“Gli insetti. Sinfonia in tre movimenti” di Barbara Bolzan, Delrai editore. A cura di Alessandra Micheli

E’ iniziato finalmente il salone del libro.

E immagino, o almeno mi illudo, di trovare facce felici davanti al libro dei loro sogni.

E non soltanto il gala degli incontri.

Spero che ognuno di voi vagando per stand ammassati, in mezzo alla confusione di una festa, possa ascoltare il sussurro che lo chiama.

Seguirlo e lasciarsi condurre a lui, quel testo che una volta sfogliato gronderà non soltanto emozioni.

Ma vi regalerà una chiave.

Quella chiave stringetela forte, perché aprirà proprio la porta nascosta in voi che da tempo, da anni forse, o da mesi chiede di essere aperta.

E so che la paura di scendere in antri nascosti di noi fa un sacco di paura.

Ricordare e affrontare ogni immagine che vi si piazzerà innanzi gli occhi sarà altrove.

Un viaggio agghiacciante tra insetti che strisciano lenti, e ogni di loro vi racconterà una piccola verità.

Quel brulicare che vi disgusta sarà, forse almeno spero, la vostra redenzione.

Perché dopo l’orrore, dopo aver gridato, maledetto dio, arriverà la salvezza.

E vi sentirete finalmente leggeri.

Perché il famoso zaino di cui vi parlo, quello che pesa sulle pelle durante le salite, sarà finalmente svuotato.

Allora lasciate che la voce vi guidi, oltre persino la trama, oltre la bellezza apparente della cover.

Lasciate che vi chiami.

Fidatevi di zia Ale.

Lasciate ogni certezze e andate alla ricerca di quella solitaria voce. Perché se non riuscirete a considerare il libro un qualcosa di vivo, di reale, allora non è il mondo che fa per voi.

Non diventerete mai suoi amici.

Magari sarete lettori, finirete nelle classifiche o indosserete il badge che vi acclamerà come divinità dei social.

Ma non sarete amici dei libri.

E quando qualcuno instaura questo sentimento con l’altro, libro o persona che sia, è pronto per crescere, per evolvere, per comprendere se stesso.

Il libro amico diventa uno specchio.

O una torcia con cui scenderete nelle cantine più anguste, nelle soffitte più impolverate a cercare parti perdute, ma fondamentali di voi stessi.

Io cosi ho sempre creduto.

Questo è il rapporto che ho sempre instaurato con il libro.

E oggi come amico ho proprio accanto a me, quello di Barbara. Abbiamo parlato moltissimo, ieri notte.

Parlato con toni soavi e con toni cavernosi.

Ho visto il paradiso e l’abisso.

Nell’abisso stesso mi ci ha accompagnato per mano.

Lui la mia torcia, presenza salvifica, io la coraggiosa, con lacrime agli occhi e il core che fa tum tum.

Cosa ho trovato, se soffitta o cantina non posso svelarlo.

E’ un vostro viaggio.

E’ il vostro momento unico e speciale.

Posso però dirvi che uscita fuori da quel viaggio, mi ha lasciato vuota e piena allo stesso momento.

Vuota perché ho svuotato il famoso zaino.

Piena, perché oggi, quello spazio l’ho riempito di cose migliori.

Ho tolto dolori e rimpianti e accolto bellezza e compassione.

Per me, per un senso di colpa che mi sono portata appresso per tanto, troppo tempo.

Ma cosa c’entra con il libro, direte voi?

Tutto.

In realtà basterebbero queste parole per raccontarvi la meraviglia di cosa ho letto.

Ma non mi fermerò.

Perché davanti al talento serve la riverita ammirazione e la gratitudine verso chi ha scritto non con l’inchiostro ma con il sangue che sgorga dall’anima.

E la Bolzan dentro ogni libro mette se stessa.

Tutta se stessa.

Non gli interessa di apparire, di farsi vedere, di creare voli pindarici con la sua conoscenza della scrittura.

Lei si dona.

Si dona a noi.

Generosamente, dolorosamente, totalmente.

E questo dono viene raccolto e rende schemi letti e riletti unici e speciali.

Di thriller psicologici in cui l’apparenza è un inganno, ne ho letti a iosa.

Archetipi raccontati in mille modi diversi.

Ombre descritte con tutti i colori della tecnica letteraria.

Ma con lei…

E’ come se fosse la prima volta.

Sospesa una sorta di boriosa consapevolezza di essere una brava blogger, una perfetta lettrice.

sospeso quel gioco delle parti in cui ognuno dei contendenti cerca di fregare l’altro, di essere più furbo, io mi sono ritrovata indifesa, e ingenua come una neofita davanti la suo sacerdote.

Non conoscevo il genere.

Non sapevo individuare il bandolo della matassa.

Era un labirinto intricato di immagini, descrizioni accennate, di sinfonie che non venivano mai concluse.

E con cupidigia, con ardore andavo avanti a assorbire, assaporare parole.

Fino alla nota finale che ha concluso ogni overture.

Sapevo, una parte di me sapeva dove saremmo finiti, in quella parte della casa dell’io ci saremmo rannicchiati.

Ma era una credulità sospesa, cosi come dovrebbe fare un fottuto, meraviglioso libro.

E il paletto del cuore si è allentato, lasciando che la mia arida riva fosse inondata da un mare di emozioni.

E’ stato uno shock.

E’ stata la rivelazione.

Sofferta sicuramente, perché se avevo inserito questo acuminato paletto, era perché quella stanza non volevo aprirla.

Volevo continuare a illudermi che nulla nella mia vita fosse cambiato.

Volevo restare in compagnia di fugaci figure evanescenti, a farmi compagnia, distrarmi dalla meta e a oscurare il sole della realtà.

La Bolzan non lo ha permesso.

Ha insistito con somma grazia e con elegante ferocia a condurre il gioco.

Perché lei stessa, aveva compiuto prima di noi il viaggio.

E in quella nota finale, quella che ho voluto conquistare in modo testardo, ho riscritto il mio di finale.

E’ questo che significa leggere.

E’ questo che auguro a ognuno di voi, che oggi disonorate il libro considerandolo mero gadget, occasione per farsi pagare i torti subiti.

Ricordate.

Non solo parti della vita che avete seppellito.

Ricordate il vostro dolore, chi siete.

E ‘ l’unico modo per tornare a essere umani.

Grazie Barbara.

Non dimenticherò mai il tuo dono.

“Tu non sai chi sono” di Jesse Q. Sutanto, Newton Compton. A cura di Alessandra Micheli

Ehhh l’amourr, l’amur!

Questo sentimento che tutti esaltano, che diventa fondamentale in ogni esistenza, che da vita a poesie, opere immortali, quadri, canzoni.

Quest’emozione che resta l’unica a restare intatta dagli assalti della scienza, che nessuno studio, nessuna equazione potrà mai, mai svelare.

E’ ciò che resta segreto, quell’afflato che proviene direttamente da un paradiso che assomiglia a dita lievi capaci di accarezzarci il viso ma che leste sfuggono ai nostri vani tentativi di bloccarle.

L’amore è l’incomprensibile sacro che a noi si mostra, sfuggente eppure deciso a farsi osservare, seppur in controluce, seppur desiderosi di abbagliarci con le sue languide seduzioni.

L’amore che si spezzetta, in mille più schegge, quelle che ferocemente penetrano dentro il nostro cuore fino a far cadere sui nostri sospiri, roventi gocce vermiglie.

E quelle perle infuocate nutrono quel nostro spirito che rischia di seccarsi, di fronte alla luce troppo sfolgorante della verità, arma che impugniamo per scacciare le tenebre dell’inconsapevolezza, perché l’orizzonte assuma il candore di un cielo senza nuvole.

