Review party “La cattedrale di Sabbia” di Leonardo Patrignani, Mondadori. A cura di Alessandra Micheli

Puoi fidarti dei tuoi ricordi?

Risuona questa frase come una nenia antica per tutto il libro.

Un mondo futurista, a tratti distopico a tratti utopico laddove il genio umano ha iniziato a scardinare ogni lucchetto della vita

Persino quel DNA misterico che creava malattie spaventose.

E allora il passo per invadere la nostra mente più segreta è davvero breve. Penetrare nei ricordi e viverli, manipolarli, regalarli al mondo.

Giocarci.

E senza un vero perché ma con la boria dell’arroganza occidentale.

Possiamo fidarci dei nostri ricordi?

Se quella porta segreta può essere violata, se il nostro cassetto può essere smistato, a volte senza riguardo.

Senza rispetto.

Senza un minimo di sussiego e di pudore.

Possiamo davvero fidarci dei nostri ricordi?

E allora un grido eruppe dentro di me.

Ma davvero è necessario fidarsi di un attendibilità che non fa e non può far parte del nostro mondo materiale?

Dove tutto in fondo discende da una percezione, da sensazioni private, da elaborazioni spirituali di impulsi fisici?

Tutto il libro in fondo è un costante grido di indignazione.

Perché il prezzo da pagare per essere quasi immortali è troppo.

Troppo pesante da pagare.

Ci etichettano, spronano a dare sempre ogni emozione in pasto al pubblico.

Mangiano ogni sentimento fino a renderlo evanescente e poco importante.

Fino a togliere persino il dolore dal guscio protettivo di un pudore che diventa soltanto ostacolo a questa forsennata corsa.

E cosi la cattedrale di sabbia, quell’illusione che il progresso, in fondo, resta l’unica opzione giustificabile, crolla davanti a noi.

Crolla il mito della scienza.

Crolla persino il fine giustifica i mezzi.

Lasciamo solo uomini che si sentono spaesati, senza poter più aver cura e amare i proprio ricordi.

Imperfetti, cosi come in fondo siamo imperfetti noi.

E donarli a qualcuno perché divengano solo cellule da congelare in frigo per il momento opportuno ci rende, dolorosamente, tutti burattini.

Chiusi in prigioni umide e ammuffite.

Ecco che l’intera civiltà costruita sulla volontà di essere dio diventa quello che è sabbia che offusca la vista del viandante.

Sabbia che nasconde con le sue tempeste la vista di un oasi in cui fermarsi, in cui sostare e riposare dopo un viaggio senza senso e senza speranza.

Ecco che il mondo creato da Petrignano non è poi cosi distante dal pericolo che costantemente viviamo oggi.

Noi che ci rendiamo fragili e impotenti davanti al sogno degli uomini di conoscere tutto, di lottare strenuamente contro il mistero.

Di voler rivelare ogni aspetto della mente, non tanto perché essa contiene Dio.

Ma per paura della morte, del dolore, della malattia.

Paura che il tempo poi non sia mai abbastanza, per poter raggiungere obiettivi sempre più evanescenti.

Paura che poi nonostante tutto il tempo del mondo, resteremo cosi indifesi, sbriciolati nella nostra grandezza, come cattedrali di sabbia inondate dalle feroci onde del mare.

“Diario di un fuoriuscito” di Stefano Agnoletto” Scatole parlanti. A cura di Alessandra Micheli

Non è facile scrivere su questo libro.

Per una serie di motivi personali tra i quali beh il mio amore per un filone poco considerato della fantapolitica ossia l’utopia.

Dalla città del sole a utopia di Tommaso Moro, abbiamo sempre avuto la necessità di riflettere su temi umani che non erano solo sociali o di ordinamento politico, ma si intersecavano anche con una certa dose di spiritualità.

Vi sembra strano?

Beh leggetevi la città del sole di campanella per poter comprendere le mie parole.

Perché vedete, la società ideale, quella in cui ogni nostra istanza e ogni bisogno riesce ad armonizzarsi con quello degli altri non può esulare dalla speculazione filosofico esoterica.

Del resto riunire le volontà singole, individuali e propense alla sopravvivenza del proprio nucleo se non della propria anima deve basarsi su qualcosa di più alto che il mero bisogno immediato.

Se poniamo le basi dello stato sul bisogno, infatti ci troviamo subito in una grande impasse filosofica, relativa alla libertà e al diritto di ciascuno alla propria porzione di felicità.

E’ da questa diatriba, infatti, che nasce il liberalismo e la difesa della proprietà personale e della specificità individuale.

E le rimostranze contro la teoria rousseauiana della volontà generale, spesso confusa con la tirannide.

Spesso quando mi trovo a blaterare sul contratto sociale e la possibilità utopica che le singole volontà sconfinino in quella generale mi sono ritrovata a sentirmi recriminare che, essa sia l’anticamera della dittatura.

Cosi poco fiduciosi nelle potenzialità umane, nella nostra perfettibilità sosteniamo, anzi sostenete ( io questo errore non lo compio, ne compio altri ) che per ottenere tale omologazione bisogna annichilire le proprie caratteristiche uniche e singole.

E qua si incappa nel primo problema relativo a una società utopica dove la proprietà unica, personale e tendente all’egoico (la base su cui si fonda il capitalismo) è l’espressione delle esigenze sacre del singolo, che non può essere omologato a una ipotetica sovranità generale.

E se succede, beh ci si trova di fronte l’appiattimento e all’omologazione.

Come a voler sottolineare come Rosseau, Campanella, Locke o Moro sono i precursori delle dittature del novecento.

E seppur ritengo questa deviazione filosofica errata, è pur vero che è conseguenze proprio a quell’impasse sopracitato.

Come riuscire a trasformare l’individualità egoistica in qualcosa a favore dell’intero stato?

Semplicemente fondando il patto sociale su altro.

E quest’altro, non può essere certo qualcosa partorito dalla legge umana, appunto fragile e sopratutto corruttibile e tendente alla sopraffazione.

Ma deve essere ricercata in un armonia che è ideale, incorrotta e forse incorruttibile.

Pertanto per l’utopia, bisogna ovviamente rivolgersi al regno dell’altrove.

O dello spirito, o alla sovranità, o persino alla Maat cosmica.

Ho già espresso il mio pensiero di fondo, eretico, al pari delle “farneticazioni “ di Rostagno, in cui individuavo nella volontà generale nientedimeno che l’adesione proprio all’ideale egizio di armonia cosmica.

Vedete come si tratti di qualcosa di pratico e materiale applicato al cielo.

E questo perché cono sempre più convinta che la spiritualità, la regione non sia certo affare riguardante chissà quale aliena divinità, ma sia semplicemente una prospettiva diversa con cui interpretare la nostra esistenza.

Non meno a rischio di errori di quanto non lo sia il metodo scientifico, che appunto si sviluppa per tentativi e mappe concettuali.

Ecco che l’utopia diviene speculazione si, nella costante ricerca e nel costante ripensamento delle basi su cui fissare il famigerato patto politico.

Ora la volontà generale che possiamo paragonare alla agorà del mondo greco, laddove il sentirsi completi e cittadini significava, come ha ben esplicato Gaber, la partecipazione alla cosa pubblica.

Nella possibilità di ripensare il proprio individualismo in una veste collettiva capace di assicurare a tutti il necessario, il dovuto, il giusto o per dirla in breve l’equo.

