Il genio raccomandato, Fernando Camilleri, Saga Edizioni. A cura di Barbara Anderson

Ricordate la storia del genio della lampada di Aladino?

Vi siete mai chiesti da dove provengono i geni?

Non negatelo che anche a voi piacerebbe sfregare una lampada magica e esprimere un desiderio. Ci avete mai pensato a quale desiderio chiedereste se aveste a disposizione un solo desiderio?

Io ci ho pensato, tanto, a lungo, da sempre, e la risposta è che forse non chiederei nulla per me.

Sono pazza?

Sto mentendo?

No no… davvero! E forse dopo aver letto questo romanzo riflettendoci un po’ capirete che bisogna fare attenzione a ciò che si desidera perché c’è il rischio che il desiderio si avveri, ma che le cose non vadano come vorremmo che andassero; perché desiderare qualcosa altera un po’ il senso della richiesta: bisogna formulare le richieste in maniera attenta ma soprattutto comprendere che al genio è permessa la libera interpretazione del significato di ciò che state chiedendo.

E se il genio fosse un po’ tonto, un po’ distratto e un po’ combina guai, ciò che si realizzerebbe sarebbe proprio ciò di cui non avete davvero bisogno.

Il genio raccomandato scritto dalla brillante fantasia di Fernando Camilleri è un romanzo per ragazzi che però fa bene e anche tanto agli adulti. Una lettura che ho condiviso con mia figlia più piccola di 10 anni che con me si è divertita tanto e che nel finale per poco soffoca dal troppo ridere.

Nuco è un apprendista Genio e si trova nel palazzo dei geni e vi dico che appena letta questa cosa ero già stata conquistata dalla storia.

Nuco non è perfetto, è il disastro fatto genio e se mettete la combinazione magia, incompetenza e disattenzione sapete cosa può accadere?

Di tutto, ma proprio di tutto.

I geni sono dotati di poteri che devono imparare a controllare e a gestire. Nuco non sa controllare nemmeno i suoi pensieri, non riesce a concentrarsi sulle cose e seppur dotato di buona volontà non è portato per la sua missione. I disastri nella sala di simulazione si accumulano. Il corso rapido per diventare geni consiste in 100 anni di studio che Nuco ripete da 500 anni.

Nuco è il figlio di Zono uno dei saggi e anche genio cornuto cioè a capo di tutti i geni ma Nico non sa tante cose e non sa nemmeno quanto sia importante suo padre. Nessuno è perfetto e più Nuco sbaglia, più la sua autostima scende, più il suo desiderio di diventar orgoglio di suo padre aumenta.

In una prosa frizzante, giocosa, briosa verrete trasportati in questa straordinaria avventura insieme a Nuco e ai 40 “fortunatissimi” residenti di un lontano villaggio i quali avranno l’opportunità di esprimere un desiderio ciascuno che il genio del deserto esaudirà.

Eh sì, indovinate chi è il genio del deserto?

Indovinate un po’ come sarà riuscito Nuco a superare gli esami e a raggiungere finalmente il mondo degli umani?

Eh sì, diciamolo, Nuco è un genio Raccomandato, raccomandatissimo!

Anche chi richiede i suoi servigi avrà bisogno di una raccomandazione divina perché ne esca incolume dalla magia del genio imbranato.

Siamo nel 2722 la terra distrutta dai disastri ambientali e dalle guerre, il deserto ha ormai inghiottito 3/4 delle terre emerse. Nuco viene inviato alla sua prima missione da genio ufficiale, in questo villaggio dovrà realizzare un desiderio per ogni abitante, 40 in tutto.

40 catastrofi. 40 disastri ma anche 40 opportunità di successo e anche di presa di consapevolezza da parte di chi desidera ottenere qualcosa che potrebbe forse ottenerla senza l’aiuto della magia ma con la volontà e con la propria iniziativa.

Un romanzo che diverte ma che insegna moltissimo, dal rispetto per il pianeta a quello per noi stessi e per gli altri, al valore della verità ma anche alla necessità a volte delle bugie, quelle a fin di bene.

Mukande è un villaggio fatto di sabbia e vento, ma ci sono anche oasi e ci sono i suoi abitanti, ognuno con un sogno nel cassetto segreto dello scrigno del cuore.

Uno a uno Nuco incontrerà gli abitanti del villaggio: Sebio il coltivatore, Dossio, Gubina, Buleo, Clasio,Storgio e molti altri.

Ma di fatto la ricchezza ci dà la felicità? Il tempo si può fermare?

Le donne possono cadere ai piedi di un uomo? 

Si può tornare giovani e belli? Si può lasciare un’impronta indelebile nel mondo?

Si può vivere senza lavorare e si può trovare lavoro senza cercarlo?

Fate attenzione sempre a cosa desiderate perché Nuco potrebbe essere nei paraggi e realizzare il vostro sogno più grande. 

Nuco in questa sua avventura ci insegna che nessuno è perfetto, che bisogna apprezzare ciò che si ha e soprattutto che si può sempre ricominciare da capo.

Fernando Camilleri ha una mente giovane e brillante, capace di farci sorridere e riflettere; capace di sorprenderci e incantarci con la sua prosa genuina, con la sua ironia travolgente.

Leggendolo ci si sente sereni, ci fa stare bene, ci fa sognare e ci fa credere che in fondo tutto è possibile, anche l’impossibile e che a volte le cose che vorremmo cambiare sono già perfette così come sono.

Cosa possiamo fare quando cadiamo a terra?

Rialzarci, riprendere a camminare un passo dopo l’altro magari anche zoppicando fino poi finalmente riuscire a riprendere la strada al giusto passo e anche ricominciare a correre verso il futuro; quello che ci aspetta per sorprenderci e per darci sempre un’altra nuova possibilità.

Una lettura davvero graziosa.

Nel finale giuro ho pensato che non si poteva trovare finale migliore per un genio straordinario come Nuco al quale poi alla fine è inevitabile volere un sacco di bene.

