“Una lettera da Monaco” di Meg Lelvis, Vintage editore. A cura di Jessica Dichiara

Può una lettera cambiare le sorti di un’intera esistenza o anche di più esistenze?

Jack Bailey inaugura questa nuova collana Vintage War della Vintage Editore che con abile maestria prova a coniugare la piccola e la grande storia in un intreccio che spesso vediamo nei romanzi ma raramente sperimentiamo nella vita reale.

Siamo storia cari lettori, anche noi camminiamo dentro la pancia di questa Grande Madre, padrona del tempo e delle idee, maestra di vita, ci hanno insegnato. Ma un insegnante può dirsi bravo se i suoi allievi continuano a fare imperterriti gli stessi errori?

Il caporale John Bailey in servizio a Dachau, città tedesca nel Land della Baviera, a circa 20 km da Monaco, che vede il suo nome legato al primo campo di concentramento nazista, modello per tutti i campi organizzati successivamente, scrive delle lettere.

Sappiamo bene che era usanza dei soldati scrivere e che la corrispondenza era spesso l’unico modo che avevano per sopravvivere emotivamente ad un lavoro, un compito, una missione che li vede vittime e allo stesso tempo protagonisti della grande storia.

Non sempre è la scelta a determinare l’uomo e il fronte in cui ci si ritrova a nascere è spesso causa di immotivati e gravissimi errori. Quante volte me lo sono chiesta. Se fossi nata in Germania nei primi anni del ‘900, da una famiglia implicata con l’esercito. Se avessi ricevuto un’istruzione in stile “lavaggio del cervello”. Sarei stata comunque in grado di riconoscere l’orrore negli occhi e nelle menti dei miei educatori? Sarei stata capace di ribellarmi?

Alcuni lo hanno fatto è vero, ma gli altri? La maggior parte?

Se i cortili del mio quartiere fossero pieni di fiori sbocciati, di splendidi fiordalisi blu. Se mio padre fosse stato uno di quelli che ti raccontano le fiabe prima di andare a letto. Se ogni famiglia intorno a me avesse avuto cibo e vestiti a sufficienza e i bambini avessero avuto i giocattoli dei loro desideri.

Se i treni fossero arrivati in orario

Se ci fossero tanti posti di lavoro per tutti (o quasi tutti)

Pochi giorni fa discutevo e concordavo con il mio boss Alessandra Micheli sul fatto che non è la cattiveria il male dei popoli ma l’ignoranza. Ignoranza intesa come vero e proprio handicap dovuto alla carenza o alla totale assenza di conoscenza e di chiavi di lettura efficaci per interpretare in maniera sana la realtà.

Jack Bailey, figlio di John, trova una lettera datata 14 luglio 1946, una lettera che fa da ponte fra il presente di quest’uomo e un passato che ogni volta urla una musica diversa seppur ugualmente tragica.

È un romanzo storico? Forse, in parte. Quando un romanzo ha una precisa collocazione storica dovuta al tempo e al luogo è difficile non collocarlo “tra quelli che parlano della seconda guerra mondiale”. Eppure sarebbe riduttivo e anche molto secondo me.

È un romanzo che racconta di come la vita possa riscattarsi anche dopo la morte. In cui la possibilità di redenzione risiede anche nelle scelte degli altri.

Un figlio può scegliere di accettare i comportamenti di un genitore pur non comprendendoli pienamente. Oppure può rifiutarsi. O infine può provare a scavare nel passato per trovare delle risposte.

Scavare nel passato di un genitore diventa allora un modo per guadagnare o perdere tutto, una roulette davanti alla quale non possiamo fare previsioni.

Andrà bene o male per il nostro Jack? E per noi come andrà? Riusciremo a farci piacere questa chiave di lettura.

Personalmente ho amato questo romanzo in ogni sua parte. Nel capitoli brevi. Nella prosa musicale e a tratti quasi poetica. Nelle emozioni dosate. Nelle lacrime trattenute e in quelle che inevitabilmente hanno finito per bagnare la carta.