In tal senso la proprietà privata, simbolo della riuscita e del successo umano patrocinato da chissà quale divinità assurta a dominatore (come ha ben raccontato Weber) significherebbe andare contro il principio dell’equità, badate bene equità e non eguaglianza.

Non siamo tutti uguali certamente.

Abbiamo bisogno e esigenze diverse, organismi che hanno la loro struttura ma siamo mediamente tutti umani.

O meglio con una struttura biologica e animica concordante.

Pensiamo, magari in modo diverso ma pensiamo tutti.

Amiamo, magari in modo diverso ma sempre di amore si tratta.

E cosi via.

Non si tratta quindi di omologazione ma di riconoscimento dell’unità della diversità.

Siamo tasselli di uno stesso mosaico, ogni tassello con la sua figura peculiare ma da oslo non rende conto della bellezza del tutto.

E’ questa la volontà generale.

Un processo di consapevolezza che un uomo non è un isola.

In questo scenario Rostagno è l’elemento capace di far riflettere su tutto questo. E’ l’eretico ossia colui che mette alla prova ogni acquisita informazione, derivata dall’alto ma mai davvero interiorizzata.

Nel mondo parallelo in cui si trova a suo malgrado tutti sono abituati al modo di vivere comunitario.

Nessuno lo mette in dubbio se non una parte di alternativi.

Ma quel dubbio che noi temiamo è ciò che se accettato rafforza la validità di un sistema.

Il dubbio non distrugge, il dubbio deve costruire.

Il dubbio mette in luce errori e può creare la possibilità della loro risoluzione. Ecco la volontà generale ivi raccontata in modo romanzato ha bisogno di vari Rostagno.

Ne ha bisogno il capitalismo, cosi come il collettivismo.

Ne ha bisogno perché è dalla dialettica della parti che emerge la validità di quel collante che tutto tiene assieme e che mi piace sia definito come lo definisce Agnoletto, il sole dell’avvenire.

Che sia la luce della coscienza, la luce di una verità ignorata o celata.

Che sia luce.

Specie oggi, in mezzo a tenebra che minacciano questo immenso cielo che ci appartiene e a cui apparteniamo.

Un piccolo gioiello, un libro essenziale, un libro che consiglio a tutti voi.

“Repubblica italiana D’America” di Roberto Vacca, Altre Voci. A cura di Alessandra Micheli

Eccoci qua cari miei lettori.

Stavolta si parla di cose serie quindi preparatevi.

Però siccome quello che sto per raccontarvi non è una semplice narrativa. E non è neanche un libro pomposo, compiaciuto di se, e adatto solo ai pochi intellettualoidi da palcoscenico.

Anzi.

E’ un libro giovane, dinamico e speciale che trasuda ottimismo da ogni poro.

Pertanto attacco Vecchioni e tento di rubargli la stessa passione che mette nelle sue canzoni.

Roberto Vacca è un uomo speciale.

Non scrive per se, o per chissà quale narcisistico bisogno.

Vacca parla a voi.

Ha bisogno di lasciarvi il testimone e di spronarvi a lottare per voi stessi e per il mondo che vi ospita.

Questo straordinario autore vi fa un regalo.

E credetemi sono quei regali che vi serviranno sempre nella vita, anche quando vi apparirà solo un lungo tunnel senza luce.

E cosi quando vi ritroverete in lacrime davanti a sogni calpestati, quando qualcuno vi dirà crudele che bisogna essere realisti e smettere di sognare, il libro brillerà dentro di voi.

Quando la luna sarà oscurata dalle nuvole e tutto apparirà tenebra, quelle parole scritte formeranno la corazza contro fiere fameliche.

E difenderete il pensiero con una spada lucente, difenderete il vostro diritto di immaginare un finale diverso per ogni storia.

Perché è quello che ci stanno togliendo ragazzi.

Non il lavoro, non i diritti ma la capacità di immaginare un modo diverso, di creare tra le stringe del tempo l’alternativa.

Lo fanno perché temono la forza distruttiva e costruttiva di ogni pensiero che poi diventa azione e poi diventa terremoto e poi mano che prende le macerie e ripensa a come costruire ancora, imparando dall’esperienza.

Perché le idee sono stelle, sono come direbbe Vecchioni sorrisi di dio in questo sputo di universo.

E questo libro ragazzi miei vi può far sperare in un mondo diverso, sperare che se non ieri un domani e nell’oggi la storia possa essere diversa.

E da quello sperare che nascono uomini e non burattini.

Repubblica italiana d’America è un omaggio alla vera essenza di un essere creato più su di stelle e angeli, andare oltre al consueto e conosciuto e pensare in grande.

Ogni scienziato, ogni condottiero che ha deciso di non accontentarsi del poco che ha, del suo orticello e cercare di andare oltre il mare.

E stavolta il mare non è solo una distesa d’acqua.

E’ qualcosa di più.

E’ tutto ciò che ci limita.

E il luogo di sirene di Scilla e cariddi, che impedivano ai marinai di oltrepassare le colonne d’ercole.

Troppo rischioso.

Allora perché non accontentarsi di piccoli porti, di ristrette vedute, lasciando l’orizzonte ai sogni notturni.

Cosa serve pensare a una storia alternativa?

Cosa serve pensare secondo il principio e se?

Serve a allargare le mente.

A salpare quel mare anche se si rischia il naufragio.

E forse non posso farlo né io ne Roberto.

Potete farlo voi ragazzi miei.

Siete voi stelle e fuochi nella notte impossibile da spegnere, neanche se il temporale più tremendo scoppia improvviso.

Siete voi a dover costruire una vita e una narrazione diversa con i se e ima.

Qua sono proposti i miglior eventi storici in un ottica diversa, quella del dialogo delle opportunità e delle possibilità.

E’ presentato un sistema di pensiero diverso che prevede la collaborazione a discapito del profitto.

Che della diversità fa dono e tesoro, che mescola ogni elemento positivo di ciascuna tradizione, creando la tanto bramata terza via.

Qualcosa che rispettando l’altro rispetta me perché crea le condizioni non solo del benessere mio ma anche dell’altro.

Perché siamo e oramai lo sappiamo grazie al virus, interdipendenti uno dall’altro.

La storia alternativa non è fantasia.

Non fatevi fregare.

Ella esiste grazie agli infiniti rami delle possibilità concrete.

Sarebbe bastato a volte un no, o un si o una presa di posizione ribelle e coraggiosa, per cambiare la trama di tante storie.

Sarebbe bastato che l’uomo si sentisse più grande della materia per far si che i sogni potessero brillare.

Bastava stringere a se i sogni giovanili e impedire la vento di spazzarli via.

Quelle proposte da Vacca sono realtà concrete, che oggi abbiamo raggiunto con difficoltà ma che sappiamo possibili.

Non si tratta di un isola che non ci sono, o di velleità giovanili.

Dobbiamo sognare.

E grazie al sogno cambiare ogni finale.

Per persino le trame.

Questo mondo oggi ha bisogno di noi.

Di coraggiosi che sfidano le convenzioni e i pregiudizi.

Ecco perché la repubblica italiana d’America è una spinta verso la vera civiltà

quella che sa che la vita è più forte di ogni morte.

Di ogni interesse, di ogni falso idolo.

Allora io spero che questo libro possa far svegliare quelle coscienze addormentate come tante fanciulle di favole che non ci rappresentano più.