Sappiate che potreste incontrarlo presto, perché di alcune cose prima o poi nella vita ne necessitiamo tutti. Ripensate a questa mia ultima frase quando avrete letto l’ultima pagina del libro e sorriderete insieme a me.

Una lettura che fa davvero bene a tutti, consigliatissima ai piccoli ma anche a quelli che piccoli non sono più da tanto tempo.

I desideri degli abitanti del villaggio sono un po’ i desideri che tutti in fondo abbiamo nel cuore e Fernando ha saputo esplorare nell’intimo dei desideri umani mostrandoci le conseguenze di ciò che pensiamo possa rendere la nostra vita migliore; quando in realtà il cambiamento necessario viene da dentro ognuno di noi e la magia non è di fatto necessaria, soprattutto quella di un genio pasticcione come Nuco.

Io vorrei che Nuco fosse felice e forse nel suo modo lo è. Felice di essere l’essenza della sua parola magica: bonollosò.

Seguitelo anche voi in questo viaggio spettacolare ed esilarante in un deserto arido dove forse presto riusciranno di nuovo a sbocciare perfino i fiori.

Complimenti all’autore e alla casa editrice nella selezione di un romanzo per gli adulti e per i ragazzi, perché la lettura è un bene che appartiene a tutti.

E dopo il blog tour..ecco la nostra recensione. “Tenebre sulla fattoria”, Dario di Gesù, Dark Zone edizioni. A cura di Barbara Anderson

Chi come me è un lettore “onnivoro” tende ad accudire i libri che legge come se fossero nutrimento, come se fossero un raccolto dove, oltre ad apprezzare il prodotto finale, si pone attenzione anche alla coltivazione, al trattamento delle pagine, prima ancora che queste vengano scritte. E l’inchiostro diventa il seme; quello che darà poi origine al frutto finale.

Dovremmo vedere le librerie come un’enorme fattoria, dove ci sono una varietà di prodotti nati dalle cure amorevoli dei contadini che vestono gli abiti di abili autori di novelle, o degli allevatori di bestiame se preferite. La fattoria come la libreria accoglie una vastità di creature tra cui animali, che vivono in stretto connubio con gli uomini.

Per chi si appassiona nelle letture fantasy, quelle epiche, quelle che ti portano in un mondo fantastico, a volte meravigliosamente bello, altre oscuro e tenebroso, dove si deve ritrovare la luce, ecco che questo romanzo molto particolare, che potrà apparire a tratti horror per le sue ambientazioni tenebrose, per il trasalire che si prova nell’affrontare creature spaventose; che appaiono nell’oscurità, ha anche dei tratti fantasy molto marcati che abbracciano il weird, dando origine a qualcosa di narrativamente perfetto per chi cerca un’avventura non solo colma di situazioni inquietanti, interessanti e affascinanti ma anche mistiche e profonde, piene di spiritualità, di simbolismi.

I protagonisti principali sono animali di una fattoria: Pigfried il maiale, Jillian la sua amica capra, Norton il gallo, ma non sorridete alla peculiarità di questa storia perché le avventure che queste creature dovranno affrontare saranno epiche quanto quelle di qualsiasi uomo ed eroe conosciuto nella storia umana e nella mitologia più antica.

E forse anche molto più profonde sotto ogni aspetto umano possibile e immaginabile.

Pensate che subito dall’inizio verrete catapultati in qualcosa che sembra un altrove, un mondo parallelo fatto di culti, di magia e di spiritualità ma anche di potere, di coraggio e di determinazione;  scossa dalla disperazione totale.

Dalle prime righe sarete accarezzati dalle piume nere di un grande corvo,  intrise di sangue come se questo fosse inchiostro. Percepirete un forte pathos da subito e sarete catapultati all’improvviso in qualcosa di oscuro e profondo. 

Avete mai provato la sensazione di disperazione, di alzare gli occhi al cielo in cerca di aiuto, ma un cielo che non ha udito, che non può sentire la vostra costernazione, nel rispondere alla vostra richiesta di aiuto?

Il corvo ci mostra con i suoi occhi la devastazione attraverso una scrittura bella, ricca, che conquista e che appassiona portandoci là dove si respira decomposizione, epidemia, il gelo della morte, le fosse comuni, la carestia, la malattia, la peste che è scesa insieme alla notte perenne su quel luogo che sembra abbandonato da qualsiasi dio; ma dove la forza della speranza e la fede nelle forze magiche e divine resta intatta, qualcosa a cui questi animali tendono ad aggrapparsi con un unico obiettivo, proteggere la loro fattoria, proteggersi gli uni con gli altri, proteggere la loro umana rimasta vedova: moglie di un uomo buono che questi animali adoravano e amavano.

Il corvo che il lettore incontra all’inizio della storia appare come un messaggero, come un angelo oscuro dalle ali color ossidiana, interessato all’abbondanza del cibo che gli si offre in conseguenza alla malattia che divora le carni umane e animali.

Egli sembra avere un ruolo molto più rilevante che quello di semplice narratore e osservatore che plana sulla morte e sulla disperazione del mondo terreno. Il corvo sembra sospeso tra terra e cielo immune dal morbo che affligge qualsiasi creatura che non nasca da un uovo.

È la notte della peste, l’oscurità è scesa su quel luogo, chissà forse su tutto il mondo ma per chi vive nella fattoria di Lord Ashmoore tutto il mondo è rinchiuso all’interno di quel recinto e vedrete creature umane dalle carcasse vuote mosse dalla frenesia dei ratti che ne divorano le carni e gli organi interni, creature dai mille occhi che hanno preso il possesso di corpi ormai ridotti a null’altro che a zombie senza cuore, senza sangue e senza vita. 

Vuoti da ogni linfa vitale, vuoti da ogni passione, ogni memoria, d’ogni futuro.

La notte appare anch’essa malata, la luna ha una luce diversa, più sicura, e le stelle sembrano mille occhi di spiriti delle tenebre che osservano il decadimento totale degli uomini e degli animali ormai putrefatti dalla disperazione.