Nessuna eredità è così ricca come l’onestà

Ne sono convinta oggi più che mai dopo aver letto questa piccola perla che consiglio a ogni lettore che sia mai inciampato sul mio cammino. Vi farà male leggerlo ma farà bene alla vostra anima e di riflesso all’umanità intera.

Grazie a Vintage editore per questo piccolo gioiello che ha donato all’Italia. In questi giorni in particolare ne abbiamo proprio bisogno.

Consiglio per la lettura: se avete un portico vi consiglio di leggere all’aperto, così quando vi beccheranno con gli occhi rossi potrete dare la colpa all’allergia, al sole, al vento, a un insetto e nessuno sospetterà cosa sta succedendo dentro di voi.

“Una ragazza adorabile” di Georgette Heyer, Astoria editore. A cura di Alessandra Micheli

So di avere la fama di avida lettrice di orrori e e devastazione, di alieni venuti dalle galassie più oscure.

E ammetto di avere una strana passione per l’oscurità.

Eh si.

Mi sento molto più libera quando viaggio tra eoni e grandi antichi, mentre osservo zombie e killer crudeli.

Ma dietro a questo aspetto oserei dire macabro, la vostra blogger ne ha un altro. E ha il profumo del te, la leggerezza della mussola, il fruscio di sete e quella libertà trattenuta di corsetti fatti con stecche di balena.

Ma che è pronta a emergere negli occhi di fanciulle costrette dalle convenzioni a essere sempre un po’ meno se stesse.

E forse perché per troppo tempo mi sono sentita un po’ simile a quelle eroine di cui leggo avidamente, situate negli angoli di epoche lontane, regency o vittoriane.

E cosi non potevo non leggere una ragazza adorabile.

Perché riconoscermi in quelle protagoniste subissate di limiti imposti da qualche strano sistema era un po’ la possibilità di analizzare la me stessa oggi, rispetto a quella fanciulla spaventata di uno ieri che per fortuna è un ricordo. Eh si sapete?

Noi siamo definiti liberi in questo meraviglioso paese che ci illude e al tempo stesso ci ingabbia in convenzioni che però hanno il profumo della trasgressione. Noi per poter essere definite dobbiamo assurgere a modelli comportamentali sempre più assurdi e irreali.

Donne seduttive, donne capaci di essere frivole Maddalene.

Donne che dovevano sempre dimostrare qualcosa al mondo, per poter sentire di essersi meritate un posto sotto il sole.

Non siamo certo nel vittoriano, o nei primi dell’ottocento.

Ma non per questo siamo davvero libere.

Non certo perché alle stecche di balena abbiamo sostituito tacchi e outfit alla moda.

Dobbiamo comunque riconoscere come valido il modello femminile delle nostre epoche che è sempre assolutamente irragiungibile.

Assurdo e irrealizzabile.

E cosi grazie alle mie Elizabeth Bennett, il coraggio di andare in giro in tuta, leggere generi non femminili, si riconferma.

Dentro di me in primis e poi fuori.

In questo mondo occidentale che se non etichette si sente svenire.

E non ci sono sali capaci di poterli risvegliare.

Oh no.

Vedere qualcuno andare oltre lo schema terrorizza, spaventa e impone di usare come arme l’anatema.

E cosi la nostra autrice questo libro lo rende ancora più ribelle.

Più di ogni romanzo regency che ho avuto l’onore di leggere.

Perché la sua protagonista Hero, in contesto netto con l’incomparabile diventa davvero dissonante.

E fastidiosa per una società che tenta, con ogni mezzo di rimanere fedele a se stessa.

Seppur le costa fatica e…le costa un pezzo d’anima.

E cosi la storia d’amore diventa un po’ un escamotage per parlare di libertà. Quella che nasce non chissà da quale strano impulso, da chissà quale azione sconvolgente.

Ma, semplicemente dall’essere se stessi.

E magari seppur diversi, e dissonanti rispetto alla maggioranza, essere anche amate per questo.