Eppure..

Proprio perché vicinissimo al sacro, proprio perché partecipa con lui delle sue suggestioni, del segreto, della sfriggente complessità, della caparbia voglia di non essere delineato e perciò studiato, proprio per questa sua tentacolare maestosità egli contiene in se anche ciò che è impuro, ombroso e pericoloso.

Quell’oscurità che sfugge ai nostri tentativi di illuminarla, con la torcia della ragione.

Fatta di fili istintuali, e di parole non dette, di suggestioni che si trasformano in ossessioni e di desideri che si tramutano in incubi. Noi, abituati la volto sorridente della Dea amore, neghiamo o non riusciamo a comprendere che dietro di essa il volto ghignante di una vecchia cenciosa spinge verso il nostro cuore artigliate mani scheletriche.

Chi mai vorrebbe raccontare questo suo atroce lato?

Questa sua connotazione perturbante che fa parte di una realtà a cui sfuggire, una realtà da negare?

Nessuno. Se non il genere che più di tutti dissacra l’intoccabilità del sentimento, sfidando quell’inconscio tabù che ci obbliga a scrivere sempre di lieti fine.

In questo libro non ci sarà mai lieto fine.

Perché non esiste amore se non nella sua faccia ossessiva.

E’ atroce il libro.

Perché il suo intento è quello di rivelare e svelare cosa si cela dietro al perbenismo di chi pensa di salvare la fanciulla dal drago, ma è drago esso stesso.

Di denigrare il cliché della donna inconsapevole e fragile, che rappresenta quasi la vergine da immolare sull’altare del nuovo machismo, da proteggere e salvaguardare come un’animale in estinzione.

Eh si miei lettori.

Stavolta la donna non è affatto una candida Biancaneve.

Frutto di un passato che mette in evidenza le ingiustizie e le contraddizioni sociali in senso a una società che per esteso riguarda ogni società occidentale, Delilah reagisce alla disintegrazione di un mondo che si erge a protettore della dissoluzione del patto sociatario, dividendo le comunità in piccoli esseri produttivi e autosufficienti.

Ma in realtà cosi soli, cosi fragili da diventare essi stessi cibo per l’ego del più forte.

Esseri, che si ritrovano, pertanto, stritolati dal meccanismo fagocitante di questa realtà che ha bisogno di energie per auto-legittimarsi.

Eh si.

Proprio quella che si auto celebra come la migliore, come la più inclusiva, che si bea della sua prosperità ottenuta semplicemente dividendo il mondo e il suo stesso organismo in accettabili e sacrificabili.

Che riduce gli altri in pedine, in servi compiacenti, in capri espiatori da sacrificare in un olocausto compiacente la divinità di Mammona.

Sono troppo dura, direte voi?

Eppure guardatevi attorno.

Vi regalano la possibilità di stravolgere il linguaggio, spacciandovi questo contentino con il modo migliore per proteggere il prprio investimento, voi.

Ma al tempo stesso non hanno l’intenzione di donarvi strumenti concreti per obbligare l’altro al rispetto.

Niente leggi.

Niente possibilità equa di crescita.

Niente valorizzazione delle potenzialità nascoste.

Semplici stampini a cui voi dovete uniformarvi.

Niente armi con cui reagire.

Niente matita dalla punta dura per delineare con forza i vostri unici contorni.

Siete numeri.

Gerarchie.

Siete statistiche.

Siete generi, relegati in recinti dai confini rigidi.

Siete stereotipi con allucinazione del libero arbitrio.

Siete vittime, illuse di poter diventare carnefici, con altre vittime a cui regalare lo stesso torto.

E cosi via, in un infinito distruttivo loop.

Delilah non è certo innocente, ne fragile, ne indifesa.

E’ la mantide capace di reagire divorando il partner.

E’ la Morrigan che ripara i torti, la violenza dell’energia delal Kali che si ribella.

Disturba.

Fa paura.

Proprio perchè è l’agnello che non può e non deve diventare lupo.

Fa…

Ecco il problema.

Delilah fa.

Compie, ci prova a uscire da una trappola per topi.

Ed è per questo che in un lato nascosto di noi seduce..

Stuzzica quel lato ribelle, quella sorta di no che spesso chiudiamo dentro il petto e che rimane come un groppo in gola.

E’ un simbolo questa protagonista.

E tutti gli uomini che incontra non sono altro che parti di un sistema da sconfiggere.

Lei che da preda diventa predatore.

Lei che non può usare la compassione, perché forse non è più tempo di compassione.

Lei, costretta a difendersi perché.. tutti coloro che dovrebbero farlo. E diffidate da chi vuole difendervi ma in realtà vi mette in vetrina. Di chi vi dice suadente “Lascia che ti aiuto io”, perchè vi rimette in u altra gabbia, magari dorata, magari piena di optional. Ma sembra gabbia.

Chi vi ama, chi vi protegge, vi dona le armi con cui reagire a un sopruso.

Non vi tratta da principessa da salvare.

Quello è un altro schema, un altro cliché, un altro stereotipo da cui nessuna più vuole essere infilata.

E se questo libro vi disturba, beh è perché ne avete bisogno.

Io canto la ragazza dalla pelle scura

Come una quercia al vento, cammina ondeggiando

Un lampo tra le nubi, lo sguardo dei suoi occhi

Rischiara all’improvviso il buio della notte

Le guance sono rose nella mano del sultano
Corallo la sua bocca, rosse le sue calde labbra
La copre un mantello che le sfiora la caviglia
Ma esile, il suo braccio è una spada sguainata

Angelo Branduardi

“Notte di neve e sangue” di Triona Walsh, Newton Compton. A cura di Barbara Anderson

Oggi sono meno sei gradi qui nella gelida Irlanda e pensate un po’ una book blogger irlandese sta in questo momento recensendo proprio il libro scritto e ambientato nella terra in cui questa donna amante della lettura vive e dove anche l’autrice di questo romanzo risiede.

Ci si sente in sintonia con le persone che vivono le nostre stesse esperienze di vita, di cultura e anche di clima.

Proprio qui, da una piccolissima isoletta dell’isola di smeraldo, seduta davanti a un fuoco acceso per tenere al caldo le mie ossa e le mie membra, sorseggiando una tazza bollente di tea mi son persa tra le pagine di questo mystery thriller. 

Ambientato praticamente a casa mia o quasi.

L’ambientazione è assolutamente suggestiva al massimo della sua potenza descrittiva. 

Storia che si svolge ed evolve in una delle isole Aran (Oileáin Árann.)

Per chi non ha familiarità con l’Irlanda, le isole Aran sono 3 isole rocciose a guardia dell’imboccatura della baia di Galway a circa 60 km dalla costa per darvi un’idea.

L’isola più grande Inis Mor dove si trova un forte preistorico, seguita da Inis Oirr e Inis Meain.

Queste 3 isole conservano ancora intatta la loro bellezza naturale, la profonda cultura celtica e la sua lingua: il gaelico.

Se vi trovate a fare un viaggio da queste parti; non potete assolutamente perdervi una delle location più incisive di questo romanzo che si trova esattamente sull’isola di Inis Mor,qui si trova una piscina naturale di perfetta forma rettangolare che sembra essere stata tagliata da qualche macchinario gigantesco ma che invece si è formata naturalmente con l’erosione dell’oceano, i venti e le onde che hanno scavato questa meravigliosa piscina che nel folklore irlandese attribuiva questo luogo a una antica tana del serpente.

Nonostante la bellezza della piscina non è un posto in cui nuotare sia un’esperienza semplice, le correnti qui sono forti e imprevedibili.