Ciascuno di noi, però, può ragionare su cose che capisce e presentare visioni di imprese che migliorino grosse situazioni. Ci ho provato suggerendo che cosa fare nel 2023 per le massicce migrazioni in corso da Paesi disastrati. Le grandi imprese per risolvere il problema sono fattibili: non fantasie. Eppure i grandi decisori non le progettano e sembrano ignorarle. Proviamoci tutti insieme. Tu che mi leggi: informati, studia, lavoraci, provaci, consigliati, discuti, proponi.

Se non ora, quando?

Si tu, tu che ora leggi, tu che credi che non serve a nulla lottare, che nulla può cambiare.

Tu che preferisci dormire e delegare, ricordati i passi che abbiamo fatto da quando un tempo capitammo su questa misteriosa e spaventosa terra.

Noi che con il fuoco rubato agli dei illuminammo la notte e scacciammo demoni.

Noi che imparammo a sfidare il mondo e a renderlo adatto alle nostre esigenze.

Noi che creammo ideali che ancora sopravvivono.

Noi ci siamo impegnati per spinarvi la strada.

Ma oggi siamo stanchi.

E abbiamo bisogno di chi prende il nostro posto.

Fatelo voi

E le libertà che avete

Mica c’erano a quei tempi

Noi ci siamo fatti il culo

Tocca a voi mostrare i denti

Roberto Vecchioni

“Extrema ratio” di Michele Rocchetta, Edizioni Epoké. A cura di Alessandra Micheli

I corsi e ricorsi storici di stampo vichiano ci insegnano che in fondo, gli eventi si susseguono prendendo spesso le stesse sembianze di quelli che li hanno preceduti.

La differenza è in una sorta di evoluzione o involuzione che il fato beffardo sembra donargli come peculiare identità.

Ed è questa mancata idea di una sorta di circolarità che rende la storia si, affascinante ma anche molto delicata.

Quello che ci accade è frutto di un istante, di una coincidenza, di un ritardo e di un attimo flebile e fragile eppure dotato di una potenza interiore capace di finire negli annali delle biblioteche.

Se esiste un universo parallelo e io ci credo, perché credo fortemente negli studi di Einstein e nelle scoperte della fisica quantistica, sicuramente il dettaglio cosi ignorato ha modificato di netto gli scenari. Magari è frutto di una svista.

Di una scelta diversa causata dalla fretta, da un foglio che il vento ha fatto volteggiare.

Ogni evento storico ha, quindi un fratello o una sorella, che ci insegna molto di quanto ogni scelta va ponderata e spesso afferrata in nome della ragion di stato o del bene del popolo.

E’ quello che ci racconta Michele Rocchetta con i suoi due libri.

L’ombra del duce e extrema ratio non giocano sul filo della fantasia, o dell’immaginario.

Ma su quello delle probabilità, dei se e di quei piccolissimi sassolini che dirigono il corso della storia.

E’ questione di scelte, di distrazioni e di attimi fuggevoli.

Perché i percorsi storici sono tanti e infiniti e seppur proseguono per una determinata strada, frutto chissà della casualità, in un altra parte o in un altro arco temporale essi si ripresentano, creando agli occhi di noi studiosi quel caratteristico percorso a spirale.

Gli imperi crescono e maturano, a tratti crollano ma riemergono a volte peggiorati o a volte migliorati.

E cosi i dittatori.

Ne abbiamo tolto dal trono uno in carne e ossa, e incoronato un altro meno reale ma ancor più disastroso: il dio della Borsa.

Colui che con termini altisonanti sta mandando il nostro mondo verso un altra atroce guerra mondiale.

Solo che non ce ne accorgiamo.

Nell’ombra del duce succede la stessa cosa, il famigerato autarca si è salvato.

Tutto per una strana “coincidenza”: Hitler si trovava in una parte del suo bunker, magari al centro del pavimento quando l’ordigno che doveva eliminarlo è esploso.

La riuscita del progetto Walchiria.

E stavolta, in questo arco di tempo non si è affatto salvato.

Anzi.

Grazie a quell’attentato nel 1944 la guerra si è fermata.

Apparentemente.

Nessuno è penetrato nel cuore della Germania nazista, e nessuno ha potuto spartirsela.

Anzi essendosi liberati da soli da quella diabolica presenza, i tedeschi possono mettersi al tavolo delle trattative.

E il mondo ne esce davvero sconvolto e modificato: un congresso di Vienna crea schieramenti e nuovi equilibri.

L’Europa è neutrale e pertanto è nel mezzo della lite delle due superpotenze, senza necessariamente essere costrette da una sorta di debito di riconoscenza, a accogliere uno o l’altro sistema politico.

E l’Italia?

Mussolini è vivo.

Il che significa che i suoi non sono affatto sconfitti, ne si sono arresi.

L’Italia può gestirsi da sola seguendo il suo antico impulso secessionista e ristabilendo ciò che, l’unità di Italia li aveva privati: due regni autonomi e differenti.

Un repubblicano al nord e uno leale ai Savoia al sud.

Insomma divisi siamo nati e divisi restiamo.

E come vedete la storia, se non è guidata dal popolo, resta con un conto in sospeso che prima o poi ci chiede di pagare.

E cosi in questo scenario Mussolini non intende arrendersi.

Rimasto illeso e per nulla pentito torna a gettare la sua ombra sulla sua patria.

E sapete che accade?

Che la guerra scongiurata con l’operazione Walchiria, torna a bussare alla porta.

Mettendo due stati fratelli, divisi ma sempre capaci di rispettarsi, in fondo il rispetto è una scelta, a contendersi il potere e a iniziare una sorta di braccio di ferro.

Nord e sud, ognuno convinto di aver più ragione, e diritti di un altro.

E il nostro eroe, Scandellari si sente in diritto di tornare a provarci, a fermare piani che, stavolta, getterebbero tutto il mondo nel caos.

Ma sopratutto tornerà a affrontare con noi uno dei dilemmi che, ancor oggi non può trovare risposta.

Cosa è possibile sacrificare in nome della pace?

Extrema ratio significa, dal latino, piano estremo, d è mirabilmente espresso il suo significato da n passo tratto dal de bello civili di Giulio Cesare

Gli restava, come “ultima condotta” di combattimento, di occupare quante più colline e presidiare quanto più spazio potesse, allo scopo di dividere le truppe di Cesare; e così avvenne.»

E cosi in guerra, in politica, in diplomazia si avverte spesso la sensazione di trovarsi di fronte a un ultima possibilità di azione, soluzione a cui ricorrere quando tutti i possibili rimedi sono stati tentati senza successo.

E cosi, la guerra diviene l’extrema ratio per trovare la pace.

Il sacrificare un popolo è l’extrema ratio per annientare un nemico.

Chiudere le frontiere è l’extrema ratio per impedire l’invasione.

Il problema è però che in tutti questi extremi, non è mai il governante a perdere.

Ma sempre il popolo.

Sono gli ideali, i valori e la convinzioni.

E’ l’extrema ratio alla base di non solo questo libro, ma di ogni evento storico.

E cosi attraverso missioni segrete, intrighi e azione scritte con magistrale bravura, il popolo soffrirà sempre per questi atti di eroismo.

E mi chiedo se sia davvero necessaria l’ultima soluzione per mantenere un potere che, in realtà corrode.

E non chi lo possiede ma chi lo esercita senza il consenso del popolo

Alla fine, il nostro dovere ultimo, come regnanti e come amministratori, è quello di lavorare per il benessere dello Stato e del Popolo

“L’ombra del Duce” di Michele Rocchetta. A cura di Alessandra Micheli

 

L'ombra del duce- Michele Rocchetta

 

La storia è una delle materie più interessanti perché capaci di ispirarci la domanda per eccellenza, parola magica, incipit dei più grandi romanzi: e se?