Perché Hero è ingenua, pasticciona, desiderosa di vivere ogni esperienza profondamente e con un pizzico di sfacciataggine.

E allora si che il libro non è solo una deliziosa storia.

Ma una ventata di freschezza per tutte noi, che oggi ci sentiamo sempre un pò diverse, un po inadeguate e un po’ giudicate.

Con uno stile ironico, delicato ma anche profondo la nostra Heyer da vita a un testo che si insinua nel cuore di ciascuna di noi e resta li a brillare.

E’ successo anche con il mio che da un po di tempo è cosi ghiacciato da sembrare un freezer.

Ma Hero lo ha scaldato un po.

E questo è il dono che porto con me, dopo una lettura che, lo ammetto mi manca.

“Una donna fuori dal comune” di Darcie Wilde, Vintage editore. A cura di Barbara Anderson.

SINOSSI:

Londra, 1812. Figlia di un baronetto, Rosalind Thorne è quasi caduta in rovina dopo che suo padre ha abbandonato la famiglia. Per sopravvivere nell’unico mondo che conosceva, ha iniziato a gestire gli affari di alcune delle donne più influenti della società londinese, che hanno finito per fare affidamento sulla sua intelligenza e discrezione. Quando, quindi, il viziato perdigiorno Jasper Aimesworth viene trovato morto nella sala da ballo più esclusiva di Londra, quella di Almack, Rosalind deve usare le proprie abilità e conoscenze per individuare l’assassino da un elenco di sospetti che include le potenti protettrici di Almack e il suo ex corteggiatore Devon Winterbourne, ora Lord Casselmaine. Divisa tra il suo vecchio amore e una crescente attrazione per uno spacciato detective di Bow Street, Rosalind non deve solo svelare i misteri che circondano la morte di Jasper, ma anche i misteri del proprio stesso cuore…

Recensione:

Eccomi qui per un’altra recensione e questa volta inerente a una lettura che esce un pò fuori da quella che definisco la mia comfort zone.

Un’ambientazione fuori dal comune, si tratta infatti di un regency.

Il regency è per definizione un genere letterario che tratta di un periodo storico che va dal 1790 al 1830 circa e generalmente susseguente alla Rivoluzione Francese.

La mia esperienza si limita ad una serie Netflix sul genere e alla conseguente lettura dei romanzi da cui la serie era stata tratta.

Per tanto non posso considerarmi un “esperta” ma piuttosto un’occasionale amante di questo stile.

Ciò che caratterizza questo romanzo e che mantiene fede al regency è il carattere sociale, la gerarchia dell’epoca, con un’enfasi nei tratti e nelle buone maniere dei suoi personaggi, le differenze dei ceti sociali, l’arrivismo e l’opportunismo, legato ad un periodo storico che ci mostra un’immagine nitida del ceto elite di un’Inghilterra fredda, ma infuocata da interessi economici e accettazione sociale.

Questo romanzo contiene molteplici ingredienti che vanno dall’accuratezza nelle descrizioni del periodo storico e dei vari livelli sociali, descrizione di ambienti, di luoghi, di sfarzosi abiti e di più modesti ambienti che ravvivano e oscurano i vari episodi che si aprono agli occhi del lettore capitolo dopo capitolo.

Un cocktail dentro al quale troviamo la famiglia, la delusione, la sofferenza, l’abbandono e dove la protagonista, una donna abbandonata e ferita, riesce a sopravvivere in un mare infestato di squali. La giovane donna ha carattere, intelligenza e coraggio, senza dubbio una donna fuori dal comune poichè in un epoca di apparenze e di recitato buonismo lei sa essere se stessa, per trarre vantaggio da ciò che sa fare meglio, lei è la segretaria di un gruppo di donne che hanno il potere di decidere della sorte economica, sociale e reputativa dei membri che ne fanno parte.