La prosa è evocativa e terribilmente affascinante, l’obiettivo dei 3 amici Pigfried, Jillian e Norton è quello di proteggere la vedova Ashmoore e difendere la fattoria. 

Il loro umano Lord Ashmoore fu un uomo colmo di amore e di attenzione per la fattoria e i suoi animali, il quale scelse di abbandonare il titolo di Conte cedendolo a suo figlio per accudire la fattoria e dedicarsi agli animali: ma non nel modo che immaginate sia consono per un contadino. Egli decise di addestrare i suoi animali, addestrarli a combattere, facendo in modo di incrementare la loro intelligenza, la capacità combattimento, progettando anche delle strutture meccaniche in grado di permettere ai suoi animali di indossare delle armature, afferrare delle armi di attacco e di difesa ma anche un addestramento a come usarle nei combattimenti.

Ed ecco che queste creature diventano come dei super eroi dai super poteri, ma quello che più vi sorprenderà non saranno le loro armature, le loro arti di combattimento, ma la loro passione, i loro sentimenti, la loro stima e rispetto per gli umani che li avevano allevati e accuditi per molto tempo.

Quando le tenebre eterne scendono sui cieli della vita, il sole che abbiamo dentro di noi nessuno potrà spegnerlo ed ecco che possiamo vedere la fede e la forza del gallo Norton, la saggezza e la potenza esoterica della capra Jillian che ricorda molto il dio Pan, la lealtà e la fedeltà del maiale Pigfried.

E se porrete attenzione agli eventi e ai suoi protagonisti vedrete che al di là dell’apparenza si cela un enorme messaggio colmo di simbolismi e misticità che danno al lettore molti spunti di riflessione e di meditazione sulla vita e su cosa divide la disperazione dalla determinazione.

Non voglio rivelarvi dettagli che amerete scoprire da soli sui protagonisti di questa epica, oscura avventura ma permettetemi di dirvi cosa per me hanno rappresentato queste creature straordinariamente forti, fragili, vulnerabili e allo stesso tempo invincibili.

Dove le loro gesta erano spinte dall’amore; dove la ricerca della luce non ha mai vanificato le speranze anche nei momenti peggiori, il peso delle responsabilità, il sostegno di chi si vuole bene.

Come si può proteggere chi si ama?

Ma di cosa si tratta di stregoneria? Di negromanzia? Di vera magia o di possessione demoniaca?

Gli animali rappresentano il mondo dell’istinto, quello che rappresenta il nostro lato più puro e genuino, incontaminato come qualcosa di ancestrale, la fattoria, il legame tra la terra e la natura che ci circonda. Il desiderio di ritornare alle radici della vita, alle origini, quando l’esistenza era semplice e in armonia con l’ambiente che ci circondava.

La fattoria simbolo di maturazione, di sacrificio e della capacità con l’impegno e il lavoro di produrre sostentamento.

La capra Jillian così forte e così follemente innamorata del suo padrone: intelligente, introspettiva che a tratti ricorda la rappresentanza del volto del diavolo, il maiale che ho percepito come l’intermediario assoluto tra l’uomo e le divinità, rappresenta l’abbondanza, la lussuria, l’ingordigia ma anche la prosperità, la forza spirituale e in un certo senso la maternità con il suo forte istinto di protezione e di cura amorevole verso la sua padrona.

Il gallo Norton che nelle vesti di un sacerdote portatore di luce, mostra e rappresenta l’orgoglio e il potere: egli osserva le tenebre in attesa della luce come un traghettatore, un caronte dell’uomo per accompagnarlo fuori dalle tenebre dell’eterna notte. Il gallo che al canto sembra allontanare gli spiriti maligni.

Poi ci sono i ratti come rappresentanti della malattia e della morte, dell’avarizia, della cupidigia ma anche come simbolo ambivalente, essi sembravano spiriti dei morti, l’incarnazione del potere distruttivo di Satana. 

Ma c’è anche il gatto, colui che riesce a vedere nell’oscurità, capace di guardare oltre anche l’oltremondo, custode e protettore della casa, egli evoca il potere sopra ogni illusione.

Il corvo tetro e misterioso, dotato di memoria e capace di elaborare pensieri complessi nella sua natura l’ho percepito come la trasformazione, il passaggio.

Insomma prendetemi per folle ma io ho vissuto la dualità umana attraverso questi animali, quella connessione tra l’esistenza umana e l’ordine divino, la natura transitoria dell’esistenza.

Mi sono sentita piccola, fragile, vulnerabile al cospetto di entità superiori per tutta la lettura. Sono stata altrove, là dove esiste la lunga notte del male, dove l’infestazione del male è abominio assoluto e disperazione totale.

Questi animali sono delle creature speciali che ci guideranno nella scoperta e nella conoscenza di noi stessi, come comprendersi come affrontare ciò che ci attende.

L’unione come sempre fa la forza e queste creature rappresentano un’unica voce e un’unica volontà e a volte per proteggere ciò che si ama bisogna abbandonarlo e gettarsi alla ricerca della verità soprattutto quella interiore.

Permettetemi di dirvi che ho scoperto tra le pagine di questa avventura anche l’albero cosmico, simbolo universale tra uomo e spiritualità, l’albero simbolo di longevità dimora di esseri divini, simbolo di immortalità dove le sue radici mi riportano all’inconscio, il tronco alla parte conscia dell’uomo e la sua folta chioma di foglie, l’individualizzazione dell’anima.

L’albero che in basso volge i suoi rami, che affonda le sue radici nel terreno, che con le foglie rivolte verso il cielo rigogliose appare come centro, l’ombelico e l’uomo diviene come l’asse verticale che al centro dell’universo attraversa il cielo, la terra e il mondo sotterraneo.

Avete presente l’yggdrasil, appartenente alla cosmologia norrena e celtica? L’albero sacro intorno al quale esiste tutto il resto, compresi i nove mondi, associato alla vita e alla morte? 

