“Skorpio baby rose” di Sergio L. Duma, Saga Edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Le nuove generazioni si sono persi dei capolavori non solo musicali ma anche televisivi.

Sono pertanto refrattari alla bellezza dell’oscurità quella che dai diamanti non fa nascere nulla anzi il diamante non è che una nostra illusione e spesso certe perfezioni non sono altro:

È come un sasso. Lo sollevi e vedi che il terreno pullula di vermi…

Eh si voi giovani di oggi vi siete persi una serie che a noi, soprattutto a me, cambiò la vita, portando allo scoperto quei “vermi” che non volevamo proprio vedere.

Ci piaceva la perfezione dei nostri favolosi anni ottanta e novanta, l’idilliaca facciata, quella deliziosa maschera usata per nascondere orrore e ipocrisia.

Voi vi siete persi I segreti di Twin Peaks creata dal visionario genio di David Lynch.

I segreti di Twin Peaks fu una serie ideata da David Lynch e Marc Frost ambientata nella fittizia cittadina montana di Twin Peaks, nello stato di Washington, a cinque miglia dal confine tra Stati Uniti e Canada.

Una zona di confine non solo geografico ma soprattutto morale ed etico.

L’apparente serenità anche leggermente noiosa è turbata da un efferato omicidio, della giovane e popolare studentessa Laura Palmer.

Figlia unica di un noto avvocato, bellissima e apparentemente rispettata, la sua morte causa un vero shock che rompe quel silenzio omertoso che tendeva a nascondere la scabrosità nell’apparenza di un paese probo e borghese.

Ed è un agente dell’FBI Dale Cooper, intrepretato da uno spettacolare Kyle MacLachlan che si impegna a far affiorare il lato oscuro del luogo e dei suoi sonnacchiosi e deviati abitanti.

Cosa rese questa serie un fenomeno di culto?

Oltre al genio indiscusso di David che con pochi mezzi, senza effetti hollywoodiani riesce a creare ansia, angoscia e inquietudine, soltanto con inquadrature e grazie a una recitazione che è ormai un lontano ricordo, fu il suo rimestare nel fango, indossando i panni di una volontà etica di tirare finalmente fuori la verità dall’ipocrisia “Borghese” mescolandola con il surrealismo di stampo kafkiano condito con una generosa dote di umorismo macabro.

Tutto condito con leggeri accenni di sovrannaturale e grottesco che non sarebbe sfigurato di fronte a un racconto di Edgar Allan Poe.

Fu un impatto devastante, vedere come dietro la facciata di perbenismo si celi spesso una malattia latente, spesso identificata con il male e con la perversione a esso collegata e che più o meno affascina ogni uomo, e sottolineo ogni uomo.

E’ il dramma della scelta che ogni giorno ci troviamo a dover affrontare se volgere lo sguardo all’abisso o permettere che l’abisso guardi noi.

Perché vi parlo di Twin Peaks?

Perché il genio di Duma lo celebra in questo libro, riuscendo (impresa quasi impossibile) a superarlo e coloralo delle nostre moderne inquietudini.

Anzi dei nostri costanti orrori.

Uno di questi è la volontà di trasgredire, oltre ogni perdizione fino a annullare ciò che resta della propria umanità.

È emblema il male del sesso.

Oramai cosi sdoganato, cosi privato di quel lato “Magico” e “segreto” da essere soltanto un mero atto fisico, una ginnastica che seppur eseguita con perfezione e fantasia non riesce più a stuzzicare la nostra mente.

Privandolo di quel lato oserei dire esoterico e redentivo, diviene solo un bisogno primario. Ma vedete, l’uomo ha sempre bisogno di un qualcosa che attivi il pensiero e la mente, che gli faccia provare un brivido e una sorta di adrenalinica emozionalità.

E in mancanza dell’ovvio che sai fede, amore o solo passione si rivolge a ciò che conosce: la violenza. Ecco il perché le trasgressioni, oggi, divengono di ordine comune e le ritroviamo in ogni libro, in ogni film.

Piano piano, privati di quell’alone di meraviglia ci rivolgiamo alla violenza unica in grado di scuotere, qualcosa dentro di noi, che sia sofferenza, che sia dolore che sia una qualsiasi emozione che ci faccia sentire vivi.

E in Scorpio Baby rose è questo uno degli orrori che ci aspetta, l’assuefazione costante alla brutalità tanto da verla snaturata di quel suo lato malsano e restituendocela quasi purificata dalla sua devianza.

Ma che mano a mano ci lacera dentro:

Più cose scoprivo e più l’umanità moriva.

E non avevo quasi più paura. La malattia penetrava in me, sempre più profondamente.

E cosi che funziona il vero male.

Sembra innocente, sembra quasi un gioco, ma piano paino irrompe dentro di noi e ci mangia ogni speranza, ogni fede e ogni possibilità in un orribile girotondo, una giostra ghignante che si bea di quel tentativo silenzioso di negare.