Una donna riconoscente e fedele che si troverà a scavare nei segreti più intimi delle persone che l’hanno circondata così a lungo di misteri, inganni e complotti. Questo romanzo parla sì dell’amore perduto di Rosalind ma non è una storia d’amore, bensì una storia avventurosa, un giallo ed un percorso in cui Rosalind non solo dovrà scoprire chi ha commesso un efferato crimine e perchè, ma anche scavare nel suo profondo dolore e cercare di trovare il modo per liberare se stessa dalle catene a cui l’avevano imprigionata le decisioni irresponsabili di un padre codardo ed egoista.

Tante verità si apriranno agli occhi del lettore, ma mai in modo brusco, bensì con la stessa delicatezza in cui un fiore apre i suoi petali, per mostrare la sua bellezza anche nelle atrocità più forti.

Ho amato Rosalind, la sua tenacia, la sua determinazione, anche la sua pacata rassegnazione e apparente adeguatezza ad una serie di circostanze spesso scomode e umilianti, ho amato il ribelle giovane fratello della donna che sposerà l’ex amore di Rosalind da lei mai dimenticato, ho amato i personaggi, tutti così ben decritti e delineati con tale cura da riuscire perfino a percepire gli sguardi di odio, di invidia, di diniego che si scambiavano tra loro nel corso della storia. L’autore non ha trascurato nessun dettaglio, perfino la servitù appare nella sua bellezza e semplicità descrivendo i loro servigi come un arte tramandata da generazioni.

Una lettura indubbiamente interessante, a tratti appare quasi dilungarsi ma non è mai tediosa, ben scritta, piacevole, con le parole che strusciano come i drappi degli abiti delle dame alle feste, con quel fruscio lento che lascia uno strascico fatto di parole ben incise sulla carta e di un mistero ben descritto con un finale inaspettato che lascia il lettore soddisfatto, appagato ma anche stanco.

Il percorso di Rosalind per il raggiungimento della verità è complesso, lungo e non privo di difficoltà, di inganni, menzogne ed omissioni.

Il tutto per mantenere un decoro, un decoro che spesso sembra dover valere perfino più di una vita umana.

In questi omicidi… la mano che infligge il colpo di grazia non è più impregnata di sangue di quella di chi osserva passivamente (Thomas De Quincey, L’assassino come una delle belle arti)

“Jo & Laurie” di Margaret Stohl e Melissa del la Cruz, Vintage editore. A cura di Alessandra Micheli

Questo è il libro che ogni amante di piccole donne voleva.

E questo perché a volte, perdonami Louisa, non è più dell’autore ma diventa totalmente proprietà di chi lo legge, lo ama e dentro riversa ogni emozione e ogni sensazione.

E credetemi piccole donne è nostro.

E in quanto libro nostro beh, la conclusione di Jo e Larie ce la meritiamo tutti. Tutti.

E aggiungo che, in fondo, era la giusta conclusione.

Perché Jo non è mai stata completamente selvaggia.

E che Larie non era completamente frivolo.

Vedete piccole donne non è un libro per signorine semplice, tipico dell’epoca. Ma è stato un libro ribelle, rivoluzionario, innovativo incuneato nella letteratura chiamata sociale.

Lo so che le mie parole vi lasciano a bocca aperta, sbalorditi, indecisi se definirmi pazza o esagerata.

E so che vi chiederete allibiti ma questa ce infila sta politica in ogni libro?

A parte che la risposta è un grosso orgoglioso si.

Ma in realtà bisogna darvi la notizia distruttiva, quella che danneggerà ogni vostra certezza: la Alcott era un innovatrice.

In piccole donne, in una ragazza fori moda, in rose e i suoi cugini, la nostra Louise tentava, con successo tra parentesi, di distruggere il prototipo femminile che ci propinava la società dell’epoca.

E che ci propina tutt’ora eh.

Inutile che dissentite.

Cambiano le mode, cambiano i linguaggi m a il succo è sempre wquello: come direbbe Edoardo Bennato

C’è chi ti urla che sei bella

che sei una fata, sei una stella

poi ti fa schiava, però no

chiamarlo amore non si può

C’è chi ti esalta, chi ti adula

c’è chi ti espone anche in vetrina

si dice amore, però no

chiamarlo amore non si può

A noi ci mettono belle, colorate, luccicanti in vetrina.