Con questo semplice quesito Philip Dick ha dato vita a uno dei più spettacolari romanzi della storia, della letteratura, La svastica sul sole.

Immaginario onirico tutto dickiano che presuppone un diverso corso degli eventi: le forze dell’asse non vengono sconfitte ma trionfano, in pompa magna e l’America, il nostro salvatore, soccombe alla loro cupidigia divenendo divisa in due frazioni.

Grazie a questa visione alternativa della storia, si possono immettere in ogni libro significati, morali, ma anche echi di eticità variegate.

Tutte però soccombono di fronte alla capacità umana di fare dell’ideologia la basa su cui agire, innalzando il Sabato come divinità suprema a scapito di quella che, flebile, invocava l’essere umano come perno sui cui la creazione ruota e dovrebbe ruotare.

L’ombra del Duce risponde agli stessi quesiti, alle stesse para che oggi si agitano dentro di noi, a quella stessa, inquietante domanda che si rende conto come la nostra amata storia sia una strana congregazione di eventi uniti in modo inesatto e per nulla stabile, divisi da una enorme lacuna.

Ed è in questo vuoto che si incuneano e si insinuano dei significati e quasi dei portali dimensionali che possono dirigerci verso altre realtà.

Dove questi elementi da noi ignorati divengono fondamentali per cambiare il corso apparentemente lineare degli eventi.

Sono opere come quelle di Michele Rocchetta che ci pongono di fronte all’immensità e alla responsabilità delle scelte umane, alla loro forza capace di scatenare un vero e proprio effetto farfalla.

In questo scenario gli eventi non sono radicali come in Dick, ma ugualmente capaci di creare conseguenze non meno pericolose o globali della vittoria del pazzo con i baffetti.

Nell’ombra del Duce è l’operazione valchiria a vincere.

La conoscete tutti vero?

Ditemi di si…

Comunque a scanso di equivoci ve la racconto in breve.

Con il termine operazione valchiria si identifica l’attentato del 20 luglio del 1944 verso Adolf Hitler, portato avanti da alcuni politici e militari tedeschi della Wehrmacht. Ovviamente la nostra dimensione vide sfumare l’eroico atto di Claus Schenck von Stauffenberg protraendo la guerra fino, immagino lo sappiate, al settembre del 45.

Con il sommo intervento di un America che si pose come, non solo il libertador, ma il referente unico del nuovo corso politico di tanti paesi.

Fu il suo protagonismo a scatenare, poi, la reazione della Russia portandoci di filato a quella guerra fredda che tanto ha inciso sulla nostra politica.

Quale conseguenza, direte voi, avrebbe avuto la riuscita dell’operazione Valchiria?

Innanzitutto la fine della guerra, prima del previsto.

Uccidere il fulcro su cui nacque il secondo conflitto mondiale, in particolare poi all’interno della Wolfsschanze (il quartier generale del Fuher) significava eliminare del tutto l’aura di intoccabilità del nazismo.

Infatti, anche la morte cosi strana di Hitler causò la non completa dissoluzione della sua idea, che fu considerata ancora sacra e inviolabile.

Tanti furono le convinzioni dell’epoca, tanto da far nascere la convinzione che, in realtà il dittatore non si uccise davvero, ma scappò in Argentina, come tanti gerarchi, morendo di morte naturale.

Il problema della fine della seconda guerra mondiale fu proprio l’incapacità di demolirne il mito.

Diverso sarebbe stato se l’attentato avrebbe avuto successo: la dimostrazione che il mostro non era quel demone sovrannaturale, non era intoccabile e non era invincibile.

E poi un’altra conseguenza è perfettamente descritta da Rocchetta, nessuna dominazione angloamericana, e la divisione dell’Italia in due tronconi, una Repubblica dell’Alta Italia e nessun Regno del Sud.

Per i protagonisti del libro infatti, la nostra storia attuale è frutto di una autentica ucronia:

L’autore, un americano che si chiama Isaac Asimov, ipotizza che l’Operazione Valchiria non abbia avuto successo. Bernardi sorrise, – Cioè, questo Asimov, si chiede cosa sarebbe successo se l’attentato di von Stauffenberg fosse fallito? – Esattamente. – Ma è semplice: Hitler non sarebbe morto e la guerra sarebbe continuata per un pezzo. Forse per qualche anno. Alberto annuì, – Certamente. In particolare l’autore ipotizza una durata di altri sei o otto mesi, in Europa. Ma la cosa interessante è data dallo scenario immaginato per il mondo postbellico. Intanto, ipotizza che la guerra nel Pacifico sarebbe proseguita fino ai primi anni ‘50, con la completa distruzione dell’arcipelago giapponese, sotto i bombardamenti alleati. Ma la cosa singolare è che immagina l’Europa separata tra blocco Angloamericano e Sovietico. La Germania divisa in due, una parte filoamericana e una parte filosovietica. Con Berlino spaccata da un muro. – Come è successo a Tokyo nella realtà. Non ci vuole una grande fantasia! E l’Italia? – Unita. Nessuna Repubblica dell’Alta Italia e nessun Regno del Sud. Solo una Italia, alleata degli americani. – Impossibile! – Sbottò Bernardi, – L’esperienza delle lotta di liberazione non sarebbe potuta finire in cenere. E Mussolini? Alberto si irrigidì leggermente, sentendo nominare il suo ultimo obiettivo, – Mussolini? Secondo Asimov non sarebbe riuscito a fuggire e sarebbe stato ucciso da una formazione partigiana prima di attraversare il confine con la Svizzera.

Un Mussolini scappato in Svizzera che, ironicamente, prende il posto di Hitler rendendo il fascismo eterno.

E da questa intoccabilità dell’idea autoritaria ci saranno conseguenze molto interessanti, capaci di avvincere il lettore fino all’ultima pagina.

Oltre a essere un perfetto, anche commovente per la sua bellezza, esempio di ucronia, il testo ci pone davanti alcune domande: è proprio nel DNA umano il non riuscire a godere dei frutti della libertà e mettere a repentaglio ogni possibile conquista?

Con l’operazione Valchiria annientiamo il nazismo, diamo respiro all’Italia e la restituiamo agli interessi del popolo e non di politici e di altri soggetti (quelli che ancora oggi la storia rifiuta, ossia mafia e delinquenza organizzata) ma al tempo stesso, danno l’avvio a altre conseguenze che mirano a conquistare l’Italia liberata e a porre l’interesse personale al di sopra dell’ideale. E’ davvero questo l’animo umano?

C’è davvero una sorta di istinto primordiale ancestrale che ci conduce verso il disastro?

Io non ho riposte.

Però credo che la vera ucronia possa, se non fornirci certezze, mettere il nostro cervello nell’ottica giusta, dirigendosi verso l’arte del porre domande.

Perché è nel porle che esiste la vera libertà e l’unica autentica possibilità di redenzione.

Dal canto mio resto con le parole meravigliose di un libro egregio, fisse negli occhi, con il ritmo di una trama che non stanca mai ma che si legge e si rilegge. E ringrazio dio per portarmi, su questo arduo cammino verso la scoperta di piccole ma immense perle letterarie, di avermi fatto incrociare l’esperienza di Michele Rocchetta.

Adesso tocca a voi farvi abbagliare dalla sua bravura.

