“Meno dodici all’Apocalisse”, racconti distopici, Emanuele Fusco, Diana Edizioni. A cura di Barbara Anderson.

Ma quanto è bella questa cover? 

Lo so, lo so mi lascio incantare da alcune cover dei romanzi che leggo ma è perché sono una persona che ama vedere le storie e le parole anche attraverso le immagini…

Il mondo racchiuso in una clessidra con un’esplosione di energia mi risucchia in un vortice di follia.

Se i romanzi utilizzassero un richiamo per i lettori posso garantirvi che nel mio caso lo farebbero attraverso le loro cover.

Sì lo so lo so non si giudica un romanzo dalla copertina ma non negatelo, ciò che colpisce l’occhio è sempre quella.

Anche perché se il romanzo non lo leggo o non ne leggo la sinossi che altro modo avrei per potermi avvicinare a quel testo?

Gli occhi sono lo specchio dell’anima e i libri cercano a modo loro di penetrare dentro attraverso lo sguardo. 

La luce riflessa filtra e proietta immagini che vengono poi elaborate dal nostro cervello.

Alcune cose ci piacciono, altre no, altre ci attraggono, altre ci incuriosiscono, altre ci spaventano magari in qualsiasi modo sia di fatto il loro impatto sulla nostra mente. 

Ciò che ci colpisce lo fa nel bene o nel male e ci afferra, cattura il nostro interesse o lo allontana. 

Quindi eccomi qui, catturatae intrappolata nella clessidra della nostra esistenza.

Emanuele Fusco e i suoi meno 12 all’Apocalisse.

Ma meno 12 cosa? 

Meno 12 giorni?

Meno 12 ore?

Meno 12 mesi?

Meno 12 anni? Meno 12 secoli?

No.

Meno 12 racconti!

Con un approccio davvero leggero, Fusco ci mette davanti, sbattendoci in faccia senza troppi complimenti, la realtà che stiamo vivendo.

Non fa sconti a nessuno, non si trattiene, non si contiene, ce ne parla, ne descrive gli eventi scartandoli come se fossero un regalo di Natale anticipato.

12 racconti distopici, con la descrizione e la rappresentazione schietta di una realtà immaginaria del futuro, immaginaria, maprevedibilein base alle tendenze del presente, in base a quello che possiamo osservare tutti: un presente che sta tendendo verso un futuro negativo, disperato, catastrofico.

Attraverso la distopia si immagina un’esperienza di vita spaventosa.

Una società ipotetica in un mondo futuristico con condizioni socio politiche opprimenti, che avvengono in concomitanza a condizioni climatiche, ambientali, politiche, tecnologiche pericolose.

Inutile negarlo e inutile fingere di non vedere ciò che ci sta accadendo intorno.

Il tempo sta cambiando e i tempi stanno cambiando, la tecnologia sta avanzando a velocità supersonica, le risorse del pianeta stanno diminuendo, nonostante ci piaccia fingere che tutto vada bene, pensare che tanto non ci tocca perché in quel futuro noi non ci saremo – se la vedano i posteri – nonostante cerchiamo di minimizzare le informazioni tanto sono tutte fake news.

Con il fatto che ormai viviamo come se fossimo lobotomizzati: ciò che accade nel mondo non ci tocca.

Siamo assuefatti dalle notizie di cambiamenti climatici, il cibo che scarseggia, l’economia che va a rotoli, la tecnologia che sta prendendo il posto delle persone in vari ambienti lavorativi.

Ma sì, che cosa importa? Io ho ancora il lavoro, ho la casa, ho la macchina, vado in vacanza… Greta, la ragazza che urla ai governi di cambiare perché il cambiamento climatico sta già facendo i suoi danni all’ecosistema ci fa sorridere, è quasi buffa.

Ma buffi siamo noi che ci sta crollando il mondo addosso e abbiamo la presunzione di pensare di scansarci come se così ci eviteremo la caduta.

Leggiamo questi racconti sorridenti per quanto le situazioni rappresentate sembrano così estreme, così assurde ma lo sono poi realmente assurde?

Soffermiamoci a ogni racconto dove ciò che sta prendendo il controllo delle piante non sono poi di fatto i governi, l’élite dei complottisti, ma è il pianeta stesso che sta decidendo il corso del nostro futuro basandosi sulle nostre azioni.

Siamo in tempo per cambiare le cose?

Eh sì perché la vera rivoluzione non sta nelle urla, nelle bombe lanciate per protesta, la vera rivoluzione sta nel cambiamento e che vogliamo accettarlo o meno, comprenderlo o meno, ammetterlo o negarlo il futuro lo stiamo vivendo già adesso. 

Siamo già entrati dentro la clessidra del tempo in cui il pianeta è rinchiuso.

I granelli di sabbia scendono velocemente, più veloci di quanto possiamo immaginare e tutto scorre, tutto si sta modificando, sembra quasi che il nostro pianeta sia entrato nella modalità autodistruzione

Il conto alla rovescia è iniziato, mancano meno 12 alla detonazione del meccanismo che ci riporterà al livello del big bang. Il resettaggio totale.

La nostra esistenza è basata sull’economia, il lavoro, il consumismo, vogliamo vivere più a lungo mentre aleggiano su noi i problemi: le risorse scarseggiano, bisogna ridurre i consumi, minimizzare le nascite, ridurre la popolazione mondiale.

Vogliamo vivere a lungo, privandoci di vivere davvero la nostra vita.

Tra le biotecnologie, gli studi sulla longevità, tra la gerontocrazia: governo oligarchico di anziani, la detenzione del potere da parte di anziani (basta pensare all’età del presidente degli Stati Uniti d’America).