Questa piscina naturale ha anche dei tunnel sotterranei, dei canali che spingono l’acqua dell’oceano oltre bordi riempiendola dall’alto.

Potete trovare delle suggestive immagini di questo luogo on line cercando il video della Red Bull Diving del 2017 adInis More. Così potrete avere un’idea delle suggestive immagini che l’autrice di questo romanzo ci descrive con attenta e accurata precisione. 

Sapete che in Irlanda si dice che quando si sposa un isolano si sposa l’intera isola ed è effettivamente così. 

Qui su queste isole colpite dalle onde inquiete e dai venti possenti e violenti; gli isolani diventano un’unica essenza, un luogo in cui la solitudine rende necessaria la collaborazione, la convivenza e nasce il vero senso di comunità. 

Attraverso le pagine di questo mistery thriller troveremo luoghi spettacolari, una tempesta di neve che costringe un gruppo di amici che si ritrovano dopo 10 anni in occasione del capodanno e dell’anniversario della morte di uno dei loro compagni a stare non solo insieme ma in una condizione di totale claustrofobia: isolati dalla tempesta di neve dal resto del mondo, senza collegamenti telefonici, senza la possibilità di essere raggiunti e soccorsi.

Il tempo sembra fermarsi, tornare indietro anche di mille anni fa; ricordi che riemergono gelosie, invidie e intimi segreti che questi amici celavano agli altri ma perfino a se stessi.

In una condizione di ostilità climatica, geografica ma anche sociale e morale poiché gli isolani tendono a essere diffidenti con chi non è nato o chi non vive sulla loro isola.

La diffidenza è necessaria alla sopravvivenza e alla resilienza.

E questa storia ci mostrerà come non bisognerebbe mai fidarsi assolutamente dinessuno; nemmeno di se stessi. Che nella vita bisogna essere cauti, scettici come questi isolani, anche nei confronti dei propri pensieri e motivazioni.

Tutti possono possedere programmi nascosti, obiettivi segreti e pregiudizi che possono offuscare il giudizio e portare ad azioni poco sagge, affrettate o pericolose.

Con una narrazione che ci gela le emozioni e i sentimenti, che ci fa sentire quel cameratismo dell’amicizia, quei legami importanti che restano nel tempo ma che con il tempo hanno scavato anche profondi rancori.

Tra il dolore per la scomparsa di un amico, di un compagno di vita, di un fratello, questi amici si troveranno soli insieme a un assassino che ucciderà uno di loro e che forse non ha nessuna intenzione di fermarsi.

Cara, una delle protagoniste del romanzo è la garda (poliziotta) dell’isola; sempre vista come una arrivata dall’esterno anche se figlia e nipote di un isolano, non parla irlandese se non poche parole e dovrà scontrarsi con l’impervietà della tempesta di neve e con l’omertà e la freddezza degli isolani ma anche con segreti dei suoi amici e compagni.

Sola contro tutto e contro tutti dovrà cercare di raccogliere più indizi possibili prima che la neve si sciolga, che le tracce vengano cancellate e che la verità venga sepolta; fino all’arrivo della polizia dalla terra ferma.

Tutto sembra immobile su un’isola in cui la tempesta delle emozioni si sta scaraventando con ferocia e senza alcuna pietà.

Ma scopriremo anche il vero valore dell’amicizia, quella che dura nel tempo oltre i km che ci dividono oltre le austerità del tempo che ci allontana.

Chi si vuole bene continua a dimostrarlo nella vita ma anche dopo la morte perché ciò che ci sussurra il vento viene silenziato e attutito da una coltre di neve. 

Ma l’oceano non smette mai di sussurrare, di urlare, di chiamare il nostro nome e di portare a riva le verità, anche quelle che sono sprofondate negli abissi di un oceano di bugie e di menzogne.

Tra il contrasto di un’isola che si trasforma come il giorno e la notte dall’estate all’inverno, tra il caos dei turisti e il silenzio di un’isola che in inverno sembra a volte perfino dimenticata da Dio.

Nella credenza popolare irlandese si dice che quando un quadro cade dal muro significa che qualcuno morirà e in questa storia un cadavere forse ha molto più da raccontare di chi è rimasto in vita.

Sottile la scelta del nome di una delle protagoniste principali: “Cara” se pensate che in irlandese: a chara significa amico che è anche simile alla frase:a mo anam carache significa la mia anima gemella.

Il contrasto tra paesaggio, lingua irlandese cultura è forte tra le pagine di un thriller che vi lascerà incollate alle pagine dall’inizio alla fine.

Míle Buíochas (grazie mille)

All’autrice, alla casa editrice per averci catapultato in un luogo drammaticamente suggestivo, in un thriller da cardiopalmo.

“Il serial killer venuto dal freddo”, Ross Greenwood, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

Conoscete per caso il freddo irlandese?

Molti di voi per loro fortuna no, è quel tipo di gelo secco ma al contempo umido che penetra nelle tue ossa e ti entra dentro fino al midollo.

Ci si fa l’abitudine, però dopo moltissimi anni e quel freddo diventa quasi piacevole se non è accompagnato dalla pioggia incessante.

Sono seduta alla fermata dell’autobus, su un muretto in attesa del bus che mi porterà di nuovo a casa.

Estraggo questo romanzo, lo conoscete l’autore?

Ross Greenwood?

Io l’ho appena incontrato ed è senza dubbio il compagno di attesa più piacevole che potessi incontrare.

Be’, entro certi limiti perché si sta facendo buio, c’è solo la luce fioca di un lampione a illuminare la strada, la fermata del bus e il mio libro.

Appena aprirete la prima pagina entrerete immediatamente nel ritmo del romanzo. 

Crudele, diretto, spietato, onesto, schietto, inizia già con un crimine.

Uno?

Be’, diciamo una serie a catena di crimini e sparizioni sospette e un ritmo di violenza penetrante come il freddo, nessuna descrizione grafica di crimini efferati e terribili ma Ross ce ne sa parlare senza parlarne e riesce a farcene percepire la violenza, la crudeltà, la sofferenza, tanto che se devo essere sincera dubito di riuscire a dormire questa notte.

L’ambientazione principale dove vi troverete rinchiusi è un carcere di massima sicurezza a Peterborough dove come cicerone dell’ambiente ci sarà un narratore, residente all’interno del carcere per crimini che ha commesso e di cui sta scontando la sua pena.

La vita nella prigione ci viene descritta in maniera accuratissima, pensate che l’autore stesso ha lavorato per molti anni come agente penitenziario ed è stato direttamente a contatto con criminali, assassini, pedofili, serial killer e vi garantisco che di colpi adrenalinici, di rabbia, di sofferenza, di odio ne avrete veramente tantissimi.

La morte: forse vi sarà capitato, non negatelo di aver pensato che qualcuno in questo mondo se la meriti, soprattutto una morte dolorosa.

Sembra un pensiero forte?

Indubbiamente lo è soprattutto quando la persona a cui si augura la morte ha perpetrato un crimine disumano su un membro della vostra famiglia che esso sia adulto o ancor peggio se si trattasse di un bambino.

Mi avvolgo meglio alla mia enorme sciarpa di lana più per usarla come scudo protettivo che protezione dal freddo, la lettura si fa avvincente e vi farà venire dei pensieri e delle riflessioni davvero contrastanti perfino con la vostra stessa morale.

All’interno del penitenziario assisteremo al modo in cui un prigioniero per anni temuto e stimato ora anziano alla fine della sua pena venga quasi messo in disparte; il suo potere lo si vede affievolire poiché altri più giovani, più forti, più violenti stanno prendendo il suo posto.

