iniziano ad abituarsi alle tenebre, la luce che riesce a infiltrarsi da sotto le fessure di una porta, dalle crepe di una parete o dalla luce della strada riflessa dalla piccola finestra iniziano a muoversi le ombre, quelle che prendono nella nostra mente delle forme insolite, grottesche; ci appaiono come creature mostruose, distorsioni della nostra mente, delle nostre più intime paure.

E gli adulti?

Crescendo si smette di avere paura del buio?

No, non sempre, solo che diventando grandi si inizia a osservare l’oscurità con la razionalità a volte, con una lucidità fatta di maturità e di esperienza, sappiamo che nel buio può nascondersi un pericolo ma il buio può anche proteggerci dal male, ci permette di nasconderci, di non farci trovare, vedere, scoprire.

Ma cosa rappresenta in effetti la paura del buio?

Indubbiamente il rapporto con il nostro buio interiore, le ombre diventano il lato oscuro della nostra personalità, si proietta il timore dell’oscurità la quale nasconde pericoli reali o forse immaginari ma nel profondo della nostra essenza interiore, si ha timore di incontrare se stessi, di dover fare i conti con una parte inquietante di noi stessi scatenando una lotta interiore.

Il mostro di Trieste è una storia forte, intensa, un viaggio emotivo, morale profondo che ci trascina nel buio abissale, quello del male, quello dell’orrore inimmaginabile mostrandoci una realtà oscura, malvagia, crudele, ci mostra i mostri, quelli che non son nascosti nell’oscurità delle nostre stanze o dei nostri bambini, quelli che si muovono alla luce del giorno, che ci guardano, che ci passano accanto, che ci seguono, che ci spiano, che pianificano il male, organizzandosi anche in gruppi criminali.

In questa prosa predomina in assoluto la suspense, una storia che è ricca di azione, di mistero, di colpi di scena con una serie di sequenze ad altissima tensione soprattutto emotiva.

Eh sì cari lettori questo autore ha toccato tasti molto delicati che mi hanno turbata, scossa, e che hanno messo in discussione perfino la mia integrità morale.

Un romanzo che scuote e che scuote con violenza il suo lettore.

Già dalle prime pagine riesce a catturare il lettore e a intrappolarlo, alimentandolo con la sofferenza, con il dolore, quello di un ragazzino che ha il terrore di suo padre, del suo capanno misterioso dove sono sempre entrati i suoi fratelli fino al giorno in cui arriva anche il suo turno. C’è ansia, angoscia, anticipazione, percezione del male, della sofferenza, dell’abuso, quello psicologico, quello fisico, quello che scuote l’innocenza, la strazia, la violenta e la distrugge e ti ci porta rapidamente senza darti nemmeno il tempo di prendere fiato perché il fiato lo tratterrete dall’inizio alla fine.

Non sono riuscita ad abbandonare la lettura nemmeno per un attimo, era una specie di droga dovevo sapere, dovevo scoprire, dovevo comprendere perché il male abbia questo impatto violento sulla serenità delle persone; per quale oscuro motivo esista la malvagità.

L’ambientazione del romanzo è Trieste, una città bellissima dall’atmosfera unica, un mix di cultura latina, slava, tedesca, immersa tra caffè letterari storici, monumenti, la bellezza del lungomare, che viene annunciato dalle rive, i canali che portano il mare fino all’interno della città stessa, il molo Audace con la sua gettata di cemento costruita sul relitto di una nave affondata nel 1740 e che si protende dal golfo dando l’illusione che la città si getti proprio nel mare stesso.

Una Trieste asburgica, che avvolge i suoi abitanti in un’atmosfera antica, Piazza Unità con i suoi bar, gli edifici bianchi come quello del comune; una Trieste tra queste pagine che ci viene mostrata quasi come contrasto, come il palcoscenico del bene e del male in lotta tra loro.

La percorriamo durante le indagini del poliziotto Zeno Pentecoste, della sua squadra di poliziotti mentre la bora scuote con violenza gli alberi, ma anche gli animi dei protagonisti che si troveranno a vivere un incubo, quello del presente in cui uno spietato serial killer sta commettendo degli omicidi terribili; dove i corpi vengono mutilati, smembrati e letteralmente incollati agli alberi con i rami che trafiggono le viscere rendendoli immagini grottesche come sculture dell’oscurità.

Zeno è un padre di famiglia che si trova a dover equilibrare con fatica il suo rapporto ormai sgretolato con una moglie malata che si trova in un istituto capace di prendersi cura della sua condizione psichiatrica, e una figlia adolescente che si ribella, che ha voglia di fare le sue esperienze in un mondo che Zeno sa essere pericoloso. 