Gli equilibri ambientali climatici, politici e sociali si stanno rompendo, finché tutto si decide al solo scopo di accumulare denaro andrà a finire che alcuni avranno tantissimi soldi ma nessun pianeta su cui poter godere dei benefici.

La ricchezza che abbiamo e che ha più valore assoluto è il nostro tempo, il nostro pianeta e la nostra vita.

La resilienza dell’essere umano è straordinaria ma quella del pianeta che non ne può veramente più?

I 12 racconti che leggerete vi mostreranno le foto scattate da una polaroid..

Potranno sembrarvi originali, esagerate, catastrofiche ed estreme ma fermatevi un attimo e guardatevi bene intorno, riuscite a vedere ciò che sta accadendo a ognuno di noi?

Gelosia, egocentrismo, arrivismo, lotta al potere, menefreghismo, le catastrofi del pianeta ci danno l’opportunità di evidenziare la nostra vera natura.

Siamo capaci di fare cose straordinariamente belle ma anche cose eccezionalmente terribili.

Un giorno però si aprirà quel portale, quell’ologramma ci mostrerà qualcosa di straordinario, l’apertura di un buco nero che attraverseremo senza più possibilità di tornare indietro e come dice Fusco in uno dei suoi racconti: e saremo tutti bellissimi… per ora siamo tutti spacciati.

Ricordate la frase: meglio un giorno da leone che cento da pecora?

Ecco io mi accontenterei di 12 giorni da essere umano, libero dal male, dalla rabbia, dal rancore, libero dagli obblighi sociali ed economici, libero di vivere e di godermi il posto più bello dell’universo che è il pianeta terra.

Voi siete liberi di leggere questa raccolta di racconti che vi aprirà gli occhi su ciò che non accadrà nel prossimo futuro ma che sta già accadendo ora nel cuore del presente che stiano vivendo.

Review party “La cattedrale di Sabbia” di Leonardo Patrignani, Mondadori. A cura di Alessandra Micheli

Puoi fidarti dei tuoi ricordi?

Risuona questa frase come una nenia antica per tutto il libro.

Un mondo futurista, a tratti distopico a tratti utopico laddove il genio umano ha iniziato a scardinare ogni lucchetto della vita

Persino quel DNA misterico che creava malattie spaventose.

E allora il passo per invadere la nostra mente più segreta è davvero breve. Penetrare nei ricordi e viverli, manipolarli, regalarli al mondo.

Giocarci.

E senza un vero perché ma con la boria dell’arroganza occidentale.

Possiamo fidarci dei nostri ricordi?

Se quella porta segreta può essere violata, se il nostro cassetto può essere smistato, a volte senza riguardo.

Senza rispetto.

Senza un minimo di sussiego e di pudore.

Possiamo davvero fidarci dei nostri ricordi?

E allora un grido eruppe dentro di me.

Ma davvero è necessario fidarsi di un attendibilità che non fa e non può far parte del nostro mondo materiale?

Dove tutto in fondo discende da una percezione, da sensazioni private, da elaborazioni spirituali di impulsi fisici?

Tutto il libro in fondo è un costante grido di indignazione.

Perché il prezzo da pagare per essere quasi immortali è troppo.

Troppo pesante da pagare.

Ci etichettano, spronano a dare sempre ogni emozione in pasto al pubblico.

Mangiano ogni sentimento fino a renderlo evanescente e poco importante.

Fino a togliere persino il dolore dal guscio protettivo di un pudore che diventa soltanto ostacolo a questa forsennata corsa.

E cosi la cattedrale di sabbia, quell’illusione che il progresso, in fondo, resta l’unica opzione giustificabile, crolla davanti a noi.

Crolla il mito della scienza.

Crolla persino il fine giustifica i mezzi.

Lasciamo solo uomini che si sentono spaesati, senza poter più aver cura e amare i proprio ricordi.

Imperfetti, cosi come in fondo siamo imperfetti noi.

E donarli a qualcuno perché divengano solo cellule da congelare in frigo per il momento opportuno ci rende, dolorosamente, tutti burattini.

Chiusi in prigioni umide e ammuffite.

Ecco che l’intera civiltà costruita sulla volontà di essere dio diventa quello che è sabbia che offusca la vista del viandante.

Sabbia che nasconde con le sue tempeste la vista di un oasi in cui fermarsi, in cui sostare e riposare dopo un viaggio senza senso e senza speranza.

Ecco che il mondo creato da Petrignano non è poi cosi distante dal pericolo che costantemente viviamo oggi.

Noi che ci rendiamo fragili e impotenti davanti al sogno degli uomini di conoscere tutto, di lottare strenuamente contro il mistero.

Di voler rivelare ogni aspetto della mente, non tanto perché essa contiene Dio.

Ma per paura della morte, del dolore, della malattia.

Paura che il tempo poi non sia mai abbastanza, per poter raggiungere obiettivi sempre più evanescenti.

Paura che poi nonostante tutto il tempo del mondo, resteremo cosi indifesi, sbriciolati nella nostra grandezza, come cattedrali di sabbia inondate dalle feroci onde del mare.

“L’universo delle teste” di Alessandro Montuoro, Delos Digital, A cura di Barbara Anderson

SINOSSI:

Fantascienza – racconto lungo (30 pagine) – E se il concetto di caso fosse sconosciuto? Evariste Galois, il geniale matematico francese, scoprirà cosa si nasconde dietro il velo dell’impossibilità matematica.