Ma di certo alla fine della sua pena non può permettersi di uscirne male e soprattutto morto quindi deve abbassare un po’ il capo cercando di mantenere sempre alto il suo potere all’interno del carcere.

Ormai conosce tutti, dagli agenti più duri a quelli più fragili, osserva i vari criminali anche con disprezzo perché anche tra criminali ci sono delle leggi, delle regole per cui crimini come la pedofilia vengono visti in maniera disgustosa anche da assassini criminali.

Un prigioniero anziano viene ritrovato morto nella sua cella, si pensa subito a una morte naturale ma ad alcuni il dubbio che si sia trattato di un omicidio viene; così arriva il nostro ispettoreBarton per finalizzare le indagini. 

Sembra effettivamente una morte naturale fino a quando eventi inusuali iniziano a emergere.

La casa della famiglia del defunto viene derubata, altre persone vengono assalite.

Barton inizia a interrogare alcuni prigionieri del penitenziario; tutti con un passato criminale, tutti pedofili e Ross affronta l’argomento pedofilia con delicatezza e con rispetto, non ci sono descrizioni grafiche dei crimini commessi nei confronti di bambini ma se ne percepisce ugualmente la ferocia. 

La vedova del defunto prigioniero non si trova più; una serie di testimoni spariscono, altri vengono ritrovati morti.

Barton inizia a comprendere che c’è qualcosa di grave; una trama violenta e di sicuro uno spietato assassino è ancora piede libero.

Qualcuno sta cercando di chiudere la bocca a una serie di testimoni e di persone.

Uno spietato assassino carico di odio e di rancore diventa impossibile da fermare.

La narrazione del romanzo vi mostrerà il lato dell’assassino e quello della polizia come una serie di puzzle che cercano di incastrarsi per completare il quadro degli eventi che si susseguono rapidi e incontrollati.

Sia Barton che il serial killer hanno due personalità intense, forti, due storie di vita che vi faranno emozionare in contrasto con tutti i crimini a cui verranno esposti, perché un bravo autore di thriller riesce persino a farti simpatizzare con i criminali e chi sta per perdere la testa è proprio il nostro Barton il quale inizia a scoprire che forse il prossimo a essere ucciso e sparire sarà proprio lui stesso.

L’assassino vuole insegnare una lezione e ritorniamo alla mia riflessione: lui desidera che tutti imparino che alcuni individui meritano la morte.

La scrittura di questo autore è assolutamente nata per il thriller, tutti i personaggi e gli eventi che accadono non sono mai superficiali, tutto è studiato alla perfezione.

Barton è un uomo duro ma che nel suo privato sta vivendo qualcosa di terribile forse più della morte. 

Sua mamma affetta dalla demenza diventa difficile da gestire e vi garantisco che da figlia di una mamma con demenza progressiva vascolare il suo inferno l’ho vissuto e lo vivo ogni giorno.

Il dolore di veder perdere per sempre non solo le tracce della memoria di tua madre ma perfino le tracce di te stessa che per lei diventi un estraneo, una persona sconosciuta a cui tende perfino a diffidare.

La delicatezza di quest’uomo nell’affrontare la sofferenza e il dolore della malattia della mamma lo rende un uomo vero, semplice con le sue debolezze, le sue paure e la sua disperazione che però deve mettere da parte per poter risolvere un caso davvero violento.

Barton ama la sua famiglia, è un padre, un marito e un figlio devoto e i suoi orari di lavoro che lo tengono lontano dalle persone che ama li odia ma ha al contempo ha la passione per la sua professione che entra in contrasto con la sua libertà e il suo tempo con i suoi affetti.

Non è come i soliti poliziotti che si incontrano nei thriller; che sono annoiati, stanchi, e distrutti lui è l’uomo della porta accanto, quello che alla fermata dell’autobus ci dice buonasera e ci sorride.

Per quanto ciò che tratta il libro sia spietatamente violento sappiate che nessuno dei reati che leggerete è fatto senza motivo.

Non che sia giustificabile eppure vi garantisco che in alcuni casi mi sono sentita in sintonia con il criminale piuttosto che con la polizia.

La prigione è come un alveare in cui regna un rumore continuo e assordante, un mare di pericolo dove è la costante minaccia della violenza a governare le onde.

La vita è anch’essa una prigione, a volte siamo prigionieri delle nostre emozioni, siamo alla mercé delle azioni perpetrate dagli altri su di noi e di conseguenza abbiamo delle reazioni o delle non reazioni.

Vi capita mai di pensare a come saremo un giorno ricordati?

Chi si ricorda effettivamente di noi?

C’è qualcosa che abbiamo dato o fatto che renderà il nostro ricordo indelebile?

Alla fine solo noi possiamo decidere di essere qualcosa di diverso.

Quando il narratore misterioso, (scoprirete di chi si tratta solo alla fine) vi mostrerà la differenza tra gli assassini e i pedofili: questi ultimi hanno un comportamento innato, sono privi di rimorso, infastidiscono schifano, sono energumeni che sembrano persone normalissime ma capaci di ricominciare a colpire creature innocenti appena messi di nuovo in libertà.

Se sei una persona che non ha null’altro che il potere di distruggere tutto ciò che tocca o che avvicina allora tu stesso diventi una nullità e soprattutto se crei un mostro, non sorprenderti mai se ti si rivolterà contro.

Siamo il prodotto di ciò a cui veniamo esposti, siamo sempre la responsabilità di qualcun altro ed entra in gioco il nostro libero arbitrio quello che ci permette di decidere cosa fare e se farlo.

Alcuni nascono per essere degli assassini spietati, per altri la vita è più semplice in prigione che fuori.

Se la prigione è un alveare, la vita esterna è una giungla irta di pericoli e di minacce.

Sento un fortissimo rumore che mi fa sobbalzare dallo spavento, sollevo lo sguardo impaurita, il mio autobus è arrivato, la porta si è aperta e mi accoglie l’autista sorridente. 

Salgo, la porta si chiude lasciando fuori il gelo; il tepore dell’autobus e il calore umano dei passeggeri mi fa sentire protetta, li guardo negli occhi uno ad uno mentre mi avvicino al mio posto a sedere. 

Sembrano tutte brave persone.

Sembrano…

Lo sembro anche io.

Il bus riparte appena mi siedo, volgo lo sguardo al finestrino e vedo il mio libro su quel muretto da solo in attesa di tenere compagnia al prossimo lettore.

Potresti e dovresti essere proprio tu.

Consigliatissimo!

Una brava Madre” di Elisabetta Cametti, Piemme. A cura di Jessica Dichiara e Alessandra Micheli

Non abbassare al guardia. Di Jessica Dichiara

Se esistesse un luogo in cui il male non ha accesso questo dovrebbe essere il cuore di una madre, ma questo luogo non esiste.

Il male è ovunque, anche qui e ora.

Una penna esperta accompagna il lettore dentro la vita di personaggi tormentati, forti e tangibili. Ci fa toccare la vita di ognuno incurante di qualsiasi tipo di intimità. Una penna rassicurante aggiungerei perché mi ha guidato senza mai lasciare che mi perdessi.

Tanti sono i personaggi chiave intorno ai quali si muove una trama capace di evocare mistero e tensione.

L’evidenza ci sorprende per poi abbandonarci immediatamente dentro dinamiche ordinatamente intricate che rendono in viaggio del lettore teso e piacevole allo stesso tempo.

La vittima e il serial killer danzano su una musica strana che li vuole ora ben distinti, ora pericolosamente vicini e coinvolti. È una condizione destinata a non risolversi mai completamente perché mentre leggiamo la coscienza si apre a porte sconosciute e misteriose.