“Percussor. I Delitti del reame pisano” di Marco Bertoli, NEPSedizioni. A cura di Alessandra Micheli

percussor

 

Non so se tutti voi sapete che una delle mie passioni, oltre la lettura di horror e di gialli è quella per la storia.

Gli eventi cosi complessi spesso concatenati tra loro, forieri di conseguenze sociali ed economiche, mi hanno sempre affascinata.

Per me la storia segue un andamento affatto lineare, ma piuttosto una sorta di spirale che, quindi, può innalzarsi sia verso l’alto che verso il basso.

Questo comporta che in realtà accadimenti, fatti, prospettive e decisioni, si possano ripetere in modi sempre differenti all’uomo protagonista di questo viaggio, con la possibilità costante di effettuare, di volta in volta, scelte diverse.

Ecco il senso dei corsi e ricorsi storici di Gianbattista Vico.

E’ la possibilità collegata al creativo talento umano, di superare le soglie della nostra avventatezza, delle nostre ossessioni proponendo decisioni diverse capaci, quindi, di creare scenari differenti e insegnamenti difformi.

Il concetto di ricorso storico ha quindi una valenza pedagogica; è l’intento di qualche arcana energia di insegnarci a vivere, di insegnarci la strada verso la consapevolezza dei nostri talenti e di mostrare anche la parte più oscura di noi stessi nella speranza che, una volta compresa, accettata e analizzata, possa essere superata e purificata.

La storia cosi considerata, non è affatto un insieme di fatti, seppur coerenti, totalmente slegati dall’uomo; non è una provvidenza o un elezione che ci tocca e ci sfiora.

E’ piuttosto il palcoscenico laddove l’attore tenta, a volte senza speranza, di proporre una recitazione sempre più realistica, in cui possa finalmente emergere la verità dell’uomo.

E divenire quindi reale.

Fino a che non prendiamo coscienza del nostro essere protagonisti, la recita diviene artificio, illusorietà transitoria e una grottesca commedia dell’arte portata avanti da “sempliciotti”.

Da questa considerazione strana e forse “mistica” della storia ne consegue un fatto determinante per la letteratura mondiale: i corsi e ricorsi storici, ponendo di fronte sempre nuovi bivi, diventando sempre più simili a un libro game dove un dado lanciato nell’etere può decidere la nostra sorte, spiana la strada a una domanda annosa e foriera di interessanti spunti di riflessione: cosa sarebbe successo se?

La possibilità di immaginare una deviazione temporale alternativa è causata dalla concezione elastica appunto degli avvenimenti e del destino che, non è fissato con uno scalpello sulla pietra, ma è scritto da una matita che noi possiamo cancellare.

E per questo il nostro bravissimo menestrello (inizierò a chiamare ogni talento con questo nobile appellativo) elabora una realtà creata, appunto, da scelte diverse e che quindi, non è affatto alternativa, ma possibilità reale.

Due sono le linee temporali evidenziate.

La prima riguarda un contesto politico sociale diverso da quello che noi studiamo sui libri di storia: un diverso finale per la battaglia della Meloria.

Come dite?

Non la conoscete?

E cosa ci sto a fare io mio adorabile lettore?

Non solo per allietare queste fredde giornate ma, nel mio piccolo per erudirti!

La battaglia suddetta, da quel nome cosi evocativo fu una storica, nel senso di grandiosa e importante, battaglia navale che coinvolse la Repubblica di Genova e quella repubblica marinara di Pisa. Tutto avvenne nel remoto agosto del 1284 alle coste del porto pisano.

E perché è cosi storica?

Perché cotale battaglia indebolì di molto la nobile flotta pisana dando inizio, udite udite, al declino della sua potenza, durante tutto il medioevo. Questo declino non causò direttamente la decadenza della repubblica ma ne minò le fondamenta, facendo in modo che, le conseguenze più nefaste, poterono sbocciare un secolo dopo, con il fetido tradimento di un certo Giovanni Gambacorta.

Ecco che una semplice disfida dalle conseguenze non proprio brillanti, diede l’avvio a una seria di eventi decisero, in un secondo tempo, di un popolo.

E’ il cosiddetto effetto farfalla.

E questo è il primo interessante insegnamento da ricordare: anche il più picoclo, inutile, miserevole evento, può creare uragani devastanti.

E cosi Pisa, indebolita nella reputazione inizia la sua lenta decadenza che la porta nel 1406 a essere assoggettata alla potenza di Firenze.

E fin qua ci muoviamo nel terreno impervio ma conosciuto dei fatti storici.

Il nostro Bertoli però, immagina un altro sfondo foriero di ulteriori cambiamenti sociali e politici: ossia che tale famosa battaglia riusci a onorare la meraviglia di Pisa e portandola a fondare un vero e proprio reame pisano retto dalla dinastia dei della Gherardesca.

E questa dimostrazione di forza avrebbe sortito un effetto farfalla al contrario: è Pisa a assoggettare la nostra Firenze governata dai mitici Medici.

Ecco che, il reame cosi raccontato, ha l’alone della forza indomita del mito.

Cosi come la Battaglia di Lepanto fu utilizzata per fini propagandistici, cosi la battaglia della Melora unisce il reame sotto l’egida del potere navale che rende Pisa regina dei mari a scapito della sua antagonista Genova.

E sapete qual’è la conseguenza sociale di un tale sicumero orgoglio?

Che non si teme più l’ignoto.

Un regno cosi forte, che ci vanta di una superiorità militare, è pronto si a cacciare ogni insidia nemica ma quella esterna, non interna.

Un popolo assoggettato a un mito si compatta e si rivolge infuriato a chi, quel mito tanta di demolirlo.

E’ una sottile ma importante conseguenza.

Il popolo che si riconosce nella forza della bandiera, non ha bisogno di nemici interni per ricompattarsi, non si lacera internamente, ma sostiene il reame ostentando la sicurezza del vincitore. E sottomettendo le sue personali libertà in favore di tale orgoglio “nazionale”.

Un popolo che, a causa delle condizioni economiche non floride, rose dalla costante perdita di consenso e di lettiggitimatà del potere, vanno riportati all’ovile usando la formidabile arma del dissenso internmo; ogni alleanza per la rivendicazione dei diritti, è stracciata dall’idea che, un corpo pernicioso cresce nel suo interno.

Zitti tutti e palla al centro.

E’ la spavalderia che permette al nostro regno di non demonizzare per nulla le forza arcane, ma anzi a usarle a proprio vantaggio.

Pisa o meglio il nostro reame pisano non disdegna per nulla la magia. Anzi assoggetta anch’essa in nome della conservazione di questo stato forte, sicuro e concentrato sulla meta: risplendere nella sua fulgida bellezza.

Ora, mi direte voi virgulti curiosi, ma la magia nel seicento era bollata come eretica!

Si e no.

Caria adorabili miei lettori, la verità è che, nel contesto del cattolicesimo, persino della controriforma furono due la concezioni della magia: una approvata dalla chiesa e messa al servizio dell’onnipotente, e una rifiutata come satanica.

E ovviamente la definizione di alta e bassa magia, dipendeva da un solo incredibile fatto: il ceto sociale.

La chiesa, infatti, durante tutto il 500 e il 600 si interessò di magia.

O meglio si interessarono le alte personalità di intellettuali cattolici, i nobili e le gerarchie ecclesiastiche di alta magia, contrapposta a quella popolare e dei settori considerati inferiori.

Un esempio?

Athanasius Kircher. Un gesuita.

Michelangelo Lanci. Diacono e prete.

Alessandro VII. Papa.