XIX secolo, in un universo parallelo in cui ogni moneta mai lanciata ha dato sempre risultato ‘testa’. Il caso è un concetto sconosciuto. Evariste Galois, il geniale matematico francese, si ritrova incastrato nel duello che, nella nostra storia, l’avrebbe ucciso a soli 20 anni. Sopravvive contro ogni probabilità, e scopre una realtà popolata da versioni alternative di luoghi e persone che lui stesso aveva intuito solo nei suoi teoremi più deliranti.

RECENSIONE

Ben ritrovati a tutti.

Sono qui oggi per parlarvi di un altro racconto che ho appena terminato di leggere di questo autore veramente originale, poliedrico e dinamicamente interessante nell’evoluzione delle sue trame.

Premetto che questa è la mia seconda lettura di questo autore, lettura che ho iniziato con enormi aspettative, visto il successo che il suo primo racconto mi aveva suscitato. E fortunatamente non sono rimasta delusa, bensì ho ricevuto ulteriore conferma che il detto “squadra che vince non si cambia” è, nel caso di questo autore, applicabile anche a ciò che brillantemente scrive.

Inizio con precisare (oggi sono in vena di utilizzare proverbi e modi di dire) “mai giudicare un monaco dall’abito o un libro dalla sua copertina”.

Ho osservato la cover per qualche minuto prima di iniziare la lettura, perché non ne ero particolarmente attratta, mi trasmetteva un’austerità e una rigidità antica, forse datata ma quando sono andata a leggere la trama del racconto ho capito quanto questa cover fosse di fatto assolutamente perfetta.

Sarà sicuramente capitato anche a voi, dopo aver visto un film o letto un romanzo, di immaginare dei finali alternativi, chiedendovi cosa sarebbe successo se gli eventi non avessero seguito quel corso e il finale della storia o della fiction fossero stati diversi.

E qui arriva a soddisfare le nostre menti contorte e in cerca di visualizzazioni parallele e di narrative che vanno al di là delle probabilità storiche ed immaginarie; il nostro autore Alessandro Montoro.

In questo racconto si narra di un personaggio storico. Un giovanissimo matematico appena ventenne, fondatore dell’algebra astratta. Vissuto nel periodo Medievale, uno dei periodi storici a mio parere insieme al Rinascimento più bello ed interessante dal punto di vista di scoperte, innovazioni e conquiste.

Non dimentichiamoci però che qui si tratta di fantascienza, di un mondo narrativo parallelo/alternativo in cui gli eventi si svolgono in un divulgarsi matematicamente astratto e fantasioso, legandosi ad una realtà triste e crudele. Il giovane matematico morì realmente durante un duello all’ultimo sangue; ma in questo racconto, l’autore gli permette di sopravvivere, raccontandoci i momenti più emozionanti del pre duello, del duello e del dopo.

Già dalle prime righe l’autore mi porta in un meandro oscuro fatto di odori, di colori, di oscurità che si aprono ai miei occhi come se fossero illuminati da una lanterna. Ad ogni attimo, ad ogni descrizione del vissuto del giovane protagonista mi si schiudeva dinnanzi agli occhi il panorama non solo visivo di questo giovane matematico, ma anche olfattivo, psicologico ed emozionale, regalandomi una visione della storia a 360 gradi.

Montoro mi sta alimentando la passione per un genere di cui non ero molto amante, grazie alla sua abilità di scrittura così vivida, coinvolgente, vibrante che ha lo stesso effetto di un ologramma della storia che si proietta dalle pagine scritte alla mia mente e appare perfettamente nitida davanti ai miei occhi. Non esagero se vi dico che non ho letto il racconto sul mio divano ma che ero lì in quel mondo dove il concetto di casualità non è concepibilmente accettabile. Esattamente accanto al protagonista: Evariste Galois, ho sentito l’odore acre di una cittadina antica, il tremore della paura di morire, la forza della rassegnazione ad un destino infame e crudele, ho percepito la calunnia, il tradimento, ho visto un matematico scrivere le sue teorie allo stesso modo in cui un genio narrativo nello stesso istante stava scrivendo questo racconto. IO ero lì con entrambi!

Posso utilizzare un aggettivo: entusiasmante.

Non ho intenzione di perdermi nessun racconto di questo autore a cui auguro di riuscire a conquistare la narrativa italiana e anche internazionale con la sua accurata scrittura e fantastica tecnica narrativa.

Nessun dettaglio viene risparmiato a totale soddisfazione del lettore.

Siamo lieti di presentarvi una new entry che sono certa rapirà presto i vostri cuori Barbara Anderson e la sua prima recensione su les Fleurs du Mal “Saldi sull’eternità” di Alessandro Montoro

Gandhinagar, India. In un prossimo futuro, la morte non è più un mistero: la metempsicosi è una certezza ed è possibile recuperare le nuove incarnazioni dei propri cari per riaverli con sé. Ashutosh e Sayali, fratello e sorella, lavorano al recupero delle anime reincarnate in animali. L’unica anima che non hanno mai trovato è quella della loro madre, scomparsa da tempo. Un giorno, l’azienda Still Eternity lancia un’innovativa procedura che permette di sottrarsi all’infinito ciclo di reincarnazioni. Zio Baji, malato, sceglie di ricorrervi: per comprendere la sua scelta, Ash e Sayali dovranno scavare tra i segreti di famiglia e mettere a nudo un’inattesa verità…

Mi viene proposta questa lettura di un autore di cui non avevo sentito parlare ma il titolo mi aveva incuriosita così, mi sono messa alla ricerca della sinossi.

India, la morte, la reincarnazione, un azienda che propone un’alternativa sospensione della stessa.