Se vi ho un po’ inquietato con questa mia recensione spero di avervi anche incuriosito perché questa è davvero una lettura che merita per il suo stile, per il suo messaggio morale, per la forza e la fervida fantasia con cui è stato elaborato e vi mostrerà come l’impossibile diventa possibile e perfino invincibile anche quando tutto intorno sembra scomparire.

Non abbiate timore, entrate nel luogo dove si vive e si muore, nella lunga notte del male, avrete accanto degli eroi straordinari disposti a sacrificarsi per amore della famiglia, per quella che consideriamo la nostra casa.

Ricordate che ogni lettura  è un’esplorazione introspettiva, un mezzo con cui scavare dalla superficie fino al raggiungimento della profondità delle vostre emozioni. Io vi ho raccontato la mia, ora attendo la vostra.

Complimenti all’autore e alla casa editrice che offre sempre prodotti di qualità.

“La donnina dei misteri” di Ronald Arkam. A cura di Alessandra Micheli

E’ difficile spiegare il fascino di Ronald.

Però lo confesso, leggo con estrema attenzione e anche un pizzico di libera gioia i suoi testi.

E per una pletora di motivi diversi che molto hanno a che fare con me e con la mia anima particolare.

Da sempre avvezza a ritagliarsi un posticino segreto, dove far convergere musica, letteratura, sogni, idee e ideali.

E questo mondo è impossibile da fotografare o definire a parole.

E’ animato da esseri che non possono aver posto nel nostro reale.

Di scale senza gravità, di paesaggi dalla prospettiva capovolta.

Da non sense, da filastrocche scoordinate, da bizzarri tentativi di poesie, da esseri strampalati, sghembi in grado di leggere con voce seriosa la gnosi delle fanfole.

Ecco perché AMO Ronald.

Regala al mio cuore proprio ciò di cui ha bisogno ossia un mondo che sfugge da ogni corretta definizione, da ogni scienza, da ogni rigore.

Non troverete voi pruristi show dont’tell.

Ne pov, pav o altre diavolerie.

Troverete solo una fantasia che non sarà forse coerente, ne strutturata.

Che non averà significato se non quello di giocare con il suono e omaggiare la parola con un cipiglio un po’ guascone.

Chi legge la donnina dei misteri sarà un po’ giullare, un po cappellaio matto. Desidererà te fatti di raggi di luna, di scherzosi occhi nascosti tra le foglie.

Di sussurri ridacchianti.

Di illogica mancanza di buonsenso.

Saranno balli tondi e distorte poesie, ci sarà il Giabervocco accanto alla non tartaruga e il vostro sorriso diventerà tanto, troppo simili a quello del gatto del Cheshire.

Saremo un po’ folli e un po malinconici e forse dentro un uovo, dalla particolare forma sferica mai davvero apprezzata, dal guscio liscio puntellato di macchioline, uscirà una donnina.

Aggraziata e un po’ stronza, capace però di incasinare la nostra vita cosi tanto da farci apprezzare però il cielo e le stelle.

E farci desiderare sempre di più un sorso di aria. Ecco cosa siccende in questi racconti.

I nostri bisogni, specie quello di apparenza, il nostro ossessivo ricercare la quotidianità svanirà per sempre.

E noi diventeremo parte di un giro in tondo in cui si corre per asciugarsi i vestiti inzuppati dal mare delle lacrime.

Quindi vi prego, lasciate a casa la razione e il buonsenso.

E prendete in mano questo libro e ritrovare lo stupore delle notti di luna, nel solstizio quando quel senso di magica attesa illuminava quei cuori rigogliosi. Grazie come sempre Ronald.

Trilogia Antigas “Amore antigas” “Giallo Antigas” “orrore antigas” di Gianluca Ingramo e Olga Gnecchi. A cura di Alessandra Micheli

Non sempre la funzione di un libro è caotica.

Intendendo con questo termine quella capace di distruggere e ricostruire, di fare tabula rasa di ogni idea e di sostituirla con qualcosa di nuovo e originale.

Non sempre un libro difende il pensiero, o meglio riesce sempre a farlo ma non perché veicola una morale.

Lo fa anche con l’uso del nonsense e del grottesco, con il rifiuto di asservire a una sorta di gaudente spirito estetico qualcosa che in fondo si compiace di se stesso e si erge a dominatore del mondo, seduto su un piedistallo, conscio della propria superiorità.

Ecco il libro a volte è molto diverso.

Ha una voce soffusa.

E’ soltanto un arlecchino irriverente, conscio che tra lazzi e scherzi qualcosa può lasciare.

E magari lascia semplicemente un lettore spiazzato, sconvolto eppure..sottilmente felice.

Felice perché qualcosa è andato controcorrente.

Perché sulla faccia del triste pierrot è spuntato un ghigno che poco a a che fare con un vero sorriso, ma più con quella serafica espressione da stregatto che tanto amo.

Un libro deve rompere ogni schema deve sedurre ma irridere.

Deve mettere a repentaglio ogni nostra pomposa concezione letteraria e deve farci domandare se è davvero saggia la scelta della convinzione di turno.

Ecco che Igaramo e al nostra Gnecchi con questa trilogia ci sono riusciti.

Sono tre parodie, tre ironiche rappresentazioni di ogni cliché dei maggiori generi letterari.

Erotico, giallo e anche il mio horror.

Ognuno scende dal suo piedistallo, laddove lo hanno collocato i miei amici nerd e impara un po’ a ridere di se stresso.

Quarto non diminuisce tanto l’ardore e la serietà dei contenuti che questi generi propongono.

Piuttosto mettono in discussione le nostre di idee.

Quando giudichiamo intoccabile uno di essi.

Quando litighiamo per stabilire quale sia il maggior portatore di bellezza. Quando diventiamo fans sfegatati, decisi a portare successi alla curva sud. Dimentichiamo che, questi libri, servono solo per darci un emozione.

Per divertirci.

Per renderci forse più umano.

E scrivere qualcosa di assolutamente assurdo come questi tre testi, specie a due mani, significa essere davvero grandi autori.

E’ un costante botta e risposta, un alternarsi di non sense che stonano con l’idea che abbiamo di questo genere letterario.