Giordano Bruno (nonostante la sua pessima fine) fu un domenicano.

Nonostante taluni veti sulla conoscenza (come si dimostra nella storia di Bruno) lo studio dell’ars proibita era accettata dai vertici del vaticano purchè restasse entro le rassicuranti mura delle sua dottrina, che essa non fosse diffusa a tutti, e non fosse usata come riconsiderazione dei ruoli sociali e come contestazione della stratificazione sociale.

Quindi restasse soltanto un mero diletto intellettuale.

Qualora lo studio esoterico potesse essere considerato mezzo per contestare la gerarchia sociale ( si pensi allo gnosticismo che demoliva l’idea di infallibilità papale e metteva in discussione il ruolo della confessione), beh allora doveva esser taciuta.

Pertanto, l’idea che la magia fosse accettata, non è affatto una fantasia. Solo che era tollerata dentro le mura del regno vaticano.

Trasportare tale regno, florido, sicuro, unito, compatto nel reame pisano è il solo unico volo pindarico di Bertoli.

Un regno che non temeva nulla poiché aveva dato prova e sfoggio della sua potenza.

E che però viene costantemente mincciato da cospirazioni, vendette, odi e tentativi di rovesciamento regio.

Ovviamente la ribellione era confinata nei ristretti lidi dei ceti alti.

Mai, mai dalla popolazione, sempre, sempre arrivata dall’elite al potere. Che un giorno si svegliava bella convinta di dover cambiare le carte del gioco.

Apparentemente.

O meglio cambiare il suonatore. Mai la musica.

Ecco che Percurssor inizia questa sua narrazione, raccontando, in fondo, ciò che ancora succede oggi: cambi di poltrone, omicidi di stato, duelli tra fazioni,, tutto a scapito dello spettatore medio.

Che anzi è marionetta nelle mani del potente.

Precurssor diviene, quindi, più di un libro di semplice evasione: è una narrazione romanzata sull’essenza della conoscenza storia, ossia la teoria dei ricorsi storici e narrazione del contrasto eterno tra potenti che litigano, che ci combattono, osservati da una popolazione che li osserva ma che resta sempre relegata agli angoli.

E sono contrasti osservati come fenomeni arcani, con riverenza, curiosità e meraviglia ma consci che sono troppo lontani da un vivere quotidiano abbellito da stenti e tentativi di sopravvivenza.

Il popolino è il pubblico che assiste allo spettacolo, capace di fissare il dito e mai la luna che lo stesso indica.

I miei complimenti a Bertoli per aver creato non solo una perfetta ucronia, ma anche per aver colto perfettamente quel senso si sconfitta di un popolo reso, costantemente e volontariamente, una massa disperata, che emerge lieve dal dal forte grido, tra le pieghe di un romanzo indimenticabile.


“Sumer” di Anita Boriello, Brigantia edizioni. A cura di Micheli Alessandra

 

La prima fase importante nella stesura di una recensione dal taglio professionale (vi svelo uno dei miei segreti) è cercare di comprendere e successivamente spiegare perché il lettore medio estraneo e ostile a certi generi letterari, dovrebbe osare una loro lettura.  Bisogna interessarlo e fargli comprendere come possa trarre diletto, giovamento, emozione nell’accostarsi a un tipo di libro che, nella sua normale esistenza, ignorerebbe del tutto.

Trattandosi, all’apparenza, di un libro di stampo fantascientifico sarà mio onore organizzare il solito, noioso forse, soliloquio, inserito narcisticamente, a disposizione vostra per tentare l’ardua impresa di intrigare le menti giovani, meno giovani e più o meno fertili per instillarne un dubbio amletico: e se invece fosse la lettura adatta a me?

Pertanto, stavolta procederò in un modo forse diverso rispetto alle altre recensioni focalizzando il mio scritto non tanto sullo stile sulla coerenza o sulla trama ma sulla natura stessa di romanzo: la sua capacità o meno di comunicare e veicolare significati.

Tutti oramai sapete cosa significa scrivere; significa instaurare tra lo scrittore e il lettore una vera e propria comunicazione, con tutte le caratteristiche che ne consegue, messaggio ricevente, codice e persino le distorsioni derivate dalla formazione culturale reciproca (dalla presenza o meno di un’ottusità congenita) pertanto un libro, qualsiasi libro, dal più banale al più “colto” rappresentano dei veri e propri agenti secondari di socializzazione. Un piccolo excursus semantico: la socializzazione non è altro che un concetto, preso a prestito dalla sociologia atto a distinguere un individuo inserito in una precisa società umana, con tanto di ruoli, di impegni e di tutto quel corredo di comportamenti che definiscono una persona adulta. Questo lo contraddistingue dal deviante ossia l’elemento che non si inserisce in una precisa compagine sociale ma ne rappresenta il perturbatore. Non che sia una grossa offesa.

Secondari perché arrivano dopo la famiglia, e sono rappresentati dalla scuola e dai mass media. E persino, oddio tenetevi forte, dai libri. Così il libro che oggi leggete, che sia Volo, la James o Pirandello (sono stata troppo ottimista vero) vi porteranno a assorbire in modo inconscio i valori comportamentali di una data cultura in un dato periodo storico. il problema semmai nasce su che tipo di socializzazione il testo propone, se quella ortodossa, se innovativa o addirittura eretica.

Ogni libro sceglie, persino il tipo di donna che la società richiede, il tipo di corteggiamento e persino il tipo di rapporto sentimentale che si adatta e adegua alla nostra simpatica era.  in pratica sceglie da che parte stare.

Pertanto, tornando al libro di Anita, che ripeto sotto la patina di storia perfettamente fantascientifica, con un tocco di rosa che non taglia di netto l’azione ma la sviluppa, con una giusta dose di ironia per la caratterizzazione quasi buffa della protagonista (che ricorda a tratti Elizabeth Bennet e persino la Becky della nostra Kinsella) nasconde un altro, fondamentale scopo: una precisa impostazione culturale. Pertanto, a prescindere dallo stile, che definisco raffinato ma non semplice, graffiante e sfaccettato (in parole povere perfetto) andrà analizzato il significato profondo del testo, il suo corpus teorico, le sue critiche sferzanti e la rivalutazione profonda della storia e pertanto della nostra attuale società umana.

Premetto. Nel romanzo di Anita c’è molto da studiare io ne evidenzierò soltanto alcune parti.  ma in questo libro ci fanno l’occhiolino autori quasi dimenticati (e da me amati alla follia) autori coraggiosi dal carisma dirompente. Ci sono concetti della fisica quantistica, portati avanti da uno dei geni, anch’esso dimenticato, del nostro diciannovesimo secolo (che memoria fallace hai tu uomo!) come Tesla, che per fortuna rivive in quella letteratura di nicchi che è lo steampunk. Occhieggia Verne con un sorrido sornione, e soprattutto, si erge con tutta la sua dirompente forza una serrata, feroce critica non alla società ma alla mentalità agghiacciante a volte che ha reso l’uomo convinto dell’esistenza di culture di serie B e di serie A.  Concetto che si è cristallizzato in America nel orrido concetto WASP. Leggendo il libro con attenzione, forse questa tronfia sicurezza scadrà un poco, e se accadrà sarà la vera vittoria del libro.