Questi, gli ingredienti giusti per creare il cocktail ideale, che riesce a placare la mia sete, senza sapere che ne avevo assolutamente bisogno.

La morte è per tutti la chiusura e la fine, qualcosa di sconosciuto, come il principio della vita stessa. Eppure la morte ci abbraccia già dal primo momento in cui veniamo messi al mondo e ci tiene per mano per tutto il percorso della nostra esistenza.

Ci spaventa, ci terrorizza non solo per la sua inevitabilità’ ma anche per la sua inaspettata sentenza. Un po’ come una lotteria in cui c’è chi vince e c’è chi perde, ma il premio finale resta lo stesso per tutti.

Questo racconto breve di poco più di 57 pagine racchiude tutte le nostre perplessità, le nostre domande, la ricerca continua di risposte sulla nostra anima, sulla fine che, invece, potrebbe essere la continuazione di qualcosa di eterno…

Ma anche la speculazione economica intorno alla tutela, alla ricerca e alla conservazione dell’anima stessa.

Non intendo tediarvi con le mie riflessioni sul senso della vita ne tantomeno sul concetto della morte ma ci tengo a parlarvi di questo racconto scritto in maniera così rapida, intensa, ricca di dettagli, che fa anche salti temporali senza perdere il filo narrativo della storia e degli eventi che si susseguono.

Le anime dei defunti si reincarnano negli animali e le famiglie pagano delle persone per catturare questi animali e riportare lo spirito perduto di nuovo da loro, insieme ai loro cari.

L’autore ci fa sognare qualcosa di magico, perfino non così improbabile e ci fa riflettere molto sul senso della nostra esistenza.

L’ho letto quasi senza mai riprendere il respiro, immedesimandomi alternativamente nei protagonisti: due fratelli cacciatori di anime e lo zio che ha intenzione di lasciare la sua anima in sospeso.

Dopo aver letto questo testo avvincente, fluido, colorato come le spezie di un India del futuro, mi sento carica di mistica energia.

E sapete cosa penso?

Che quando arriverà la mia fine, forse preferirei fosse esattamente la fine.

Nessuna reincarnazione, nessuna ricerca esasperata del mio spirito perduto, senza nemmeno più memoria forse perché preferisco vivere il presente, con i miei affetti, con le mie emozioni, senza preoccuparmi di dover continuare ad esistere per sempre.

Per sempre è un tempo troppo lungo anche per chi come me della vita è sempre stata innamorata…

L’autore è stato così in gamba da esser riuscito ad innescare un meccanismo contorto, un ingranaggio nella mia testa per cui ho riflettuto sulla necessità che essa venga conservata in qualche gabbia o in qualche laboratorio scientifico.

Dopo aver letto questo racconto così ben scritto, pieno di profonde metafore ho deciso che voglio che la mia anima sia libera di smettere di esistere lasciandomi andare libera nel nulla cosmico.

Complimenti all’autore che in pochissime pagine è stato capace di farmi fare un viaggio così lungo da farmi perdere tra le emozioni dei protagonisti, così ben descritti che, in alcuni attimi, ho amato ed in altri che non ho compreso.

Viviamo in un mondo che va così veloce per cui ogni tanto abbiamo bisogno di autori che ci diano spunti di pensiero e saldi per l’eternità, facendo sconti anche sulla morte, rendendola forse un po’ più magica e anche un po’ più bella.

Consiglio questo scritto perché per poter scatenare determinati pensieri in un lettore bisogna avere una scrittura intelligente ed incisiva, qualità, in cui Montoro eccelle.

“Transfer 2093” di Stefano Meglioraldi. Mezzelane editore. A cura di Jessica Dichiara

In fondo il distopico come genere altro non vuole che farci immaginare di poter affrontare e superare la nostra stessa fine. Siamo esseri umani limitati dallo spazio e dal tempo eppure in ognuno di noi lo sforzo di tendere all’infinito è sempre fortissimo.

Trama da pellicola, non troppo complessa né troppo semplice o scontata. Rischio sempre in agguato in questo genere.

La chiave dell’immortalità viene individuata dai nostri pronipoti nel Transfer, un processo di trasferimento del cervello da un individuo a un altro. Processo possibile su base meritocratica.

Edificante questa provocazione intorno alla meritocrazia, termine con cui, negli ultimi anni, abbiamo infarcito discussioni a tavola, chiacchiere da bar e spot elettorali.
Avere, acquisire, pretendere per merito sembra quasi una teoria inattaccabile. Cosa importa se per ottenere ciò che ci spetta per merito calpestiamo sogni e progetti di chi arranca tra difficoltà e incertezze. Esiste tutto un mondo di reietti da eliminare secondo questa teoria, un mondo costretto a firmare con l’inchiostro nero come la morte per permettere ai “meritevoli” di continuare a brillare.


Protagonista di questa visionaria avventura è il tempo che sta scorrendo velocemente intorno a Jason, il cambiante e allo scienziato Onderwood.

Jason rifiuta il sistema, prende la sua donna, Emily, e scappa trovando aiuto nella Green Eco-Army, associazione che si batte contro il transfer.

La facilità in cui si entra in questa dinamica è sconvolgente nonostante siamo con le scarpe ben piantate nel territorio della fantascienza. Così perdersi in mezzo a insetti creati a laboratorio, droni e intelligenze artificiali non è poi tanto strano perché in fondo le dinamiche futuristiche disegnate dall’autore rimangono le stesse e le conosciamo molto bene e sono legate alla pretesa di piccoli gruppi al potere di poter decidere del bene e del male di tutti gli uomini utilizzando la propaganda per manipolare il gregge.