Moine, sorrisi e ammiccamenti.

Noi noi donne siamo valutate per peso, dentatura, forme e sorrisi.

Occhi luminosi e passo elegante.

Per essere alla moda, trasgressive, oppure materne.

Essere angeli del focolare, fate o maliarde.

Abbiamo un ruolo e da quel ruolo, beh non si scappa.

Tanto che anche oggi nel duemilaventidue è più allettante un profilo con miliardi di follower su tik tok che esibire con orgoglio una laurea in astrofisica. Siamo condannate ragazze mie.

E cosi la Alcott, che non ci stava proprio a essere asservita ai cliché, ha proposto un modello diverso.

Dove si sposavano si ma per amore.

Dove lavoravano, dove una donna scriveva, dove venivano derisi tutte le leziosità utili alla malizia femminile.

In quel periodo, in quel contesto, piccole donne era un grido diverso, uno strumento pedagogico importantissimo che ancora oggi, aiuta giovani donne a essere felicemente diverse e a deludere le altrui aspettative.

Ma appunto perché libro pedagogico la storia, quella che tanto ci è piaciuta, ha preso e ha dovuto prendere, una via diversa.

Jo, simbolo di indipendenza femminile, non poteva certo sposare l’amore della sua vita.

Assolutamente no.

Nonostante fossero, e mi spiace Louisa ma lo erano, anime gemelle.

E cosi la storia stupenda, eterna un po di amaro in bocca ci ha lasciato.

Laurie con Jo era migliore.

Jo con Laurie era più donna.

Ma hanno dovuto aspettare secoli prima di poter finalmente essere loro. Quando Jo ha fatto il suo dovere, quando ha dato alla luce milioni di altre piccole Jo, che leggevano, scrivevano, dicevano no.

dopo che quel cliché femminile lo abbiamo strappato, deriso e reso nullo. Adesso, finalmente può riposare tra le braccia del suo unico amore.

E questo ci rende felici.

Felici perché è la giusta conclusione, perché le piccole donne oggi sono ancora più moderne e necessarie nella loro umanità fragile.

Perché se finalmente Jo può amarlo, significa che qualcosa di importante è stato fatto.

Che lei può lasciare adesso il testimone a noi.

In fondo come direbbe Vecchioni.

Noi ci siamo fatti il culo

tocca a voi stringere I denti.

E quindi stringiamoli.

E ringraziamo Jo per tutto quello che ci ha regalato in questi anni.

Ora abbraccia felice il tuo Laurie.

E raccontaci un altra storia.

Eterna come sei eterna tu Jo.

“Mia cara Jane” di Amalia Frontali, Words edizioni. a cura di Patrizia Baglioni

Io amo Jane Austen, ho per lei la massima ammirazione e ogni volta che un libro o un film sono tratti dai suoi romanzi o riprendono la sua persona, li guardo col massimo sospetto.

Così è stato per questo libro che ho letto incuriosita dal fatto che è stato scritto dalla bravissima Amalia Frontali.

Ora, se non conoscete l’autrice non potete immaginare l’emozione con cui parla sempre di Jane, così come non potete conoscere l’entusiasmo che si legge nel suo sguardo quando vi racconta di quel periodo di storico, di storie di donne raccontate da donne.

Ecco quando io penso ad Amalia Frontali, la vedo come un puro spirito femminile, fatto di delicatezza, armonia, intuito e ironica malizia.

Così sono i personaggi dei suoi libri, così è lei, così era Jane.

L’incontro si è compiuto appieno, ma l’autrice stavolta va oltre, si identifica nella vera Jane Austen, interpreta i suoi sentimenti e ce li riporta in forma epistolare.

Siamo nel 1796 quando Thomas Langlois Lefroy, futuro Capo della Corte Suprema irlandese, incontra Jane Austen, in uno dei tanti eventi sociali utili a trovar marito, così ben raccontati dalla scrittrice inglese.