Una scrittura immediata, che rasenta la perfezione e costellata da intuizioni geniali che movimentano le scene senza destabilizzarle. Fa bene al cuore perché è la conferma che si può scrivere ancora con passione e consapevolezza.

Uno stile da vera professionista del crime. Affascinante e incisivo senza mancare di divenire profondo laddove la trama porta a riflessioni che sfondano muri e aprono cuori.

Un romanzo capace di suscitare emozioni reali perché presto si dimentica di avere a che fare con la fantasia dell’autrice e ci si ritrova a brancolare dentro ricordi e memorie mai archiviati, in una dimensione in cui la violenza è sia fisica che psicologica.

Fabrizio, Arianna, Giorgia, Annalisa, due indagini che si muovono in parallelo così ben incastrate da tenere il lettore incollato alla storia che sembra non avere meta, o almeno sembra non averla nel presente in cui si svolgono le ricerche.

In alcuni passaggi si innalza una lode ai demoni che abitano i luoghi più profondi della nostra anima, note spietate che non rispettano la paura e si perdono nell’aria avvolgendoci in un eco senza fine per l’eternità.

La speranza era morta da tempo. E su quel marciapiede che puzzava di piscio stava per spegnersi anche l’ultima illusione. Annalisa Spada camminava a passo spedito, sicura che qualsiasi iniziativa sarebbe risultata inutile. Non c’erano più discorsi, né decisioni in grado di cambiare le cose. Ma un’altra convinzione le logorava l’animo: niente può persuadere una madre a non tentare.

Una madre che non c’è è destinata a mancare, a non far sentire il suo dolore, ad accogliere, a proteggere anche da assente. E può farlo anche senza aver conosciuto il proprio figlio.

Una madre può esserci, eppure distruggere con il pianto e con i silenzi. Quando una madre sta in silenzio la terra trema e la guerra si fa vicina e amica.

Madri le cui storie si intrecciano davanti al crimine e vengono dal passato, dal presente, dal futuro e dagli angoli perduti della coscienza.

Crimini che scuotono e chiedono di non essere dimenticati. Così veri da sembrare i fatti di cronaca a cui tutti siamo abituati.

Quello di Elisabetta Cametti è un invito a non abbassare la guardia, a non cullarci nelle nostre certezze e convinzioni, a non sentirci inviolabili. Nessuno di noi lo è veramente, nessuno deve sentirsi al riparo dal male che, ripetiamolo, è ovunque.

Grazie Lady crime per ricordarci che siamo umani, fragili, unici, irripetibili.

Come si descrive un prato fiorito a una bambina che non è mai uscita dalla grande scatola di cemento?

Un romanzo che sfida la paura, i segreti e i mostri. Un thriller psicologico devastante in ogni aspetto.

Consiglio per la lettura: sfogliate le pagine lentamente e lontano dalle finestre.

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Chi è una brava madre? Di Alessandra Micheli

Thriller e ancora thriller.

Nonostante le lucine di natale.

Nonostante i miei buoni propositi a noi del blog il sangue fa felici.

Perché soltanto andando a fondo delle peggiori paure possiamo abbracciare la luce e dire addio al buio.

E quali sono i veri terrori?

Ma ovviamente l’essere umano, miei amati lettori.

Ebbene si.

Non mostri discesi dagli infiniti spazi cosmici.

Non morti redivivi, affamati di noi.

Non vampiri che rimpiangono la perduta mortalità e decidono di punirci cibandosi della linfa vitale.

Proprio l’essere disceso dalle lacrime di dio, reso più improntanti degli angeli, coronato di stelle e gloria.

Cosi libero di vivere tra il paradiso e l’abisso, e cosi deciso a scegliere sempre quest’ultimo.

Siamo noi i peggiori mostri partoriti dalla coscienza più nera.

Neanche la fantasia sapere, può superare quella realtà.

E noi, noi che abbiamo cosi terrore di quel filo sottile che ci tiene in bilico tra l’amore e la follia, esorcizziamo questi timori con la lettura.

Dei più turpi delitti, dei peggiori istinti, radiocronaca feroce di una costante morte di umanità e giustizia.

Ma, ci sta un ma.

A furia di leggere tali turpi istinti, si rischia di acquietare la coscienza.

Diventare sordi al richiamo di quel divieto, che ci rende edotti su come sia facile perdere se stessi abbracciando la libertà fallace, privata del giusto limite.

E cosi mi sento ogni volta che oh in mano un testo.

Tanto che oramai vado in cerca di significati nascosti tra l’inchiostro, magari celati agli occhi dello stesso autore.

La Cametti la conosco da tempo.

E cavolo se ci sa fare con l’arte della parola.

Incanta, seduce e conquista.

E ovviamente stupisce, specialmente chi si approccia per la prima volta con la sua elegante prosa.

Perché a parlar di delitti bisogna anche avere classe.

E cosi avvinti dalla bellezza di trama e tecnica a volte il lettore tende a lasciare intatti i temi che abilmente, la nostra maestra del giallo tocca.

E allora eccomi mio lettore, davanti a te per farti luce su un dettaglio che agli amanti, ossessionati direi dal genere sfugge: la Cametti inserisce sempre, e sottolineo sempre una acuta critica sociale.

Riflette proprio sui meccanismi che ci avvincono a questo mondo cosi in crisi, a questa compagine che si autolegittima nonostante cada a pezzi.

Si noi che siamo oramai un tutt’uno con un sistema valoriale che scricchiola e che non riusciamo a modificare.

Lo distruggiamo, lo contestiamo, ma non troviamo un alternativa valida.

Non siamo riusciti a sostituire un’ idea societaria con un altra.

E quindi da anni, da generazioni, abbiamo anche deciso di non vedere più le cesure nella socializzazione e nell’approccio che abbiamo ai sacri principi della convivenza.

La Cametti non demorde però.

Affonda la penna in ogni tessuto a sua disposizione e questa penna diventa quasi un bisturi.

Ed è con questo che con precisione chirurgia seziona la parte in esame e ne tira fuori la sua malattia.

Ecco che anche in questo episodio, agghiacciante nella sua semplice complessità la riflessione è quasi d’obbligo: cos’è che distingue una madre?

Come può esistere nella nostra classifica il concetto di brava e cattiva madre?

Il mestiere dei genitori non è semplice.

Affatto.

Ma se ci riflettiamo è anche la culla della socializzazione che rende un individui cittadino. Sono i genitori che possono creare il primo incontro con gli assunti che, un domani, il bambino dovrà sposare.

E’ la madre e poi il padre che determina, consciamente e inconsciamente il futuro del neonato.

Con questo non si vuole sostenere ovviamente una sorta di predestinazione.

Ma sicuramente è innegabile che dagli approcci infantili, dai valori trasmessi, dall’esempio e dalla concezione della vita, del tempo e dell’autorità che si trasmette al nuovo individuo possono verificarsi anche eventi disastrosi.

E’ quello il primo schema con cui rendiamo ineleggibile il mondo attorno a noi.

E spesso lo leggiamo dotati di preconcetti, di una sorta di pregiudizio e di alone che ci condiziona ogni valutazione e ogni scelta.

Ecco che forse brava o cattiva madre non sono soltanto definizioni atti a creare una gerarchia, ma definiscono il contenuto di quel bagaglio che può influire sulla modalità con cui noi camminiamo lungo il sentiero della vita.

E forse una madre deve avere il coraggio, il pudore di non darci tanti contenuti per quello zaino, ma a renderlo cosi ampio e pronto a essere riempito con esperienza unica, personali e di prima mano.

Una madre non riempie lo zainetto.

Tuttalpiù impone la sua firma sullo stesso, lo decora con i colori, con le frasi, con aforismi, con proverbi e consigli.