E che almeno a me hanno reso immensamente felice.

Ecco leggeteli.

E divertitevi cosi come mi sono divertita io.

Alla fine la funzione di un libro resta sempre quella di evadere.

Da se stesso, dalla realtà.

Dalla propria torre di avorio.

Perché se non si hanno capelli abbastanza lunghi come raperonzolo, che sia la fantasia a farci da scala.

“Sogno al chiaro di luna. L’Alfiere Oscuro” di Giuseppe Bellanova. A cura di Alessandra Micheli

Folle è l’uomo che parla alla luna.

Stolto chi non le presta ascolto.

William Shakespeare

E’ in notti magiche, magari quelle di mezz’estate, che il tempo del sogno si presenta incantevole a noi.

E tutta la realtà quella a cui ci aggrappiamo per donare un senso al nostro concreto vivere, si fuma fino a restare una nebbia indefinita che invece di ricoprire la materia, la svela.

Sotto ai raggi lunari, simili alle perfette mani di una dama che accarezza un impossibile unicorno, ad un tratto la coscienza e la consapevolezza costante delle leggi immutabili, lascia il posto a un inconscio brumoso e caliginoso, fatto di strane ombre, di meraviglia e stupore.

Ecco il sogno che da Alice in poi ha reso le nostre limitate esperienze umane, ancor più importanti, ancor più vicine all’Enneade degli Dei.

Chi è cosi fortunato da alzare il velo che separa la dimensioni, si ritrova protagonista di una strana recita, con attori variopinti e…impossibili.

Oh che lieto suono ha questa parola!

Memore di viaggi infantili dentro una tana del bianconiglio, di peregrinare come Dorothy accanto a leoni vigliacchi e omini di latta, sempre pronti a sfuggire al male che inevitabilmente, con quella sua reale brama di potere disturba i lieto procedere del sogno.

E cosi oggi anche noi imbastarditi dal reality show, dalla banalità di una vita privata del suo lato fantastico, possiamo riprovare quelle antiche emozioni che, erroneamente, abbiamo catalogato come bambinesche.
Bambino è colui che ha occhi cosi puri capaci di osservare il popolo del Sidhe.

Bambino è colui che dal male non può essere sfiorato perché geloso protegge la sua anima, integra seppur con cicatrici visibili.

Bambino è colui che leviga il dolore fino a renderlo chiave per aprire la porta del mondo altro.

Bambino, in fondo, è L’alfiere oscuro che si stupisce e si presta, in modo fantasticamente folle, a questo palcoscenico che dello straordinario fa il suo dio.

Per un istante la vita di affanni, problemi, responsabilità sempre verso l’esterno e mai verso se stessi e la propria interiorità più segreta, svanisce.

E con essa svanisce ogni legame soffocante con il ruolo che l’ente societario ci ha cucito addosso.

Non siamo probi, maturi, professionisti, vanagloriosi, intenti a calpestare con ferocia un suolo che, in realtà, è solo illusione.

Siamo fate, angeli splendenti, alfieri oscuri, guerrieri.

Siamo tutto e nulla.

Siamo semplicemente energia in movimento, decisi a combattere contro chi il fantastico vuole piegarlo ai suoi vanagloriosi scopi.

L’alfiere accetta, quindi la magia, perché inconsapevole, perché catapultato di colpo in uno stato di innocenza primigenia.

E’ attraverso il percorso dei mondi che in fondo riscopre altri elementi del proprio se fino a riunirli con la parte oscura, con quella che il male, ogni male vuole stuzzicare.

E cosi la fiaba nata sotto i raggi del chiar di luna, diventa la parabola dell’avventura spirituale di un uomo fortunato, proprio perché accetta con un sorriso di iniziare il cammino verso la sua evoluzione.

E solo quando saprà padroneggiare il fuoco sacro, quando in fondo morirà a se stesso e alla sua parte consenziente, diventerà l’eroe che ogni favola degna di cotanto nome produce: l’integro, il puro, colui che risorge fiero dalle ceneri di una percezione sfumata.

Non serve, quindi amare il fantasy.,

Serve amare in modo profondo la nostra divina essenza che non può e non deve essere solo limitata all’esistenza materiale.

In ognuno di noi un alfiere oscuro giace addormentato in attesa del bacio capace di ridargli energia.

Buona lettura.

“Piranesi” di Susanna Clarke, Fazi editore. A cura di Alessandra Micheli.

Surreale è la realtà che non è stata separata dal suo mistero.

René Magritte

Piranesi è uno di quei libri che dividono.

O lo si ama o lo si odia.

E chi lo ama è perché in fondo riconosce lo stesso bisogno di piranesi di vivere in una sorta di dimensione alternativa, quasi una regione dell’anima.

Laddove esiste qualcosa di vivo e al tempo stesso di tangibile che lo ami e lo protegga.

Non un dio distante, quindi, o lontano eoni, assiso su un trono che ci scruta con severità mettendo a nudo ogni nostra debolezza.

Ma qualcosa in cui muoversi, da scoprire e di cui far parte.

Ecco che il mondo uscito dalla penna della Clarke, seppur non originale, è un archetipo che ci colpisce.

Perché il luogo dove noi possiamo essere e non apparire è l’anima.

E’ un luogo per nulla amorevole.

O meglio ci ama, e ci dona bellezza.

Ma la bellezza dello spirito è molto diversa da quella che, qua in questa fallace dimensione ci hanno insegnato ad amare.

E’ la regione del contrasto, delle maree che invadono ogni stanza e che ci fanno conoscere il pericolo e quel senso di appartenenza provato, forse nel regno materno fatto di placenta.

Ci sono statue a ogni porta, che adornano sale ricche di nuvole e stelle, di uccelli che vivono liberi come dovrebbero fare i nostri pensieri, ingabbiati in tante troppe limitazioni.

E le idee rese granito, impossibili da muovere cosi fisse e immobili a ricordarci un po’ quelle che sono le vere certezze, magari erose dalle emozioni ma fisse e sorridenti.

Immobili capaci di sfidare il tempo.