I due restano attratti uno dall’altra, e la loro affinità non passa inosservata, tutti pensano a un loro futuro insieme, la stessa Jane inizia ad aspettarselo e invece nulla seguì.

Jane non si sposò mai e Tom contrasse un’unione di convenienza, che gli garantì potere, successo e una famiglia di rappresentanza.

In realtà nessuno seppe mai come andò veramente la storia visto che gran parte delle lettere di Jane Austen, dopo la sua morte, fu data alle fiamme dalla sorella Cassandra, per motivi che non sono mai stati veramente chiariti.

Ora una fedele Austeniana si riconosce dall’immaginazione.

Se sei venuto a conoscenza di questa faccenda, e l’hai accantonata dicendo “peccato”, non hai fatto nulla di sbagliato, ma sappi che non sei un fedele Austeniano.

Amalia Frontali da amante di Jane, non si arrende, fantastica e pensa che qualcosa deve pur essere successo.

Parliamo sempre di Jane Austen, un’innovatrice della letteratura inglese, una donna di grandissimo coraggio che si è esposta con i suoi scritti nella malevola società dell’epoca prendendola in giro.

E se Jane qualcosa ha fatto, ha sicuramente scritto.

Ecco cos’è MIA CARA JANE, una raccolta di lettere di Tom che risponde a Jane.

Ora l’autrice ci deve spiegare in quale angolo del suo studio era nascosta, perché le missive rispecchiano lo stile dell’epoca, si incastrano alla biografia dei due e soprattutto racchiudono la sottigliezza intellettiva e l’arguzia narrativa a cui la nostra cara Jane ci ha abituati.

Molti sono i riferimenti alle opere della Austen, in modo particolare ai suoi capolavori in divenire che guardati dall’interno assomigliano tanto alla storia d’amore tra Tom e Jane.

L’idea del punto di vista maschile è geniale e l’avvicendarsi delle vicende coinvolge nonostante sia noto come il rapporto si concluderà.

Il fatto è che Tom ci convince, egli si rivela un giovane assennato, sensibile, forse non troppo deciso ma comunque onesto e coscienzioso e diciamocelo, se non fosse stato così, Jane non avrebbe potuto amarlo.

Questo è un libro che forse deluderà chi è alla ricerca di una semplice storia d’amore ma che entusiasmerà chi come me ha una sana ossessione per Jane.

Un grazie di cuore a Words Edizioni e ad Amalia Frontali che rivela come sempre un talento ineguagliabile e continua a regalarci bellissimi gioielli in stile Austen discreti, raffinati e ammalianti.

Review party “La promessa” di Leah Garriott, Vintage edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Siamo cosi convinti che la nostra esistenza debba andare su binari prestabiliti, dalle nostre paure purtroppo, che ogni alternativa ci terrorizza.

Sappiamo benissimo o cosi ci raccontiamo quale sia la scelta migliore, quella che acquieta il core e ci protegge da ferite delusioni e dolore.

Perché il dolore ci rende fragili e credo che a nessuno piaccia non avere il controllo sulla propria anima.

Più che sull’esistenza stessa.

E cosi scegliamo la strada meno accidentata.

Quella che non ferisce i nostri piedi scalzi.

Quella senza scossoni, quella monotona, sempre uguale a se stessa, banale e senza brividi.

Questo lo facciamo perché troppo spesso siamo delusi.

Feriti da un vento che è passato senza ritegno o compassione per la nostra epidermide messa a nudo dalle sue soffiate.

E che diventa per questo rossa, screpolata, capace di farci gemere a ogni movimento involontario.

Ed è in un istante di acuta sofferenza che facciamo la peggiore promessa a noi stessi, al nostro cuore e alla nostra ANIMA “ io non oserò mai”.

Non andrò mai fiera e felice in terreno tenebrosi, misteriosi e poco controllabili. Io sarà libera da ogni sentimento, da ogni emozione userò la logica per guidare ogni passo.