Lo rende bello ma al tempo stesso è un inchiostro che puoi scegliere di conservare, o lavare via, perché in fondo è anche meraviglioso che sia tu a decorarlo, in totale autonomia.

“Labirinti” di Franck Thilliez, Fazi Editore. A cura di Barbara Anderson

Lettori, amanti dei thriller e soprattutto dei thriller psicologici; quelli che vi mandano in tilt le sinapsi neurali, seguitemi e venite a perdervi con me in questo intricatissimo labirinto!

Chi conosce Thilliez ha già sperimentato il suo stile narrativo, la sua prosa che cattura, che coinvolge e che stravolge tutte le aspettative dei lettori.

Dalla sua incredibile immaginazione, al suo indiscutibile talento nel documentarsi sugli argomenti complessi che affronta e che espone nei suoi romanzi; rendendo le storie credibili, i personaggi realistici;  un autore che conosce bene le dinamiche della letteratura gialla e thriller, esperto in forensi…

Ci racconta di protagonisti accattivanti, facendoci entrare nel mondo di ognuno di loro permettendoci di instaurare un legame, un’empatia con ognuno di loro.

Capace di farci provare le scosse dell’alta tensione narrativa.

Inutile negarlo, ci siamo tutti trovati nel corso della nostra vita in situazioni dalle quali non avevamo la capacità o la possibilità di uscire; sentendoci disorientati, spaventati, terrorizzati, smarriti, soffocati dalle difficoltà che apparivano davanti ai nostri occhi insormontabili, insuperabili.

In quelle circostanze si perde razionalità e lucidità e la paura prende il sopravvento e si rischia di perdersi ancora di più intrappolati dai meandri dei limiti della nostra mente che innalza barriere sempre più grandi, sempre più alte.

Cosi è il labirinto: caos, disorientamento, trappola.

Così sono le emozioni, i sentimenti umani, la mente umana: groviglio di sentieri, di cunicoli, di insenature che sembrano tutte non portare da nessuna parte ma che ci fanno addentrare sempre di più in una trappola mortale.

Eppure il labirinto non è caos, è una figura geometrica, ben organizzata.

Pensate che ci sono anche delle tattiche specifiche per poter trovare l’uscita come il tenere la mano sulla bordatura del muro che lo compone mentre ci si sposta al fine di mantenere un contatto reale con il percorso che stiamo prendendo e memorizzare la strada percorsa, quella errata, quella che sembra portare a una svolta.

Ricorderete anche voi il labirinto dell’architettoDedalo, la sua leggendaria architettura caratterizzata da una pianta così complicata, intricata e tortuosa da rendere difficile l’orientamento e la via d’uscita.

Cosa rappresenta il labirinto?

Ovviamente il vero percorsoiniziatico, il viaggio che l’uomo deve compiere attraverso le prove e le difficoltà della propria esistenza, dalla vita alla morte.

Per Teseo il labirinto con i suoi oscuri meandri rappresentava le viscere della terra e la morte stessa.

Teseo dovette scontrarsi con il possente minotauro nel labirinto di Creta.

Cosa aiutò  Teseo a trovare la via d’uscita?

Ricordate? 

Il filo di Arianna. Quel filo immaginario che rappresenta lavolontà razionale e la lucidità che ci permette di focalizzarci sull’obiettivo da raggiungere mettendo le difficoltà da affrontare sotto una luce diversa.

Un po’ come quando ci troviamo in una stanza buia ed entriamo in panico perché non riusciamo a orientarci, basta mantenere la calma, fare qualche respiro profondo e concentrarsi su ciò che di quella stanza si percepisce.

Piano piano gli occhi si adatteranno al buio e riusciranno a vedere qualcosa, piccoli sprazzi di ombre, di contorni che ci permetteranno di ritrovare la nostra collocazione e la consapevolezza di ciò che ci circonda.

Thilliez ci porta nel vivo, nel nucleo centrale di questo labirinto e ci lascia lì, non da soli ma con i suoi protagonisti e con le loro storie.

Camille la poliziotta ultima arrivata alla quale è stato dato il caso più spinoso e complesso; la quale si troverà a dover scoprire chi è quella donna che sta in ospedale priva di memoria, che è stata ritrovata accanto a un cadavere.

Il dottor Fibonacci esplorerà la complessità dell’amnesia, i traumi che causano la fuga dissociativa, attraverso dei giochi cervellotici che divertono moltissimo l’autore del romanzo e che sono di grande intrattenimento per i suoi lettori.

Vi fidate della vostra mente?

Del vostro giudizio?

Vi fidate degli altri?

Vi fidate della vostra memoria e dei vostri ricordi?

Lo psichiatra Fibonacci ci farà scoprire le false memorie, le alterazioni comportamentali, incontreremo tre vite di donne che percorrono la storia in parallelo, sembrano non avere nulla in comune, Thilliez ce le fa conoscere, scoprire e noi spettatori di ciò che queste donne stanno vivendo e affrontando, ignare di ciò che Thilliez ci ha messo a conoscenza, dovremmo anticipare le loro azioni, i loro pensieri, le loro prossime mosse.

Una prosa che mette ansia, che ci avvolge nella più totale suspence.

Un brutale omicidio, una donna semi congelata, un sospettato, l’amnesia.

Le protagoniste chiave della storia:

Lysine la giornalista

Vera la psichiatra

Sophie con le sue premonizioni 

Julie la vittima di torture psicologiche

Ariane che freneticamente disegna labirinti intricati.

Tra simbologia, doppi sensi, tra arte e violenza ci perderemo nei meandri della memoria di queste donne.

Vi ritroverete a seguire piste, indizi, ci addentreremo nel labirinto della mente non solo quella della vittima ma anche del carnefice, sarete la malattia e la cura allo stesso momento, il bene, il male, la verità e la menzogna.

Come ci disse Italo Calvino: “la sfida del labirinto però non è di fatto quella di trovare la via d’uscita il prima possibile ma quello di vivere appieno l’esperienza con un ruolo attivo durante le scelte del mistero dell’esistenza”.

La via d’uscita dal labirinto sei solo ed esclusivamente tu!

Questo romanzo è mistero, è smarrimento, è il filo di Arianna ed è  anche la battaglia con il Minotauro.

Soprattutto è una partita a scacchi dove l’unico che farà scacco matto sarà proprio l’autore, che giocherà con i meandri della nostra mente, ingannando il nostro pensiero.

Siete realmente pronti a perdervi attraverso i percorsi tortuosi della logica e della patologia psichiatrica?

Siete certi di essere ciò che siete?

La storia vi costringerà a ragionare, vi spremerà la materia grigia fino allo stremo, vi divertirete vi stresserete.

Tutto sarà caos ma poi alla fine tutto troverà il suo posto, la sua collocazione, persino voi stessi troverete qualcosa di straordinario che nemmeno sapevate vi appartenesse.

Percepirete la paura, la sentirete divoravi dall’interno, ma dovrete mantenere la lucidità assoluta, ricordate di tenere le mani sulle pareti del labirinto, chiudete gli occhi, ascoltate la vostra testa, non fatevi ingannare da ciò che il labirinto vi mostra, c’è una logica anche in tutto ciò che appare illogico.

Respirate, rilassatevi e… voltate pagina.

Siete dentro e forse non ne uscirete mai più.

Finale a sorpresa inaspettato che rende tutto questo gioco qualcosa di veramente molto ma molto serio.

Buon divertimento.

Ognuno per la sua strada, ognuno segua il suo percorso.

Forse vi ritroverò all’uscita.