Eh sì.

Perché la bella e noiosa cittadina di Lacryma alimenta con il silenzio e la complicità il suo male che si diffonde come una malattia proprio in virtù di quel non dire, fingere e negare.

E quella malattia miete vittime innocenti o meno.

Ma come ci suggerisce Duma forse nessuno è davvero innocente.

E non lo è perché nessuno se non il più bistrattato, il più misero il meno degno riesce a togliersi di dosso quelle catene e pensare un modo diverso di vivere.

Perché non è lo scoprire il segreto che ci libera.

È il rifiutare di far parte di quel segreto.

E’ l’incapacità di combattere o scendere a abbracciare l’oscurità della nostra anima.

E così il protagonista fa una scelta disastrosa:

aveva rilevato l’oscurità della sua anima e aveva deciso di non reprimerla.

Eppure il protagonista non è assolutamente solo.

Esiste una divinità primitiva, una che con le sue parole musicate lo mette in guardia, lo guida e lo protegge a suo modo, da un mondo che

il mondo era appunto un inferno dell’anima; e non c’è una via di uscita.

E non c’è via d’uscita semplicemente perché non esiste la volontà di vivere una vita diversa, perché non esiste un esempio pulito, non esiste quasi nessuno in questo libro che riesce a suggerire una strada diversa.

E allora l’unica soluzione è rinchiudersi in un universo personale, un ristretto mondo interiore chiudendo via ogni opportunità di redenzione.

Esiste solo un buio.

E noi siamo solo piccoli, miseri burattini incapaci di trovare una piccola scintilla di luce per spazzarlo via.

Sono così le ipocrisie e le maschere.

Fingi che non esistano.

Ti convinci a convivere con un’apparente perfezione.

Ma quando la vita, beffarda, divinità oscura e al tempo stesso feconda, ti offre anche se in modo brutale di scappare da questo vischioso mondo irreale, creato da un demiurgo folle e malsano, tu non puoi far altro che restare.

Perché davanti alla verità sei annichilito ma anche incapace di lasciare che il marcio sparisca perché è il marcio l’unico latte con cui sei stato nutrito.

E alla fine ti fa comodo.

Ti fa compagnia, ti permette di essere tutto ciò che vuoi senza limiti.

Ormai il marciume mi piaceva, anche se mi stava danneggiando.

Alla fine, chi è cresciuto al suono di menzogne non riesce a staccarvisi, è la malattia di chi teme ma si lascia sedurre dalle lusinghe del male.

E il male non è un’entità oscura è l’incapacità di affrontare se stessi ma di bearsi del proprio infermo e renderlo un posto comodo, sicuro e soprattutto conosciuto:

Ormai lo sapevo, dietro quelle case linde e pulite si nascondeva la malattia. Il nemico che fotteva le menti. Il nemico siamo noi,

Ecco la vera bellezza di Scopio Baby Rose, cosi come di Twink Peaks.

Il male non è un demone cornuto. Non è una qualche presenza oscura.

Il vero unico male siamo e saremo sempre noi stessi. siamo noi a ferirci, siamo noi con i nostri miseri desideri di rivincita, con quelle ferite interiori, quei mondi dell’anima devastati che accettiamo di esibirli come trofei e non come menomazioni.

Siamo noi che desideriamo sempre il sollievo a mai la cura.

Siamo noi a alimentare le perversioni perché incapaci alla fine di accettarci per quello che siamo, di accettare la bellezza dell’imperfezione, della semplicità.

Noi alla ricerca dell’acme di ogni emozione, noi che deturpano le emozioni più belle in cerca sempre di chissà cosa.

E che non facciamo altro che voltare rabbiosi le spalle alla vita cercando di fregarla.

Senza renderci conto che la vita non si fa beffare e alla fine il conto, salato o meno, ce lo presenta sempre.

E pretende il pagamento.

Portami via con te, Scorpio Baby Rose, lontano dalle brutture, dalla realtà orribile di una malattia.

Ma questo pagamento lungi dall’essere una condanna diviene una liberazione, alla fine questo brutto mondo non è che illusione.

E solo attraversandolo, forse, le anime bloccate in una perenne spirale di distruzione possono liberarsi. Ecco che il finale di un testo crudo e duro diviene straordinariamente poetico, di una delicatezza eccelsa che lo avvicina ai meravigliosi racconti gnostici ricordandoci che nonostante il nostro atroce amore per il buio, alla fine abbracciare la luce è la nostra unica salvezza, che sia la consapevolezza o la scelta di chi riesce a dire no all’abisso, o semplicemente una pace infinita:

Una luce abbagliante e calda che mi fa stare bene. E che distrugge ogni cosa orribile, ogni sentimento negativo.

Un libro intenso che è di una bellezza abbagliante.

Che non esito a definire un capolavoro assoluto del realismo magico.