La musica smetterà di risuonare dentro di me, facendomi gemere, strappando sospiri al cuore.

Sarò libera dal giogo atroce di quel sentimento che ogni poeta ha omaggiato.

Ma che per viverlo richiede un prezzo troppo alto: dolore, nomi colorati di sangue, lacrime e urli silenti alla notte che incombe su noi.

Ecco come potrei riassumere la promessa.

Una donna ferita che si è sentita schiava dell’amore.

E che cerca di sopravvivere a una vita che regale e poi toglie secondo le sue regole.

Regole che ha scelto lei stessa e che si impone con ferocia e con caparbietà.

Ma la vita, ragazze mie, è molto più saggia di noi.

Accanto alla colonna del rigore esiste sempre lo sguardo materno e accecante della compassione.

La bellezza cammina a braccetto con l’orrore.

E sull’abisso si rispecchiano le soffici nuvole.

Ma non possiamo fare altro, noi miseri e stupidi umani, che guardare solo un riflesso sulla superficie cangiante del diamante.

Dimenticandoci della sua complessità.

Dimenticando che la mappa non è il territorio, che il dolore è solo una chiave capace di farci comprendere cosa davvero sia l’amore, grazie a quello che non è e non potrà mai essere.

Serve lo specchio acuminato di quella sofferenza per potersi davvero specchiare.

E se ci riusciamo, se siamo capaci di osservare davvero ogni linea del nostro volto..saremo liberi.

Liberi di vivere alla luce di un sole abbagliante, capace di riscaldare cosi come di ustionare.

Margaret giura di non amare mai più.

Giura di non lasciare che il suo cuore dipenda più dal sentimento.

Giura di essere libera.

Eppure…

Solo la vita, misericordiosa entità astratta le ricorda che in realtà non può esserlo davvero.

Perché quel fardello che porta sulle spalle e che la costringono e rinunciare a una parte del suo io è un peso troppo ingombrante per poter correre incontro all’Orizzonte.

E sarà un detestabile uomo a farglielo capire.

Perché a vita non si inganna.

Perché le promessa estorte con le lacrime sono solo parole vane.

Perché è in quel dolore che lei incontrerà l’amore quello vero, quello da stingere a se e da non lasciare mai.

Ecco che ogni nostro muro crolla.

Crolla perché non ha più ragione d’essere eretto.

Non è del dolore che dobbiamo aver paure.

Non è della delusione, o della scoperta che il nostro sogno è in realtà un incubo.

Dobbiamo avere paura delle promesse fatte per paura.

Delle catene che il passato forma attorno ai nostri polsi.

Per essere liberi, davvero liberi, dobbiamo soltanto aprire quello zaino, avere il coraggio di svuotarlo per riempirlo di nuovo.

E magari essere sempre pronti a cambiare tramite l’esperienza.

Un regency bellissimo e al tempo stesso attuale.

Perché Margaret è in fondo, dentro ognuna di noi.

E ora sappiamo come darle pace.

“L’ascesa di Miss Notley” di Rachael Anderson, Hope edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Eh si miei amati lettori, eccomi alle prese con un libro di narrativa sentimentale ambientato proprio nel mio periodo preferito: il regency.

Fruscii di crinoline, tè capaci di risolvere ogni dramma, convenzioni rigide e amori appena accennati intrecciati di una passione cosi sensuale anche se contornata soltanto di languidi sguardi e respiri affannosi.

Amori che sfidano le convenzioni, personaggi secondari dipinti con una piccola punta di ironica acredine.

Tempo lontani forse, eppure cosi vicini a noi perché intrisi di pregiudizi e stereotipi.

Perché nonostante oggi la donna abbia conquistato posizioni invidiabili, indipendenze tanto agognata dalla nostra miss Notley lo ha potuto fare soltanto accettando le stesse convezioni, rivedute, corrette edulcorata, che funestavano i sogni della nostra amabile eroina.

Eh si mie adorate lettrici.