“La casa in fondo alla strada” di Karen Mc Queston, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

È una fredda notte di gennaio e Sharon Lemke è fuori, nel cortile, per assistere a un’eclissi di luna. Nella casa accanto, una bambina sta lavando i piatti. L’ora è tarda, e Sharon non capisce come qualcuno possa costringere una ragazzina a fare le faccende domestiche a notte fonda. Ma un pensiero molto più inquietante la assale non appena si ricorda che i Fleming, in realtà, non hanno una figlia piccola… Sharon sa che non dovrebbe immischiarsi, ma quando anche Niki, la diciottenne che ospita temporaneamente, inizia a notare attività sospette a casa dei Fleming, non può più trattenersi. Una telefonata a vuoto ai servizi sociali la convince che, se vuole evitare che qualcosa di terribile accada a pochi metri da casa sua, deve indagare da sola. Ma la verità che la attende va oltre ogni possibile immaginazione…
Pensi davvero di conoscere i tuoi vicini?

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Scrivo questa recensione proprio in una notte di luna piena, ma non una luna piena qualsiasi, ma la Super Blue Moon quell’evento lunare che capita una volta ogni 14 anni.

E mi ritrovo con gli occhi fuori dalla finestra ad osservare questo spettacolo meraviglioso e lo sguardo si sposta in questa notte azzurra verso una delle finestre dei miei vicini.

La luce accesa proprio come la cover di questo romanzo e all’interno vedo dei bambini che giocano sui loro tablet.

E sorrido pensando di nuovo a questa storia appena terminata di leggere e a tutte le emozioni che inevitabilmente mi ha fatto provare.

Preciso subito che si tratta di un giallo thriller, scritto in maniera accattivante e veloce, dalla narrativa e dai personaggi che scorrono sulle pagine in maniera lineare e morbida ma con aculei che all’improvviso tendono a ferire il lettore e a fargli perfino male.

Viviamo in un periodo in cui la privacy è la nostra priorità tendiamo a rinchiuderci nelle nostre case alzando muri per tutelarci da sguardi indiscreti, tende che oscurano la visibilità del mondo esterno e al mondo esterno. 

Io non amo le tende, non ne ho in casa tranne gli oscuranti alle finestre che chiudo solo quando devo andare a dormire o se devo spogliarmi, per il resto le mie finestre non sono mai chiuse ne coperte. Io amo poter vedere fuori il cielo, il passaggio dei miei vicini, amo poter vedere il paesaggio, il cielo e i colori della vita fuori dalla mia casa.

Ovviamente conosco tutto il vicinato, vivendo in una zona residenziale con villette a schiera, eppure conosciamo realmente i nostri vicini?

Potrei dirvi personalmente di sì anche se qualche anno fa’ un evento di cronaca turbò proprio il mio vicinato quando uno degli uomini apparentemente più rispettabili che conoscessi e padre di due bambine stupende fu arrestato per un crimine che sconvolse tutto il mio villaggio.

Chi possiede un segreto riesce a nasconderlo agli occhi indiscreti di chi gli vive accanto?

Spesso sì, altre invece ci si trova davanti allo sguardo attento di chi ha la capacità non solo di non farsi sfuggire nulla ma ha anche la tenacia e l’iniziativa di investigare da solo su ciò che di sospetto accade.

E per quanto possiate trovare un certo tipo di “ approccio” invadente, in alcuni casi come in questa storia può salvare non solo una vita ma anche più di una.

Sharon la protagonista è una donna anziana che vive nella sua casa da sola, Amy sua figlia ormai avvocato vive lontano da casa per lavoro. Si sentono spesso e Sharon nonostante la sua solitudine è una donna piena di impegni e di interessi.

Una notte di luna piena, alle 23:00, mentre osserva fuori in giardino il cielo vede dalla luce accesa della finestra dei vicini una bambina piccolissima di forse 4 o 5 anni in piedi su uno sgabello davanti al lavandino impegnata a lavare delle stoviglie. 

Una donna arriva urlando e la strattona per un braccio facendola sparire dalla vista della finestra.

Una scena che la turba.

Cosa faceva una bimba così piccola in piedi davanti al lavandino a lavare piatti a quella tarda ora? E perché la donna l’aveva strattonata con così tanta violenza?

Forse la bimba stava giocando con l’acqua e la stava solo sgridando perché si sarebbe potuta far male?

Eppure quei vicini non hanno figlie femmine, in effetti hanno solo un figlio di 17 anni Jacob, chissà magari quella bimba è una nipote o un membro della famiglia in visita. 

Fatto sta che quella scena le mette addosso un certo disagio.

I giorni successivi la figlia di Sharon chiede a sua madre un favore e di poter ospitare in casa una sua giovane cliente e amica: Nikita una ragazza che ha avuto un infanzia e adolescenza difficile passando da un affidamento all’altro e che ora vorrebbe trovare lavoro e riprendere in mano la sua vita.

La mamma anche se con riluttanza e diffidenza accetta e ospita questa ragazza.

Tra le due nasce un rapporto meraviglioso come di una nonna con la nipote, dalla diffidenza iniziale di entrambe comincia a instaurarsi un legame bellissimo fatto di amore, di rispetto, di fiducia, di complicità.

Nikita trova un posto dove poter stare e restare senza alcuna fretta, trova una persona che si preoccupa per lei e che si prende cura della sua fragile vita con incondizionato amore; un amore che diventa reciproco e bellissimo a cui il lettore non riesce ad essere né immune né indifferente.

Le persone sono fatte a strati e seppure apparentemente possono sembrare buone, generose e brave, sotto i vari strati di bontà, di simpatia si nasconde sempre qualcosa di oscuro e di meno bello.

Questo Nikita lo sa per esperienza.

Eppure Sharon era diversa da Nikita, lei guardava al lato brutto delle persone con un’adorabile ingenuità a volte disarmante.

Le due donne iniziano a prestare attenzione alla casa del vicinato, dove sembra davvero esserci la presenza di una bambina ma non hanno prove, così iniziano ad osservare e a cercare di capire cosa stia accadendo in quella casa dove una famiglia benestante e rispettabile vive nell’assoluta privacy e scoprono l’altra faccia della luna, quella più oscura fatta di follia di narcisismo ossessivo.

Scopriremo come Jacob, un ragazzo in sovrappeso, cerca di nascondere un terribile segreto insieme a suo padre e a sua madre una donna capace di tenere prigioniera tutta la sua famiglia, rendendoli succubi delle sue decisioni e delle sue severe regole e disciplina.

Una famiglia che sta cadendo a pezzi e che si tiene unita solo da un segreto inconfessabile.

Incontrerete la piccola tenera Mia, una bambina adorabile, dolce e buona che crede che quella vita, la sua vita di prigionia sia la normalità assoluta, una bimba che brama per l’approvazione della donna che si fa chiamare Signora che le da compiti da svolgere in casa occupandosi anche del Signore

Mia è una bambina molto intelligente che instaurerà con suo non fratello un rapporto di affetto e di amore segreto.

La vita cambia in un attimo, non possiamo controllare mai i comportamenti degli altri ma solo ed esclusivamente i nostri. 

Un romanzo che racconta di relazioni familiari che nascono volontariamente o di nascosto.

Ci mostrano come l’amore di un bambino per i propri genitori sia un dato di partenza imprescindibile anche quando il sentimento non è reciproco.

La storia è raccontata attraverso i vari punti di vista dei protagonisti mostrandoci non solo il loro dolore, la loro sofferenza ma anche la loro forza di resistere e di sopravvivere a qualcosa di terribile.

Indubbiamente il lettore si affeziona in maniera istintiva a Nikita, a Sharon, a Jacob soprattutto alla piccola Mia e ciò che accade è forse prevedibile già dall’inizio della storia.

Il finale arriva per come ce lo aspettavamo e per come onestamente avremmo voluto che avvenisse.