E le statue non solo solo valori, immagini e persino archetipi, sono un po’ quello che dimostra il nostro genio, un genio che non ha forma e aspetta le nostra laboriose mani per urlare la cielo.

E’ la bellezza che resta e ci fa da rifugio quando la notte si ammanta di neve, quando il vento soffia e ferisce la pelle.

Piranesi deve solo rannicchiarsi tra le mani di un gigante di pietra e nulla può minacciarlo.

E abbiamo persino le ossa, quello che ci serve per poter cantare si ricordi, per imparare a venerare e rispetta la nera signora e magari imparare la canzone della donna scheletro, colei che nutrendosi delle lacrime scese dal cuore, riesce a ricoprire di pelle tutto ciò che resta di noi, dei sogni e delle speranze.

Piranesi viaggia con noi attraverso questo strano mondo, che basta a se stesso e però ha bisogno di chi lo racconti perché non svanisce all’alba come fanno certe illusioni.

Ha bisogno di Piranesi, che Piranesi si perda in lui.

Che compatisca i morti, che accarezzi le ossa del tempo che fu, che ammiri le statue e si dimentichi, per un momento o per sempre il suo nome.

Chi è, chi è stato.

E ricomincio come un bambino in fasce a meravigliarsi.

La casa è compassionevole e generosa solo con chi è capace di meraviglia, di tornare solo una potenzialità inespressa, capace di diventare qualsiasi cosa, foglia, stella, albatros, uovo o solo scheggia di marmo.

E pochi, i figli della casa, color che questi viaggi li compiono sempre comprende e apprezza questo libro.

Noi che in fondo sappiamo ascoltare la voce dietro il rumore del mondo.

Che sanno lasciarsi trascinare della maree, non hanno bisogno di un perfetto mondo fantasy.

La casa, quel labirinto in cui si rifugiano quando fuori il freddo taglia la pelle è l’unico vero mondo altro che esista.

Forse non è come lo immaginate.

Ma vi garantisco chi lo sogna ogni notte lo riconosce, e ci si perde volentieri.

Ma attenti.

La casa può rapirvi.

Per sempre.

Può farvi sentire alieni in questo puntino nel vasto universo.

E’ pericolosa proprio perché ti accoglie.

Ma in fondo, vale la pena farci un giretto.

Voi siete pronti?

Piranesi è un libro per i folli, per chi non vuole le cose dritte, per chi sa che la fantasia è un regno oscuro e al tempo stesso luminoso. Che è totalmente storto o sghembo, e per niente capace di venerare le proporzioni, la logica e la coerenza.

Non è realistico, non nel senso che date voi alla realtà e non può essere assolutamente credibile.

La sua forza è nel suo venerare il dio del weird.

Pertanto, se cercate un fantasy in cui la logica domina e innalza pomposi edifici con ogni regola del world building, lasciate stare.

Se invece volete un brivido che profumi di salsedine e poesia, che sia un totalmente insensato, e assurdamente contraddittorio…la casa vi aspetta.

Solo per chi è cosi pazzo da stare seduto su un tetto a suonare il violino sotto un cielo viola.

Se nessuno sente

Suono per me solo

Suono per le stelle

Vecchioni

“Feroce è la notte” di Mattia Molino, Golem edizioni. A cura di Alessandra Micheli

 

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Il carnevale non è solo una festa.

Ma un vero e proprio moto dell’animo.

Nell’abitudine di mascherarci noi, in realtà, ci stiamo raccontando tramite l’uso degli archetipi.

E cosi questa festa che per molti è solo la baraonda del caos diviene, in realtà, la danza della verità.

Quella impossibile da raccontarsi nelle riunioni di ufficio, quella da tenere nascosta sotto il tappeto durante lo svolgersi delle azioni consuete nelle ore diurne.

Eppure è in quell’apparente disordine che ci cela la vera essenza umana, quella ridicola, cosi patetica da rendere la violenza l’estremo ultimo atto di un guitto caduto in disgrazia.

Feroce è la notte non è altro che il rocambolesco racconto di una notte diversa dalle altre, in cui il confine tra reale e irreale cade e con lui cadono tutti gli alibi, le giustificazioni logiche che diamo, come abilmente spiegò Vilfredo Pareto, a emozioni che derivano dall’irrazionale.

E la città che conosciamo, cosi concreta e cosi reale diviene illusoria e evanescente tanto da far affiorare, come emergesse dai fondali del nostro io, la domanda fatidica: Perugia è stata sempre cosi?

Forse si.

Forse le città che noi conosciamo cosi monotone e stantie, sotto il suolo nascondono un mondo cacofonico, colorato e al tempo stesso agghiacciante.

Un mondo dove il grottesco regna fino a strapparci un sorriso che sa, comunque di amaro, di tristezza.

Sotto la coltre grigia di quell’anonimato rassicurante emergono come vulcaniche macerie le scorie da troppo tempo nascoste, che bruciano tutto quello che si conosce, i sentimenti, la morale, persino l’etica dei valori.

E tra violenza che viene accettata con una enigmatica noncuranza, tra strani sogni che confondono il lettore abituato alle regolari trame, le nostre percezioni, il viaggio confuso dipana una matassa che nessuno di noi aveva il coraggio di sbrogliare, quella che fa dell’uomo descritto nei romanzi in modo spesso troppo edulcorato da tratti che sanno di follia, lodato da troppi attestati di stima, un semplice co-protagonista che recita a soggetto, incurante se la sceneggiatura sia retta o piuttosto occhieggi divertita all’abisso.

Il bene e male lasciano il posto a una sorta di schizofrenia folle, in una danza macabra senza fine.

E cosi, finalmente, un libro racconta di quella parte onirica che non è solo sogni e magia, bellezza e immaginazione, ma anche cupezza, mondo ctonio che spesso si sposa con la demoniaca voglia di evadere dalla solita routine, fino a bracciare con naturalezza e perfidia il limite che divide appunto la vita dalla morte.

In questa strana commedia dell’arte non troviamo personaggi, troviamo caricature, deformate e serafiche della nostra complessa interiorità troppo tempo taciuta.