E inizierò il mio oscuro viaggio proprio da quella critica. Ma prima permettetemi di spiegarvi, in breve senza spoiler di cosa parla il libro. Clara, una giovane studentessa innamorata dell’archeologia, si trova a doversi scontrare con l’ortodossia accademica a proposito delle teorie sull’origine di una delle civiltà più importanti, per noi e per il mondo intero I Sumeri. A loro dobbiamo la nostra attuale bibbia, l’origine dell’ebraismo e successivamente di quel cristianesimo che, addirittura l’Europa, ha posto come base e requisito di un’appartenenza comune. Clara è il simbolo di una visione eretica della scienza, di una tendenza nata con gli anni cinquanta, a voler contrastare gli assunti rigidi e granitici del mondo accademico che vedono il progresso evolutivo dell’uomo secondo uno schema preciso, prevedibile, ereditato da Charles Darwin: all’inizio c’è un uomo primitivo in ogni sua fase, fino a perfezionarsi in quello che viene definito la specie sapiens. Che questa ricostruzione sia fallace e pecchi di varie mancanze, tra cui un anello di congiunzione che leghi l’uomo primitivo a quello moderno sono lievi dettagli. Ma si ignoriamoli, del resto spesso la scienza ha questo peccato capitale: l’ignavia.

Clara, curiosa e dalla mente fervida non si accontenta di accantonare le domande scomode o i ritrovamenti bizzarri (descritti dal libro di Michael Cremo Archeologia proibita in cui sono elencati i famosi OOPArt (acronimo derivato dall’inglese Out Of Place ARTifacts, “manufatti, reperti fuori posto”) ma nella sua tesi propone una rivisitazione di una teoria nata negli anni sessanta e settanta (ma la cui origine reale si può far risalire agli anni 50 con l’avvento di un interesse acceso per l’ufologia) chiamata “teoria degli antichi astronauti” o del “paleocontatto”. Questo suo coraggio scatena le reazioni, indignate di un professore, il perfido assistente rappresentante perfetto di un ceto di parrucconi accademici saldi e fieri delle posizioni intransigenti. Atteggiamento poco scientifico che tende non ad adattare le teorie alle scoperte, ma piuttosto le scoperte alle teorie accantonando le prove qualora rappresentino un ostacolo insormontabile. E’ in quel frangente in cui sta lottando per difendere le sue idee che accade l’evento fulcro del libro: si trova catapultata nel passato, nella Uruk antica a contatto con quelle divinità su cui ha elaborato una tesi molto particolare.

E qua entra di prepotenza il riferimento a saggi (li definisco con orgoglio saggi) di Erik Von Daniken, di Zecharia Stichin e di Peter Kolosimo. A cui si sono aggiunti Mauro Biglino, Mario Pincherle, Lawrence Gardner. Cos’ha di tanto eccezionale l’ipotesi di Clara?

Sorrido. Tutto ragazzi miei. E’ una teoria apparentemente semplice che ha la forza detonatrice di una bomba. Leggete attentamente. Questi studiosi hanno ipotizzato che, noi la grande civiltà umana, di cui siamo cisi orgogliosi per scoperte e progresso è il frutto…di un esperimento genetico portato avanti da visitatori alieni. Proprio cosi. Secondo Sitchin, antiche visite aliene furono le responsabili di un intervento diretto allo sviluppo della civiltà e della specie umana attraverso strani innesti di DNA.  La conseguenza diretta di questa scuola di pensiero (che ho ovviamente sintetizzato) porta alla parziale smentita della teoria darwiniana che presuppone un’evoluzione o uno sviluppo graduale dell’umanità stravolgendola a tal punto da presupporre che dal neolitico alcune civiltà compirono un impossibile balzo, improvviso in avanti grazie a questo intervento GENETICO di entità extraterrestri che erroneamente i nostri progenitori rappresentarono come angeli, divinità, semi dei e spiriti. Un esempio ne sono gli annunanki o anunna come descritti dalla Boriello. Ecco spiegato il balzo dei sumeri, degli egizi e persino dei Maya che però, lasciarono indizi interessanti e sconvolgenti nella reppres4ntazone artistica, nell’architettura e sostanzialmente nei miti.

Pensiamo al famoso sarcofago di Pakal re semidivino presente nel tempio delle iscrizioni di Palenque che secondo alcuni rappresenterebbe una navicella spaziale stilizzata (e neanche tanto). Si pensi alla misteriose arti ruperstri della Valcamonica che sembrano suggerire tute spaziali. Oppure alla misteriose navicelle citate dal Ramayana ( il poema indiano) chiamate Vimana. E perché non citare la nostra Bibbia? Ezechiele e la sua visione del carro di fuoco. E anche l’epopea di Gilagmesh con il furto dei poteri Me (conoscenze di alta tecnologia) un furto citato anche nel libro di Enoch.

E vogliamo parlare della semantica? Oltre alla difficoltà e all’impronunciabilità dei nomi propri sumeri, è interessante indicare l’etimologia della parola Annunaki che significa i cielo che venne sulla terra. oppure il termine con cui si indicava la sposa di Enki ( un dio antipatico spesso associato con l’odioso, mi perdoneranno i fedeli, Jahve il dio geloso, diverso dal dolce Enlil più simile all’Elohim di Johsua/ Gesù) Ninhursag chiamata la signora della vita ( è facile ravvisare un identificazione tra vita- culla della civiltà-brodo primordiale- principio di generazione- DNA). E chev dire della parola Adamo?  Che secondo l’Enuma Elish fu creato con il sangue di Kingu unito con l’argilla? Il termine usato dai sumeri era però, Lullu ossia colui che è stato mescolato, e Eden significa Camera della creazione (tema ripreso dai testi gnostici di Nag Hammadi con il significato di camera nuziale). E cosa dire della tavoletta dell’epopea di Atra –hasis dove si narra che dopo il diluvio, furono creati 14 esseri umani. Pur essendo ridotta in frammenti ( gran parte del testo è andato, dunque perduto)  resta sempre la descrizione della modalità con cui la Dea Ninhursag si servì di sette uteri dopo aver preparato 14 mucchietti di argilla sui quali Enki aveva ripetutamente pronunciato il suo “incantesimo” . In un passaggio viene descritta l’apertura dell’ombelico  e gli uteri chiamati le creatrici del destino!

Tutto questo è descritto nel libro di Anita? Si. Ma dovete leggerlo per capire la portata ontologia della sua narrazione.

Questo significa che la nostra idea di superiorità, di processo ne esce leggermente ammaccata.

Di drammi nell’uomo ne ho trovati tanti ma il peggiore che va a braccetto della finalità coscienza è la convinzione di una superiorità vera o presunta. Allora mi chiedo e se lo chiede anche la nostra autrice, cosa accadrebbe se, in realtà, tutta la nostra tronfia condizione derivata dal concetto darwiniano, fosse soltanto una bufala creata per rendere tronfi e impettiti i nostri accademici? se

Se invece di avere una storia lineare, ben costruita e dettata dalla logica avessimo un enorme buco nero, un mistero che si riempie di annose domande?

Questo ci porrebbe si in crisi, ma in una crisi capace di rivalutare il nostro atteggiamento nei confronti dell’altro, togliendo, forse l’impasse di una tolleranza fittizia che nasconde soltanto un agguerrito e presuntuoso senso di superiorità verso l’altro. Inferiori e superiori, razza dominante e razza sottomessa, tutte quelle amabili storielle che sono balsamo per l’ego di:

quanti personaggi della storia erano stati protagonisti di crimini contro l’umanità?

 

E cito i sostenitori della razza Ariana, di una perfezione umana che, forse, non è che un dono elargito da menti superiori.