L’impressione di avere a che fare con tante pagine da leggere svanisce in fretta portata via da azioni e tanta tensione. Molto è anche il tempo dedicato alla caratterizzazione dei personaggi che non si dividono necessariamente in buoni e cattivi ma conservano, quasi gelosamente, i propri difetti, le proprie fragilità, la propria umanità. Persino il protagonista non esce perfettamente pulito dalle pagine rimanendo in alcuni passaggi ostile e discutibile e in altri incerto, in balia di ripensamenti e in cerca di rassicurazioni che Emily elargisce con potere.

Stefano Meglioraldi non ha solo scritto, ha proprio creato una realtà precisa e dettagliata che possiamo vedere e ci ha appiccicato dentro un’avventura esplosiva di quelle che non puoi far riposare perché richiamano risposte importanti a cui sentiamo la necessità di dare sfogo. Ha messo in campo molte sue conoscenze per dare vita a una lettura esperienziale forte non solo tecnicamente ma anche moralmente.

Esperimento distopico sicuramente riuscito!

Consiglio per la lettura: il distopico va sorseggiato sempre con qualcosa di forte, forse uno jägermeister, amaro come le bugie.
Messaggio per l’autore: sono d’accordo con Riccardo e l’ho pensato in più punti prima di arrivare alla fine.

“Perpetual life one” di Linda Talato, Delso Digital. A cura di Alessandra Micheli

L’uomo è davvero una delle creature preferite da dio.

E’ dotato di ogni ingegno, capace di destreggiarsi in un cosmo che gli è ostile.

E’ capace di elevarsi al di sopra di ogni creatura, in possesso di un libero arbitrio e di una capacità di scelta che lo rende più di angeli, coronato di gloria e stelle.

Una creatura magica, sfuggente nata cosi dicono i miti da un respiro di dio. Eppure…

Tutta questa perfezione sembra svanire se solo si da un occhio al futuro.

La, in quella valle nebbiosa ove non osiamo posare lo sguardo ci attende una losca figura vestita di stracci, dagli occhi di brace e dal ghigno sardonico.

Lei con una mano ossuta ci fa cenno, in ogni istante di avvicinarci a lei.

E se neghiamo la sua vista lei ride, ride con una strana voce che sembra richiamare il lamento del corvo e mille catene che strusciano il suolo.

Lei è signora morte.

La spaventosa regina delle nostre misere esistenze, colei che con la falce da un taglio al filo che ci unisce a questo piano di realtà.

E’ la morte il nostro peggior nemico miei amati lettore.. per gabbarla facciamo di tutto.

Indossiamo raffinati mantelli intessuti di tele di ragno.

Ci nascondiamo alla fine del sentiero.

Usiamo la musica per distrarla o farla ballare fino all’oblio.

Oppure rinunciamo a ogni resistenza, ma per scordarci che esiste annebbiamo la nostra mente con troppi vizi e nessuna virtù.

Cerchiamo l’eternità nel potere, nel sesso, nella sopraffazione.

Pestiamo con ferocia questa brulla terra sperando che la nostra impronta possa parlare di noi.

O sfidiamo quel dio che ci ha creati con amore, divenendo arroganti, superbi e tentando di imitarlo, ricreando quella stessa magia chiamata vita in laboratorio, agendo sulla particella che ci parla di quel dio assiso sul trono: il DNA. Tentiamo di svelare il suo segreto.

Di guardarlo in faccia quella arcana maestà per chiedergli perché?

Perché se l’uomo è cosi speciale, se ha dato a lui potere di nominare il mondo, fatto cosi immenso, cosi superiore agli angeli ha messo un finale alla sua storia? E perché questo finale non si può cancellare o rendere..perpetuo?

Ecco che dalle nebbie di questi misteriosi dolori, Linda Talato crea un libro che è soffocante come quelle terrificanti domande che si agitano nella mente. Terrificante per la sua conclusone e per le scoperte che ci mostra.

In perputal life si è raggiunto il sogno dei sogni: sconfiggere la morte e diventare eterni.

Continuare a vivere per sempre con la possibilità di ricominciare ogni volta da zero e di essere davvero Dio.

Esistenza infinita.

Senza più affanni, paure e sogni angosciosi di notte.

Senza la coscienza di aver sprecato ogni istante, gli stessi divengono senza tempo.

E in realtà il ritmo di questa folla corsa rallenta e diventa quasi pigro, quasi sonnolento.

Perché ossessionarci con il tempo se questo, per noi perde significato?

E cosi i perpetui si beano della loro nuova condizione, e questo li porta a rivalutare ogni rapporto.

Che non diventerà mai più duraturo perché tutto è immobile e infinito.

Nulla si crea e nulla si distrugge.

E lo si tocca con mano.

L’amore, l’afflato verso l’eternità perde di significato e interesse.

E persino il ricordo, quello che in fondo ci fa battere il cuore non pulsa più.

Non ha più ragione di pompare il sangue al cuore e al cervello, perché non esiste più attesa, rimpianto o bisogno di ricordare, se il tempo ha smesso di dominarci.

Eppure..in questa meravigliosa situazione idilliaca è il terrore a fare da padrone. Immaginate.

Voi siete eterni, siete dei perpetui.

Presto il ricordo dell’umanità perduta svanire a si perdere in infinite possibilità che saranno sempre scenari ripetuti in un loop infinito.

Nessuna necessità di mordere la vita, di correre per ingannare il tempo, significano stasi e immobilismo infinito.

E magari il pensiero, quel cervello programmato per poter vivere, diventerà il peso che ci portiamo avanti, la nostra condanna.

