E’ iniziato finalmente il salone del libro.
E immagino, o almeno mi illudo, di trovare facce felici davanti al libro dei loro sogni.
E non soltanto il gala degli incontri.
Spero che ognuno di voi vagando per stand ammassati, in mezzo alla confusione di una festa, possa ascoltare il sussurro che lo chiama.
Seguirlo e lasciarsi condurre a lui, quel testo che una volta sfogliato gronderà non soltanto emozioni.
Ma vi regalerà una chiave.
Quella chiave stringetela forte, perché aprirà proprio la porta nascosta in voi che da tempo, da anni forse, o da mesi chiede di essere aperta.
E so che la paura di scendere in antri nascosti di noi fa un sacco di paura.
Ricordare e affrontare ogni immagine che vi si piazzerà innanzi gli occhi sarà altrove.
Un viaggio agghiacciante tra insetti che strisciano lenti, e ogni di loro vi racconterà una piccola verità.
Quel brulicare che vi disgusta sarà, forse almeno spero, la vostra redenzione.
Perché dopo l’orrore, dopo aver gridato, maledetto dio, arriverà la salvezza.
E vi sentirete finalmente leggeri.
Perché il famoso zaino di cui vi parlo, quello che pesa sulle pelle durante le salite, sarà finalmente svuotato.
Allora lasciate che la voce vi guidi, oltre persino la trama, oltre la bellezza apparente della cover.
Lasciate che vi chiami.
Fidatevi di zia Ale.
Lasciate ogni certezze e andate alla ricerca di quella solitaria voce. Perché se non riuscirete a considerare il libro un qualcosa di vivo, di reale, allora non è il mondo che fa per voi.
Non diventerete mai suoi amici.
Magari sarete lettori, finirete nelle classifiche o indosserete il badge che vi acclamerà come divinità dei social.
Ma non sarete amici dei libri.
E quando qualcuno instaura questo sentimento con l’altro, libro o persona che sia, è pronto per crescere, per evolvere, per comprendere se stesso.
Il libro amico diventa uno specchio.
O una torcia con cui scenderete nelle cantine più anguste, nelle soffitte più impolverate a cercare parti perdute, ma fondamentali di voi stessi.
Io cosi ho sempre creduto.
Questo è il rapporto che ho sempre instaurato con il libro.
E oggi come amico ho proprio accanto a me, quello di Barbara. Abbiamo parlato moltissimo, ieri notte.
Parlato con toni soavi e con toni cavernosi.
Ho visto il paradiso e l’abisso.
Nell’abisso stesso mi ci ha accompagnato per mano.
Lui la mia torcia, presenza salvifica, io la coraggiosa, con lacrime agli occhi e il core che fa tum tum.
Cosa ho trovato, se soffitta o cantina non posso svelarlo.
E’ un vostro viaggio.
E’ il vostro momento unico e speciale.
Posso però dirvi che uscita fuori da quel viaggio, mi ha lasciato vuota e piena allo stesso momento.
Vuota perché ho svuotato il famoso zaino.
Piena, perché oggi, quello spazio l’ho riempito di cose migliori.
Ho tolto dolori e rimpianti e accolto bellezza e compassione.
Per me, per un senso di colpa che mi sono portata appresso per tanto, troppo tempo.
Ma cosa c’entra con il libro, direte voi?
Tutto.
In realtà basterebbero queste parole per raccontarvi la meraviglia di cosa ho letto.
Ma non mi fermerò.
Perché davanti al talento serve la riverita ammirazione e la gratitudine verso chi ha scritto non con l’inchiostro ma con il sangue che sgorga dall’anima.
E la Bolzan dentro ogni libro mette se stessa.
Tutta se stessa.
Non gli interessa di apparire, di farsi vedere, di creare voli pindarici con la sua conoscenza della scrittura.
Lei si dona.
Si dona a noi.
Generosamente, dolorosamente, totalmente.
E questo dono viene raccolto e rende schemi letti e riletti unici e speciali.
Di thriller psicologici in cui l’apparenza è un inganno, ne ho letti a iosa.
Archetipi raccontati in mille modi diversi.
Ombre descritte con tutti i colori della tecnica letteraria.
Ma con lei…
E’ come se fosse la prima volta.
Sospesa una sorta di boriosa consapevolezza di essere una brava blogger, una perfetta lettrice.
sospeso quel gioco delle parti in cui ognuno dei contendenti cerca di fregare l’altro, di essere più furbo, io mi sono ritrovata indifesa, e ingenua come una neofita davanti la suo sacerdote.
Non conoscevo il genere.
Non sapevo individuare il bandolo della matassa.
Era un labirinto intricato di immagini, descrizioni accennate, di sinfonie che non venivano mai concluse.
E con cupidigia, con ardore andavo avanti a assorbire, assaporare parole.
Fino alla nota finale che ha concluso ogni overture.
Sapevo, una parte di me sapeva dove saremmo finiti, in quella parte della casa dell’io ci saremmo rannicchiati.
Ma era una credulità sospesa, cosi come dovrebbe fare un fottuto, meraviglioso libro.
E il paletto del cuore si è allentato, lasciando che la mia arida riva fosse inondata da un mare di emozioni.
E’ stato uno shock.
E’ stata la rivelazione.
Sofferta sicuramente, perché se avevo inserito questo acuminato paletto, era perché quella stanza non volevo aprirla.
Volevo continuare a illudermi che nulla nella mia vita fosse cambiato.
Volevo restare in compagnia di fugaci figure evanescenti, a farmi compagnia, distrarmi dalla meta e a oscurare il sole della realtà.
La Bolzan non lo ha permesso.
Ha insistito con somma grazia e con elegante ferocia a condurre il gioco.
Perché lei stessa, aveva compiuto prima di noi il viaggio.
E in quella nota finale, quella che ho voluto conquistare in modo testardo, ho riscritto il mio di finale.
E’ questo che significa leggere.
E’ questo che auguro a ognuno di voi, che oggi disonorate il libro considerandolo mero gadget, occasione per farsi pagare i torti subiti.
Ricordate.
Non solo parti della vita che avete seppellito.
Ricordate il vostro dolore, chi siete.
E ‘ l’unico modo per tornare a essere umani.
Grazie Barbara.
Non dimenticherò mai il tuo dono.