Fin qua direte voi non si tratta propriamente di fantascienza. C’è anche quella per voi amanti di Star Trek e si ritrova in un curioso trafiletto:

il campo è formato da miliardi di naniti minuscoli e quasi invisibili a occhio nudo.

naniti? …….. hanno perfezionato il codice delle nano macchine che utilizziamo per le nostre navi.. Tanti piccoli naniti che creano una sorta di campo attorno al nostro corpo…erano tanti puntini minuscoli che si muovevano rapidissimi

 

Misteriosi alleati degli Anunnaki (alieni) i naniti: che ricordano, non troppo da lontano, la descrizione degli organiti dello steampunk  “The Girl in the Steel Corset” di  Kady Cross:

Quando strinse il bulbo, una leggera condensa fu spruzzata dal serbatoio di vetro attraverso la siringa sulla pelle lacerata. La condensa era fatta di materia vivificante che i genitori di Griff avevano trovato nel nucleo della Terra – creature minuscole che potevano imitare il comportamento cellulare del corpo. Gli organiti – o “bestioline” come le chiamava Emily – si attaccavano ai tessuti umani e ne copiavano la composizione e quindi, se applicati alla ferita, la guarivano ricostruendo la carne. L’esistenza degli organiti era qualcosa che Griff teneva per sé. Quando i suoi genitori li avevano scoperti, la regina non aveva voluto saperne. Le piaceva il minerale che il nonno di Griff aveva estratto – una sostanza straordinaria prodotta dagli organiti e capace di generare energia tale da alimentare qualunque macchina o una casa intera – ma tutto il resto rischiava di dimostrare la correttezza delle radicali teorie di Darwin. E quindi aveva ordinato che gli organiti venissero distrutti, o almeno riportati nel nucleo terrestre. conservarono un gruppetto di quegli esseri primordiali. Gli organiti si svilupparono in una piccola cripta simile a una grotta sotto la loro dimora, moltiplicandosi e producendo la fantastica sostanza blu-verde

 

E qua ci sta l’impronta di Nikola Tesla. E vi prego non ditemi che non lo conoscete.

Tesla oltre a essere il punto focale assieme a Babbage per tutta la narrativa fantascientifica o steampunk a partire da Verne nel suo “Viaggio al centro della terra”, fu anche il precursore e il più grande genio che il XIX secolo avesse mai conosciuto. Tesla gettò le basi alla fisica quantistica, ipotizzando le onde elettromagnetiche di distorsione spazio-temporale e studiò le procedure necessarie a controllare tali energie. Le sue ricerche lo portano a ideare un muro di luce (lo scudo protettivo raccontato dalla Boriello) grazie alla manipolazione di onde elettromagnetiche, in grado di alterare spazio, gravità e materia. Progetti che alla sua epoca erano pura fantascienza. Tesla ipotizzò come le forze elettriche e magnetiche potessero distorcere, o addirittura modificare, il tempo e lo spazio e studiò procedure con le quali controllare tali energie. E verso la fine della vita rimase affascinato dalla teoria secondo cui la luce è formata sia da particelle elementari sia da onde elettromagnetiche, postulato fondamentale della fisica quantistica, tanto da fargli presupporre una loro possibile manipolazione.  Nanotecnologia ante litteram?

Altro interessante dato: Tesla è conosciuto anche per l’invenzione di uno speciale trasmettitore chiamato “Teslascopio”, progettato con l’intenzione di inviare segnali in grado di “comunicare” con forme di vita extraterrestri di altri pianeti. Lo stesso Tesla affermava di aver rilevato in almeno un occasione un segnale alieno. Forse gli Annunaki tentano di dirci qualcosa? Sumer è davvero soltanto un libro romanzato? o forse davvero contiene concetti espulsivi in grado di riscrivere la storia dell’umanità?

Un ultimo dato che vi spinga a prendere e venerare questo libro: la critica alla società patriarcale. Clara a Uruk assiste a una delle cerimonie più spirituali che l’inno a Inanna ci ha lasciato: lo hierogamos

Ianna distese il lenzuolo nuziale sul talamo.
Ella chiamò il re:
“Il talamo è pronto!”
Ella chiamò lo sposo:
“Il talamo ci attende!”

Egli pose la sua mano nella sua mano.
Egli pose la sua mano sul suo cuore.
Dolce è dormire con la mano nella mano.
Ancora più dolce è dormire cuore a cuore.

Inanna parlò:
“Mi sono lavata per il toro selvaggio,
Mi sono lavata per il pastore Dumuzi,
Ho unto i fianchi di unguento profumato,
Ho spalmato ambra dal dolce profumo sulle labbra,
Ho colorato gli occhi con bristo.

Egli ha fatto scorrere le sue belle mani sui miei fianchi,
Il pastore Dumuzi mi ha inondato il grembo di panna e di latte,
Mi ha accarezzato il pelo del pube,
Ha innaffiato il mio grembo.
Ha posto la sua mano sulla mia sacra vulva,
Ha lisciato la mia nera nave con la sua panna,
Ha svegliato la mia agile nave con il suo latte,
Sul letto mi ha carezzato.
Ora sul letto io carezzerò il mio alto sacerdote,
Carezzerò il fido pastore Dumuzi,
Carezzerò i suoi lombi, pastorizia del paese,
E decreterò per lui un dolce fato.”

….. Ninshubur, la fida serva del sacro tempio di Uruk,
Condusse Dumuzi ai dolci fianchi di Inanna e parlò:
“Mia Regina, ecco l’eletto del tuo cuore,
Il re, tuo amato sposo.
Possa egli trascorrere lunghi giorni nella dolcezza dei tuoi sacri lombi

Come poter rimanere impassibili davanti a cotanta bellezza, questa gioiosa sensualità un inno alla vita, all’amore?

Semplice. Si è refrattari a questo inno soltanto se, si è vittime di una società strana che demonizzando il sesso ci instilla il senso di colpa per una lontana mela:

nella mia mente plasmata da millenni di sensi di colpa sul argomento (sesso ndr) per una stramaledetta mela rubatami proibiva di ammirare il lato spirituale della prostituzione sacra. Anche se sapevo che l’atto in sé fosse stato demonizzato per sminuire la figura della donna che aveva un ruolo fondamentale nel paganesimo, propri non ce la facevo ad appoggiarlo in pieno. Nella mia epoca le ierodule, le prostitute che si donavano volontariamente al tempio sarebbero state considerate delle ninfomani malate e mandate da uno strizzacervelli per estirpare il male che tentava le loro anime”

E quest’atteggiamento del pensiero che ha dato vita alla figura del vampiro, tanto amata e osteggiata da chi con il corpo ha un problema serio. E’ questo che rende oggi l’erotico come genere prediletto seppur condannato all’apparenza, ma che soddisfa quel lato che stiamo torturando a furia di disconoscerlo. Forse soltanto recuperando:

“quella femminilità più vitale e ricca di energia una vera e prorpia orgia dei sensi…quelle donne stavano rendendo percepibile a tutti gli astanti, la forza generatrice dell’intero cosmo”

Recuperare quella forza sarebbe un inno concreto ai doni della Dea (aliena) Inanna.

Fossi in voi oserei una lettura approfondita, essendo coscienti che forse davvero gli Anunna o gli Annunaki tentando di dirci qualcosa. O forse di ricordarci semplicemente da dove veniamo: dalle stelle. Sogno o realtà? io continuo a ritenere l’uomo qualcosa di così meraviglioso e complesso che sono tentata di rivolgermi al cielo nella speranza di individuare un segno.