Perché la fine è anche un modo per riavvolgere il nastro, farei conti con se stessi e dormire.

Per poi chissà risvegliarsi un un altra forma e in un altro luogo.

Noi siamo programmati per un movimento incessante, per essere e poi morire per rinascere.

Il cervello non è pronto, non è assolutamente programmato per restare fermo.

E in quella strana forma di purgatorio i nostri demoni, quelli a cui con la morte si sfuggiva, divengono i nostri nuovi carceriere, una perdita, un amore perduto, un dolore lieve che diventa un rombo di tuono.

E sopratutto la coscienza di non avere più e mai più, nulla per cui alzarsi la mattina.

Perché quando tutto è disponibile nulla si stringe davvero tra le mani.

Un racconto inquietante, apparentemente benevolo che cela tutta la ferocia insita nel sogno umano di essere senza tempo.

Ed è potente ogni immagine che la Talato rievoca con una maestria degna di ogni maestro dell’oscurità.

E la vita eterna diviene in questo libro il vero, orrore e la vera dannazione.

In fondo, per una mente ben organizzata la morte non è che un atra esaltante avventura.

“Cronache non umane” di Joey Tree. A cura di Alessandra Micheli

Quando mi è stato proposto di leggere questo libro, ammetto di aver provato un certo scetticismo.

Uno non è facile, oggi, trovare una vera distopia.

Tutto è catalogato in questo modo, ma serve più che altro come specchietto per le allodole, atto ad attrarre gli appassionati come me.

Peccato che, nello sfogliare il testo non troviamo ciò che davvero cerchiamo in un siffatto libro.

Secondo, Joey è una donna.

E ammetto a mio malgrado che la fantascienza è e resta un ambito esclusivamente maschile.

Tanto da essere io stessa, con questo atroce pregiudizio, rassegnata a tale dominio.

Ma per fortuna la mia innata curiosità di lettrice mi ha spunto a sfogliare queste strane pagine, con quel titolo cosi evocativo cronache non umane.

E ragazzi miei, qua davanti ci troviamo di fronte e due piccoli, rari gioielli, capolavori del genere che renderebbero felice il buon Asimov e il mio adorato Dick.

Joey con una scrittura aggraziata e al tempo stesso agghiacciante riesce a delinear perfettamente quelle società che tanto temiamo, pertiche cosi vicina a noi.

E conquista.

Rapisce e fa spuntare un sorriso, seppur ci troviamo di fronte a una narratrice esperta della claustrofobia insita in una certa sfumatura della fantascienza.

E qua permettetemi una piccola ma necessaria disquisizione sul genere.

Cosa significa davvero distopia?

Letteralmente è la distorsione di ogni valore, di ogni ideale progredito e progressista portando all’estremo ogni nostra paura.

E’ una società negativa, tutto il contrario della meravigliosa favola dell’utopia e dell’età dell’oro.

Ci troviamo in un ambiente cupo, oscuro, chiuso, soffocante dove i diritti umani, la fantasia vengono schiacciati dalla sopraffazione tecnologia o ideologica.

O spesso un oscuro mix di entrambe.

Fatto sta che nelle società distopiche non esiste affatto libertà.

Esistono burattini comandati da una misteriosa volontà che possiamo definire come grande Burattinaio.

O grande fratello.

Insomma siamo agli estremi di un pericolo che è reale e ravvisato nella paura del futuro, nella volontà di opporsi al progresso e all’evoluzione in un ritorno romanticizzato di un passato che deve restare l’unica salvezza per un mondo allo sfarcelo.

Nella distopia si esagerano i vizi e le idiosincrasie presenti nella nostra di società, come monito affinché esse possano venire affrontate e mai usate come scudo per proteggerci dalla verità.

Cosi la conoscenza è pericolosa perché ci porta a liberarci di ogni tradizione e di ogni potere.

La tecnologia diventa non più mezzo per alleviare la fatica di una vita ma prospettiva dittatoriale di una tecnocrazia che fagocita l’anima.

Nel caso della Tre il nostro continuo abbracciare la perfezione porta a immaginare un mondo in cui l’essere umano diventa mero prodotto.

E un prodotto deve poter essere funzionale a ogni esigenza e deve essere possibile affibbiare a esso un punteggio.

Ed è da quella somma che esula dall’interiorità, dai talenti, dall’anima stessa che si possono trarre benefici e vantaggi.

O al contrario qualora non raggiunga una adeguato indice di gradimento verrà semplicemente…distrutto.

Il prodotto difettoso, quello che non soddisfa l’esigenza del cliente non è altro che spazzatura.

E noi oggi siamo proprio vittime di quel diktat dei numeri.

Pensate ai social.

Tu riesci a apparire qualora i tuoi insight raggiungano definizioni prestabilite.

In quel caso sali nell’asticella della visibilità e..semplicemente esisti.

Lo vediamo adesso con l’avvento degli influencer che detengono le chiavi di uno strano potere grazie non giammai a doti particolari, artistiche o intellettuali ma a numeri predefiniti.

Lo vediamo con i post sui social che vanno analizzati secondo le interazioni, secondo elaborati grafici, secondo il numero dei like.

Siamo solo numeri.

E se non raggiungiamo l’ottimale livello di gradimento, siamo solo rifiuti. E questo comporta anche la cura maniacale dell’apparenza.

Filtri, pulizia del volto, aggiustamenti estetici per farci essere sempre meno ,umani e sempre più illusori.

E allora le cronache non umane raccontano proprio di questo.

Di quell’estremo che non è più un difetto in una società che ci perde, non l’eccezione che si presenta come una macchia purulente sulla regola.