Troviamo azioni riprovevoli che però, al tempo stesso, stuzzicano il nostro lato dissennato.

In fondo è solo un libro e lasciarsi andare in questi balli sfrenati non è altro che una sana azione redentiva.

Eppure, ci sarà chi ancora sussulterà di fronte a una brutalità eseguita quasi senza rimorso, all’omicidio presentato come una burla, alla voglia di potere raccontata in modo quasi comico.

Quello che il libro lascerà è il fiato corto di una lunga corsa, le fauci secche come dopo una bevuta, una testa intontita come chi troppo indugia nei regni onirici.

E una domanda martellante, incessante e enigmatica: davvero la nostra realtà è anche questa strana violenza che sa di libertà?

Un libro indimenticabile che scorre tra le vene con il leggero aroma dei peggiori seducenti veleni.

Un libro che è come l’assaggio di assenzio che diede luogo alla visioni bizzarre di Rimbaud.

Eppure, indispensabile come il sorso di infinito che si respira in certi posti selvaggi, laddove le leggi umane non possono, non hanno diritto di attecchire.

E’ la meraviglia della contraddizione, del mondo che si rivolta e che diventa specchio del nostro vero io.

“La casa sulle sabbie mobili” di Carlton Mellik III, Vaporteppa editore. A cura di Alessandra Micheli

 

Oggi dirò la mia sul genere bizzarro fiction usando, come strumento, il libro di Carlton Mellick III.

Come molti voi ben sanno e se non lo sapete informatevi, uno dei libri che ho amato di più e che amo tuttora, è Alice in the wonderland di Lewis Carrol.

E in quel libro il weird (bizzarro) domina incontrastato, usando non sense, frasi apparentemente prive di logica e eventi strani, straordinari o incomprensibili per i miseri mortali.

Del resto il weird, come ci fa notare un altra adepta del genere, che lo colora di una nota gotica ( sto parlando di A.G. Howard, in Splintered) è l’aggettivo idoneo a identificare un regno delle meraviglie, che non è altro che la descrizione di una dimensione diversa, dove la non logica, (badate bene non logica e non irrazionalità) domina incontrastata.

E questo magico altro mondo è chiamato regno dei Netherling.

In una comparazione raffinata, potremmo definire questi strani personaggi i nuclei originari dei Faerie, che fanno capolino nelle edulcorate storie di fate che tanto sono amate ancor’oggi dalla nostra infanzia. Ma i Faerie veri, quelli delle storie celtiche, non erano cosi bonaccioni e adorabili, le storie moderne li hanno privati del loro primigenio aspetto inquietante e fuori da ogni schema umano, con una loro (discutibile) morale e con la loro totale mancanza di empatia.

Fate, folletti, coboldi, elfi, avevano il loro modo di pensare, la loro legge e la loro concezione di bene e male, sfumata e per nulla simile a quella convenzionale delle colte società dove la follia era bandita e stigmatizzata come perniciosa.

Se si osserva con attenzione tutti gli abitanti di quel magico regno , si nota quindi la loro identità non rassicurante e non allineata, sono dissidenti, sono devianti dalla ligia e ferrea morale umana.

Sono particolari, sovradimensionali, distruggono in un colpo solo con la presenza o con la loro peculiare eticità, il nostro mondo mentale cosi schematico, cosi ben organizzato in ordine e disordine. I netherling, i faerie e tutti i personaggi weird non sono altro che la parte caotica dell’essere, regno di quell’ombra tanto decantata da Jung.

E ora andiamo ad analizzare, unico modo per comprendere davvero Carlton, il termine che ne designa il genere: strano o weird si caratterizza per la sua volontà di attrarre l’attenzione del lettore sulla stranezza, sull’originalità, sul fantastico e sullo stravagante. Ma anche il capriccioso, il fuori regola, il discrepante, il dissociato e perché no l’emarginato, troppo scomodo per una società che si difende strenuamente dall’evoluzione.

Eppure come si può mutare senza che qualcosa di diverso interrompa il regolare flusso di informazione?

E cos’è l’informazione se non il segno che ci si avvicina a una nota stonata?

Bateson stesso definì l’informazione l’avvenuta consapevolezza di una differenza, che interrompe il classico e certo ciclo di eventi.

Weird, quindi, ha anche il significato di non sense, ossia un gioco la cui interrogazione a doppio senso comporta anche una risposta a bisenso. Anzi oserei dire a più significati (sensi) che si incastrano nella parola grazie a più scomparti.

Ricordate la frase di Humpty Dumpty sulle parole che nascondono un baule a doppio fondo?

E’ come giocare con la matriosca, dove a ogni bambolina ne corrisponde un altra sempre più piccola, fino al nucleo.

E il weird stesso è un termine a più livelli.

Da strano arriviamo a fato, se si interroga la meravigliosa lingua norrena.

Ma diviene anche un termine in inglese antico con il significato di diventare fino connotarsi, nel 1400 circa, con la fatidica etimologia di magico, fino ad arrivare, nel 1815, al concetto di strano e bizzarro.

Strana evoluzione vero?

Ecco che questo termine, cosi sperimentale, identifica perfettamente tutti i livelli di messaggio presenti nel libro La casa sulle sabbie mobili.

Se leggiamo il libro nel significato originale di weird, wyrd lo possiamo leggere come una sorta di indicazione su come “azioni passate influenzino e condizionino continuamente il futuro”.

La perdita di un elemento dominante, organizzatore, mette i protagonisti di fronte alla lenta, atroce consapevolezza che, il mondo in cui l’essere umano ha deciso di sopravvivere, è destinato alla fine.

Inevitabile e disastrosa fine.

Un nuovo pianeta sfruttato per poter ricreare una vita, ma terrificantemente alieno in grado di influenzare l’evoluzione e il DNA creando ibridi senza controllo, comporta la decisione di non prendersi la responsabilità della nuova vita che sta germogliando, anche se strana, se diversa, se fuori dai canoni estetici o morali, tanto da lasciarla a se stessa.