Un cambiamento doloroso ma capace di far rinascere nuove possibilità di amore e di vita.

“Una voce dal nulla” di Marco Fulceri, Giovane Holden. A cura di Alessandra Micheli

So che sta arrivando la stagione più dolce e romantica dell’anno.

Ma io oggi vi vorrei consigliare questo testo particolare, che contiene in se una gamma di sfumature che virano dal thriller psicologico a quello soprannaturale, passando per la strada intricata dell’horror.

Ed è cosi che incubo, ultraterreno e realismo riescono a fondarsi, donando al lettore incredulo quell’atmosfera perturbante, quasi claustrofobica degna dei grandi romanzi di Sthepen King.

Eh si miei lettori.

So di aver fatto un affermazione molto pesante ma il nostro Fulceri se lo merita tutto, visto che il libro mi ha tenuto incollata alle pagine per una notte intera.

Tra parentesi è il momento giusto per leggerlo.

Quando è notte, magari molto buia (evitate il solstizio mi raccomando), luna piena, con la pioggia o una bella tempesta, di quelle con il vento che sibila. Un po’ di atmosfera, con una bella luce soffusa, (magari un lumino sarebbe perfetto) e vi troverete in una strana cittadina,Leadville che ricorda, seppur vagamente l’ansiogena Derry (vi prego ditemi che nno conoscete la cittadina di Derry se mi volete ancora viva) o il meraviglioso Niceville, romanzo anche troppo poco considerato per i miei gusti.

Fino a rubare le atmosfere oniriche del mio amato Twin Peaks.

Ecco posso considerare questo il prodotto di mille suggestioni, di mille diverse follia scaturite dalle menti di autori che io letteralmente amo ma al tempo stesso rinnovate in una fusione che ha dir poco del geniale.

Ledville si contende con Niceville la fama di luogo dotato di arcani poteri. Qualcosa si agita nei suoi boschi, funestati da superstizioni che sembrano, mano a mano che il libro scorre sempre meno follie e sempre più reali.

Con Derry condivide la presenza di un volto oscuro, affatto armonioso, che si nasconde dietro fattezze allegre (un serial killer chiamato pagliaccio) che lo rende ancor più spaventoso.

E’ l’irridere della dolcezza infantile, è la voracità di una umanità che non disdegna di banchettare con l’innocenza e che assomiglia, in modo quasi crudele e caricaturale alla nostra di civiltà.

E a Twin Peaks ruba la dimensione onirica, grazie a una prosa che riesce a catturare la brutalità di una realtà senza cuore, acuendola con la suggestione ipnotica del sogno.

Cos’è vero e cosa non lo è?

Che forze si agitano nel ventre di una sonnacchiosa, incolore, inutile cittadina di provincia?

Che orribili segreti nasconde?

La follia è causata davvero da una presenza oscura o è un frutto di calcoli più orrendamente banali, di istinti cosi gretti da far venire quasi il voltastomaco?

Ovviamente io non ve lo svelo.

Posso solo augurarmi che questo testo, perfetto, notevolmente perfetto, diventi assieme ai sopracitati uno dei capisaldi di quel genere di thriller che sta sempre un po’ in bilico tra weird, soprannaturale e psicologico.

Un libro che ho amato e che trovo appunto difficile descrivervi perché incapace di esprimere a parole la sua bellezza.

Stile, prosa, atmosfere, contesto significato, tutto concorre a creare un quadro disturbante e al tempo stesso suggestivo, con immagini tratte dal calderone del classico ma con il tocco originale e personale di un Fulceri che qua dimostra davvero la sua bravura.

Avvezza a libri di cotal genere, raramente ne resto affascinata, raramente vengo stupita e sedotta.

Ma una voce dal nulla mi devo, per forza sbilanciare: qua, ragazzi miei, ci troviamo davvero davanti a un gioiello raro e spettacolare seppur nella sua apparente semplicità.

E ora tocca a voi.

Avrete il coraggio di entrare a Leadville?

avrete il coraggio di scoprire di chi è la voce che sembra arrivare dal nulla?

E chi si cela in quella sperduta casetta nel bosco?

Io vi aspetto.

“Il killer di ghiaccio” di Ross Greenwood, Newton Compton. A cura di Ilaria Grossi

“Non posso controllare la mia natura. Sono nata così e basta. La vita non è semplice”

Ho letto un po’ di thriller psicologici ultimamente e pochi sono quelli che mi hanno letteralmente ipnotizzata fino alla fine del libro e quasi mi dispiaceva abbandonare la lettura temporaneamente.
“Il killer di ghiaccio” rientra tra i miei preferiti e Ross Greenwood conferma uno stile avvincente e mai banale.
La storia è filtrata attraverso gli occhi e la mente della protagonista Ellen, un personaggio per il quale ho provato tanta compassione e al tempo stesso ero consapevole della sua fragilità, vulnerabilità e della sua anima danneggiata.
Un passato che ritorna assieme ai ricordi più dolorosi e ogni volta si sgretola come un castello di sabbia, ne crolla un pezzo e poi un’altro ancora.

Parallelamente è l’ispettore Barton e la sua squadra a condurre le indagini.
In un appartamento, vengono trovati tre cadaveri ed è caccia al killer.
A distanza di pochi giorni, altri due cadaveri e il mistero si infittisce.
Barton è consapevole che “i morti non potranno più testimoniare” e allora chi dirà la verità?

“Non ne posso più di essere usata come un oggetto, ma reprimo la rabbia”

Sono le parole di chi lotta tra vulnerabilità e la fragilità della sua natura, capace però di cose orribili.
Con uno stile che prende sin dalle prime pagine e una forte introspezione dei personaggi, Ross Greenwood vi conquisterà.

Buona lettura
Ilaria per Les fleurs du mal blog letterario

“Il santuario” di Sarah Pearse, Newton Compton. A cura di Ilaria Grossi

Sarah Pearse ritorna con un nuovo thriller psicologico.
Un thriller che intreccia più storie e personaggi e soprattutto ci riconduce nella vita del detective Elin Warner, già conosciuta nel thriller precedente “Il sanatario.”

“Il passato dell’isola ha sempre avuto un peso troppo forte”

Su un’isola al largo del Devon, viene inaugurato un resort di lusso che richiama i media e i turisti di tutto il mondo.
Sull’isola, pende un passato oscuro e la morte di cinque studenti.
È la roccia del mietitore ad incutere paura e suggestioni a tanti, ma c’è chi vede soltanto la meta esclusiva di una vacanza che si trasforma nel peggiore degli incubi.
La morte gira attorno ad un gruppo di amici inconsapevoli: Jo, Hana, Maya, Seth e Caleb.
Il detective Elin Warner è chiamata ad indagare sulla morte di una giovane donna, trovata sugli scogli sotto il padiglione yoga.
Ritornare a lavoro per Elin, significa rimettersi in gioco superando i propri limiti, ma grazie alla sua caparbietà e al collega Steed, Elin mostra un carattere forte e sfida anche le paure più grandi e i demoni del passato che sembrano non abbandonarla mai.
Sarah Pearse mette in scena un buon thriller psicologico e i personaggi sono ben delineati dal punto di vista introspettivo.
È un vero thriller labirinto: ogni percorso sembra depistare l’altro e sono tutti in balia della mente ossessionata del killer e dalla sua sete di vendetta.
È un burattinaio che muove i fili di ciascun personaggio, in un crescente di suspence e attesa soprattutto dalla metà del libro.
Sarah Pearse ci lascia con un finale aperto e questo fa dedurre un nuovo capitolo per il detective Elin Warner.

Buona lettura
Ilaria per Les fleurs du mal blog letterario