Ma la regola stessa.

Joey dipinge quello che potrebbe essere se insistiamo a considerarci, tutti prodotti commerciali.

A evitare la propria anima per salite sempre più in alto nella gerarchia sociale. Sempre più eccellenti, ma sempre meno umani.

I suoi due personaggi non accettano del tutto queste assurde leggi.

Si ribellano o ci provano.

Eppure lottano, anche se forse invano contro un sistema legittimato da tanti, troppi consensi.

Ecco il vero senso della distopia.

E’ protesta.

E’ canto di resistenza.

E’ ribellione.

E insegnamento.

E diamine ragazzi miei Joey lo ha capito.

E oggi, mentre scrivo queste misere parole, posso affermarlo con certezza: nel panorama della fantascienza sta nascendo una nuova brillante stella.

Tenetela d’occhio mi raccomando.

Io lo farò.

Anzi La costringerò a donarci altre, meravigliose, favole oscure.

“La citta tenace” di Alessandro Massasso, Delos Digital. A cura di Giulia Previtali

Siamo in un futuro angosciante, capitalistico, ma soprattutto oppressivo.

Una distopia che tratta soprattutto di business, mercati, ma soprattutto di come il mondo non sia cambiato più di tanto, se non, ovviamente in peggio.

La vicenda si svolge in una città che è l’emanazione di una corporazione, la Bejond: luogo di produzione e profitto a tutti i costi.

Status sociale, stile di vita e identità sono inestricabilmente legati al coefficiente di produttività, quantificato al millimetro attraverso il CFC, o Coefficiente, vettore di tutte le scelte e le interazioni individuali e collettive in una società altamente verticistica e classista.

La narrazione segue due vicende: un dirigente aziendale ad altissimo rendimento che punta solo all’innalzamento del proprio CFC e che pagherà care le conseguenze delle sue scelte e un nuovo arrivato dalla periferia devastata e inospitale che comincia dal basso e sperimenta sulla propria pelle la disumanità e il controllo assoluto che la città e chi la governa hanno sui lavoratori.

Beh, in La città Tenace di Alessandro Massasso viene descritto in termini di efficienza, con termini economici.

Il rendimento di ogni cittadino veniva espresso da un numero, la Coefficienza. Tutto quello che ogni persona faceva nella città contribuiva a incrementarlo. Sebbene gli sembrasse incredibile, ogni notte i computer della Bejond aggiornavano la CFC di tutti gli abitanti, tenendo conto di tutto quanto eseguito da ognuno nelle ventiquattro ore precedenti.

All’interno di questo libro ci sono tanti riferimenti a caposaldi della letteratura del passato come Metropolis e 1984.

La città tenace si conferma un caposaldo della collana distopica della Delos, uno di quei libri veramente imperdibile.

La scrittura è scorrevole, rapida, con un ritmo agile che cattura l’attenzione del lettore e non lo annoia.

Una società evoluta, senza l’accelerazione dovuta solitamente a guerre, disastri socioeconomici, disastri climatici o nucleari.

Questo libro mi ha fatto riflettere su quello che sta succedendo in questi giorni. Dove far in qualche modo crollare i mercati e inasprire il commercio verso la Russia sia l’unico modo per fermare qualcosa.

Un romanzo fantascientifico che tiene compagnia e può essere letto in qualche piacevole ora. Alessandro Massasso è un notevole esordio letterario.

Da tenere d’occhio.

L’italia non esiste” di Stefano Zanmpieri, Delos Digital. A cura di Chiara Monina

Questo racconto breve è un viaggio attraverso le bellezze artistiche dell’Italia,che il protagonista compie un pò con la moglie Brunetta e un pò con l’amico Antonio ma non sarà un percorso lineare e si scopriranno verità scomode.

L’Italia è un paese di terre dove “non c’è un solo tratto, un solo centimetro,una sola zolla che non porti su di sé il peso secolare del lavoro”. “Pietre vivificate dal lavoro umano,le stesse pietre che si vedono attraversando l’Italia”.

Si parte dalla Puglia,dove si soggiorna a casa di zia Annina, una casa antica,costruita con la pietra;ogni pietra o mattone sono densi di vita,potrebbero raccontare le storie che sono state vissute lì.

Si passa a Matera,poi Bari,Trani,città che hanno suscitato in me un ricordo nostalgico,avendole visitate e scoperte qualche mese fa.

Matera viene descritta come profonda e significativa,con quella sua particolare struttura architettonica,poi Bari con la sua cattedrale e Trani con la sua cattedrale di Santa Maria Assunta posta sul mare.

Poi si riparte da Venezia,con San Marco e la Basilica dei Frari,il Duomo di Mestre ,si passa per l’Umbria,la Toscana con Santa Maria Novella e il Ponte Vecchio,la Cattedrale e la Torre di Pisa e Siena;poi Bologna e gli Appennini con soste nei piccoli centri storici come Bevagna,Montefalco.

I piccoli borghi sono case e chiese raccolte e con poche persone dove “è bello cercare nelle espressioni della gente quell’ umanità e quella generosità di cui si decanta”.

Una citazione continua di monumenti,che mi fa ricordare quelli che ho già visitato del nostro bel paese e quelli che ancora mi mancano da visitare; amo scoprire le città ,la storia,chi ci ha preceduti e come tutto questo sia arrivato a noi, attraversando i millenni.

In questo peregrinare lungo la penisola,però, i protagonisti sono pervasi da un senso di angoscia,un senso di inquietudine costante.