Là dove l’innocenza di una bambina la rende bersaglio di quei predatori, quei mostri che si muovono nelle strade spossate non dal vento impietoso della bora triestina ma da quello del male che li spinge verso atti immorali, crudeli, maledetti e disgustosi.

Sappiate che qui si parla di pedofilia, di criminalità, che non solo spaccia immagini pedo pornografiche ma che ha anche una organizzazione che rapisce bambine, le tortura, le abusa, le mette all’asta come se fossero delle bambole di pezza con cui giocare.

Come si fa ad essere dei genitori protettivi senza far sentire il peso delle nostre preoccupazioni ai nostri figli?

Come si fa ad avere fiducia in un mondo dove il male si cova sotto le trame sottili della quotidianità?

Come si fa ad avere fiducia nelle capacità di giudizio di una bambina di soli 13 anni?

Non si può. 

Non quando si conosce il mondo; non quando costantemente stiamo combattendo contro i mostri del nostro passato scossi da quelli che vivono nel nostro presente.

L’equilibrio, la stabilità, tutto vacilla sotto i piedi del poliziotto Zeno, soprattutto la domanda: il fine giustifica davvero i mezzi?

Quale è il limite tra legge, giustizia, vendetta e integrità morale?

Difficile se non impossibile non entrare in totale sintonia con i personaggi di questo romanzo da Zeno il poliziotto, ai suoi colleghi De Sanctis, Silvestrin e Sonja ma anche con il serial killer che sta distribuendo terrore e orrore al servizio forse chissà, della giustizia?

Qual è la malagiustizia? In quale momento la vendetta diventa lecita, giustificata e legale?

Sono stata in lotta con me stessa per tutto il corso della lettura, ho messo in discussione i miei valori morali, il mio concetto di giustizia.

Sono arrivata al punto di fare il tifo per il male.

Perché; come si combatte il male se non con altro male? Con l’odio, con la rabbia, con il rancore?

Bisogna perdonare, bisogna lasciare che la legge faccia giustizia o forse attendere che la giustizia divina si faccia avanti e chissà quale forma la giustizia divina possa avere se emergesse dal buio dell’oscurità dell’inferno per fare luce sulla realtà che ci circonda.

Assolutamente una lettura di forte impatto emotivo, le scene d’azione sono così ben descritte nei dettagli che rendono il tutto così avvincente.

Nella scena in cui Zeno si trova al poligono di tiro sono riuscita a sentire la puzza dello zolfo dei proiettili, il rumore dei bersagli di cartone che giravano e si spostavano, ho sentito gli spari, l’affanno di Zeno, percependo perfino i suoi pensieri e la sua determinazione nell’affrontare le sue paure, anche quelle covate nelle oscurità della sua anima.

Le verità che scoprirete leggendo saranno di grande impatto e vi coglieranno completamente di sorpresa, sono rimasta spesso a bocca spalancata dallo stupore per eventi e situazioni che non immaginavo potessero presentarsi davanti ai miei occhi.

Proverete insieme a Zeno quella deformazione della percezione della giustizia e il disorientamento della bussola morale, che ad ogni capitolo, ad ogni pagina si muoverà come impazzita in cerca della giusta direzione.

La giustizia, quella della verità, quella che spesso non abbiamo nemmeno il coraggio di ammettere a noi stessi. Un thriller sensazionale che mi ha fatto avere perfino paura dei miei stessi pensieri costringendomi ad affrontarli con coraggio.

Paura del buio Fear Of The Dark Iron Maiden

Sono un uomo che cammina da solo
E quando sto percorrendo una strada buia
Nella notte o passeggio nel parco

Quando la luce inizia a cambiare
A volte mi sento un po’ strano
Una leggera angoscia quando fa buio

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me
Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Hai mai fatto scorrere le tue dita lungo il muro
E hai sentito un brivido sulla schiena
Mentre stai cercando la luce?
A volte quando hai paura di guardare
all’angolo della tua stanza
Hai percepito che qualcosa ti sta osservando

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me

Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Sei mai stato solo di notte
Pensando di sentire dei passi dietro di te
E girandoti non c’era nessuno?
E mentre cammini più in fretta
Non riesci a guardare di nuovo
Perché sei sicuro che ci sia qualcuno là

Guardando film dell’orrore la scorsa notte
Discutendo di streghe e leggende popolari
L’ignoto ti turba la mente
Forse la mente ti gioca degli scherzi
Percepisci e improvvisamente fissi gli occhi
sulle ombre che danzano da dietro

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me
Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Quando sto camminando su una strada buia
Sono un uomo che cammina da solo

Complimenti a uno scrittore che sa giocare con le sue trame avvincenti ma anche con i sentimenti e le emozioni dell’essere umano mostrandoci con schiettezza quanta disumanità ancora ad oggi ci circonda e ci minaccia.

Ricordatevi sempre che colpevole è anche colui che tace.