L’azione profondamente arrogante del genitore che decide di sorpassare bypassare le leggi naturali, ma che incapace di potare fino in fondo il progetto lo lascia a metà. E la metà che lascia è costretta a una sopravvivenza cosi violenta, da diventare essa stessa senza umanità.

Ma per scelta di altri, non per una libera decisione.

Perché quegli esseri nati per volontà altrui, si trovano incapaci di operare una vera opzione, rimanendo sempre in balia di altrui preferenze.

E restando ingabbiati nel loro essere oggetti e mai soggetti.

Ma il fato, persino l’eredità ambigua lasciataci dai “genitori”, non è immutabile . Il weird che sottostà alla base del nostro libro ci racconta un altra storia: niente è immobile se si decide di muoversi.

Ed è nel movimento che ha inizio la vita e non la mera esistenza.

E’ con il muoversi verso i piani inferiori sopportando la vista delle proprie origini e dei propri bisogni inconsci (quelli che portano i protagonisti a svanire inglobati dalla psiche madre) che si può ricostruire e ricreare non più una esistenza illusoria ma reale: fatta di scelte di responsabilità e di azioni concrete. E’ il movimento, il voler andare, il viaggio alla scoperta persino del male e di cosa si cela nel buio, dunque la verità, che potrà dare la speranza di un domani diverso, non migliore o peggiore, ma profondamente nostro.

Niente è escluso dalla visione weird né il negativo, ne la distruzione, né la violenza politicamente scorretta.

Ciò significa che, qualsiasi azione personale, serve ed è necessaria affinché possa determinare anche il destino e quindi il futuro di altri esseri.

Non importa come, ma la matassa va sbrogliata

Perché solo rendendoci consapevoli che il destino non è orizzontale né verticale ma è una rete che coinvolge tutti, vinti e vincitori, umani e oltre umani, evoluti e larve, allora potremmo avere la speranza di non far implodere il nostro mondo.

Ma il weird è anche il significato di diventare.

E i protagonisti diventano mano a mano che scendono sempre più nel profondo della loro origine.

Capiscono di che essenza sono fatti, accettano la atroce realtà e prendono in mano la vita. E diventano, nonostante le stranezze che li caratterizzano, persone. Molto più umane degli umani che hanno conquistato devastando e uccidendo gli autoctoni.

Non vi ricorda qualche storia di nostra conoscenza?

Il fondersi tra due diverse essenze chiamatele come vi pare, specie, razze, generi, è il segreto della sopravvivenza.

E forma sempre di più nuove resistenze e nuovi adattamenti.

Questo significa che riuscire a introdurre nel nostro rigido apprendimento elementi sconvolgenti, alieni, del tutto estranei al nostro essere, ma che ci rendono geneticamente e mentalmente più forti. Perché provocano l’apprendimento raro di tipo tre: apprendere ad apprendere.

E cosa significa?

Ve lo dico in termini weird: buttare nel cesso ogni nostra manipolazione mentale, strappare il velo dagli occhi e imparare a osservare il mondo cosi com’è e non come ce lo mostrano, operando su esso e solo su esso, per renderlo accettabile, comodo o solo vivibile.

Capite?

In ogni dannoso contesto ambientale o psichico, noi possiamo lavorare perché esso diventi da deserto a foresta rigogliosa, da baracca cadente a lussuosa villa con piscina.

E ora scopriamo l’altro significato di weird: magico.

La protagonista femminile Polly è una meravigliosa dea mitologia. Essa è in stretta correlazione con il dio selvaggio, con la natura istintuale e senza controllo degli antichi dei, quelli della caccia selvaggia, dagli scatti terribili dalla maestosità allarmante.

Non a caso le corna sono un simbolo di regalità e saggezza e di connessione con il divino. Accettandosi e accettando il suo retaggio, Polly può diventare weird straordinaria, magica e meravigliosa. Infatti, vi illumino, il dio Selvaggio era capace di curare e non solo il corpo ma anche la mente.

Ecco che questo libro va al di là della comprensione normale.

Ma significa anche che apre la mente al nuovo, ai concetti che possono germogliare da una diversa prospettiva, da una interpretazione del reale che scardina le convezioni sociali e umane, fino a intersecarsi con la legge divina. E noi in fondo, siamo solo riflessi di quel mondo alto, che oggi è qua sulla terra:

 

come in alto cosi in basso

 

Ma senza operare l’arduo folle passo, questa legge sacra non può essere resa viva e materiale, proprio perché eccessiva per una mente strutturata in modo rigido. Perché l’inspiegabile era il sacro il fondamento vero e reale dell’esistenza.

“Il Wyrd dura soltanto un istante, perché è la creazione costante delle forze. Il Wyrd è esso stesso un cambiamento costante, come le stagioni, eppure proprio perché è creato ogni istante, è immutabile, come il centro stabile di un vortice. Tutto quello che possiamo vedere sono le increspature che danzano sulla superficie dell’acqua.”
[Da: “La via del WYRD” di B.Bates] 

 

Di significati bellissimi il libro ne ha.

E non sono, permettetemelo, completamente d’accordo con chi asserisce che:

 

lo stesso Mellick ha dichiarato che chi sostiene che tutta la narrativa weird debba essere metaforica o debba nascondere profondi significati è un totale coglione

 

Grazie a questo libro ho prodotto più riflessioni profonde che leggendo i miei insensati saggi.

Io con questo libro ho avuto più battiti e più commozione che leggendo i miei amati classici.

Sono riuscita a sentire la bellezza anche nella sua politicamente scorretta mania di scandalizzare.

E spero che ci saranno altrettanti coglioni in grado, come me, di assaporare Merrick.

Mai come oggi, la parola coglione è una bandiera da appuntare nel petto.

E concludo ringraziando Vaporteppa, Marco Crescizz e il duca di baionette per avere le palle ( si oggi sono molto weird) per andare controcorrente, proponendo testi di una bellezza ribelle senza confini.

Sono con voi.

E che la divinità selvaggia vi benedica.