Gli animali non si comportano più allo stesso modo : di notte zanzare e pappataci attraversano anche finestre e porte chiuse ,di giorno sciami di api fameliche arrivano mentre si mangia all’aperto; c’è un caldo anomalo oltre misura ,l’aria è ferma ed opprimente.

Oltre a questi insoliti fenomeni climatici,si scopre che le città sono tutte un cantiere,i più importanti monumenti sono coperti da teloni bianchi ed accerchiati da impalcature e mezzi di lavoro.

Sembrano impacchettati,scrive l’autore : “come scatole di caramelle” e sono circondati da tubi,scale,lamiere,tavole e carriole; i monumenti tutti incartati si somigliano tutti in modo impressionante.

Dal quotidiano si legge che c’è un progetto “Italia salva” ,il grande restauro che mira appunto al restauro delle più importanti opere d’arte del nostro paese ma qualcosa non convince il protagonista.

Per secoli tutto è stato lasciato immobile,a volte anche lasciato andare in rovina e poi all’improvviso c’è questa necessità di rimettere tutto in ordine e tutto viene bloccato dai vari cantieri.

Il progetto Salva Italia,gli insetti impazziti ed il clima impossibile ,sembrano far parte della stessa trama,che portano il protagonista a voler capire di più su questa vicenda.

Inizia a porsi domande e a farne ,partendo dal suo amico Antonio,ingegnere,per provare a decifrare cosa realmente si nasconda dietro a tutto questo.

“Il mio istinto è d’essere sempre scettico,indago anche dove non serve”. “Siamo fra coloro che vogliono sapere è il nostro difetto, e non c’è nulla da fare”.

L’impressione è quella che si voglia stendere un velo di silenzio su un fenomeno fuori controllo e così nasce la visione di spostare i monumenti in un “posto sicuro”dove nessuno possa vederli e di sostituirli con delle copie . Quindi il grande restauro non serve solo per ripulire e sistemare ma è fare molto di più; perché l’Italia all’improvviso non è più sicura e di chi dovremmo avere paura?

“Ma era l’unica spiegazione possibile né la più logica,né la più credibile ma talvolta la verità è oscura”.

I protagonisti tentano anche di avvicinarsi ai monumenti in lavorazione ma vengono addirittura attaccati,si sente uno sparo di arma da fuoco e coloro che sorvegliano i lavori sembrano più agenti che operai.

Tutte queste considerazioni e prove portano a credere che dietro ci sia un disegno più lungimirante per il futuro; se il mondo fosse in pericolo,in uno scenario apocalittico,salvare il monumento significherebbe salvare il nostro passaggio su questa terra anche senza di noi.

Lasciare un’impronta, “mettere al sicuro la nostra eredità umana”, forse,alla fine potrebbe sembrare davvero la conseguenza più logica.

Perché un monumento è la storia fatta pietra,che nei vari secoli può continuare ad evocare storie, emozioni, sentimenti e ricordi dell’umanità: “alle opere che segnano il tempo e lo rendono umano”.

Alla fine,in fondo “forse è vero che la sola cosa da fare è lasciare un segno”

“Ombre della pietra” di Alex Coman, Delos Digital. A cura di una straordinaria Giulia Previtali

Ombre nella pietra di Alex Coman rappresenta alla perfezione la narrativa distopica.

Abbiamo tutti gli elementi che la contraddistinguono, come il futuro in bilico, la disumanizzazione, la ghettizzazione dei “molti” a favore dei “pochi”. 

Ma chi sono queste Ombre?

Alex Coman racconta qualcosa di molto più particolare di quello che il lettore si aspetta.

Sono molto più che semplici servitori: sono esseri umani disposti a indossare volontariamente un ombra, disposti a perdere la loro identità per poter vivere di più.

In una realtà dove l’aria è fredda e contaminata, rifugiarsi nella “Bolla”, dove tutto è più sano, pare sia l’unico modo per sopravvivere.

Al di fuori di questa “bolla”, gli abitanti vivono in povertà, costretti ad abitare in tetre e spoglie carve tra le montagne. Il lettore, attraverso le parole di Coman se le immagina come tanti condomini che ospitano i sopravvissuti, coloro che scelgono volontariamente di ospitare un’ombra, coloro che si prestano come schiavi ai cittadini della Bolla, asserendo a compiti umilianti e sfiancanti.

Un mondo con regole ferree, crudele, spietato, incerto, dove nemmeno i propri pensieri sono al sicuro: è un mondo in cui la tecnologia è all’avanguardia, ma non si sa chi è al comando.

Chi può vivere all’interno della bolla?

Chi lo decide?
Chi può condannare il resto dell’umanità e comunque guardarsi allo specchio o essere tranquilli con la propria coscienza.

Mi ha ricordato molto Snowpiercer, il film e serie tv in onda su Netflix, in cui l’umanità che è sopravvissuta è costretta a vivere su un treno, perché il mondo sta vivendo un’era glaciale.

Il modus operandi all’interno del treno, diviso in caste, in “vagoni”, lascia la stessa sensazione di Robi e Nina, nella loro lotta per la sopravvivenza, contro la crudeltà, la fame, l’ingiustizia.

Un racconto davvero notevole, che lascerà il lettore a chiedersi quanto ci sia davvero di “fantastico” in questi scenari.

Purtroppo, in un futuro così duro, crudele, difficile, il lettore arriva a chiedersi: ma io cosa farei? Perderei la mia umanità?

Farei di tutto perché i miei ideali non muoiono?

Egalitè, fraternitè, libertè?

Forse, Alex Coman ha una delle risposte: non quando non ho più niente, nemmeno la mia libertà.