Questo è un libro capace di far sognare e sorridere, inneggia ai buoni sentimenti che non stonano con il periodo che sta per illuminare i nostri cuori, laddove è rinascita (del sole, del figlio di dio, del giovane cervo poco importa) a farla da padrone.

Però può anche contenere qualcosa di prezioso per ogni donna, per ogni fanciulla e persino per ogni adolescente che, specie oggi, si trova a dover faticare per essere se stessa.

Miss Notley viene barattata, in quanto avvenente e beneducata in cambio di un’entrata in società, accanto ai nobili accanto alle lady nel bel mondo sfavillante di balli e cottillon.

Tutto per far dimenticare le oscure origini di chi, i soldi e il potere economico, lo ha guadagnato con il lavoro, la fatica materiale senza poter essere benedetto dal nome e dal titolo.

Un titolo elargito non per merito, lontano dagli ideali di un mondo nuovo che tentava di distinguersi dalla madre patria, quanto per sangue, discendenza e chissà quale onore ricevuto in un passato lontano e fumoso.

Ma non è con i nobili che l’Inghilterra avrà il suo peso nello scacchiere internazionale.

Non sarà grazie ai lord e alla lady che avrà il primato di potenza economica e tecnologica, fino a diventare uno degli stati più importanti e potenti della bell’Europa.

Sarà grazie alla borghesia e ai commercianti, alla scienza e ai progressi tecnologici.

Che non saranno certo in mano dei leziosi dandy, ma saranno portati avanti proprio da quel ceto disprezzato a odiato.

Apparentemente.

Perché le rendite prodotte dall’orrore del commercio faranno gola anche ai nobili decaduti, che ahimè con i titoli, piano piano ci faranno molto poco.

E raccontare questo passaggio, in modo non superficiale ma profondo non è affatto facile.

Perché è vero che istintivamente proveremo repulsione per i parenti di miss Notley, cosi rozzi e cosi decisi a rifarsi il look.

Ma a una riflessione più attenta ci faranno pena.

Poi rabbia e poi ribrezzo.

Perché è vero che la figlia rischia di essere sacrificata in un matrimonio assurdo e grottesco, ma questo accadrà perché, per avere il diritto di essere visti e non snobbati, dovremmo accettare le rigida regole sociali.

E cosi i parenti stretti di miss Bennett, non saranno altro che il prodotto di quella stessa società che li incita a darsi una sistemata ma che al tempo stesso li giudica, pregiudica e isola.

Miss Notley diviene, quindi il capro espiatorio di una società chiusa che però per non morire e soccombe al tempo che scorre ha bisogno di iniettare nuove energie e nuovi parvenu.

Però al tempo stesso li rigetta.

E li odia, odia profondamente.

Tanto da usarli si, ma innalzando un muro altissimo tra loro e gli altri, coloro che non sono degni di far parte dei privilegiati, rei di non tenere una classe innata, un comportamento consono e sopratutto di sporcarsi le mani con il denaro.

Denaro che però è necessario a tutti per mantenere i vizi e i capricci della bella nobiltà.

Insomma il denaro regna sovrano.

Eppure la tempo stresso si odia tale dipendenza.

Ma non si può certo farne a meno.

La scelta tra l’integrità di chi ritiene indispensabile conservazione di certi valori e il compromesso diviene uno dei motivi di alienazione, quella che troverà ristoro nei sobborghi, nelle bettole e nella casa di malaffare, laddove sono tutti senza rango uniti dalla stessa sottomissione al peccato.

E chi è la vera vittima di questa società contraddittoria?

Ma la donna ovviamente.

Miss Notley è vittima del malessere schizofrenico della società, dei parenti e anche da chi ritiene un fattore di potere usare la lusinga del titolo per soddisfare la propria sete di giovinezza.

Io compro le donne perché cosi mi sento forte.

Ecco perché spesso le eroine dei regency e dei neo-vittoriani sembrano burattini incapaci di decidere: perché era quella la realtà.

Anch’esse lacerata da due opposte tendenze quelle aspirazioni ideali nutrite dai romanzi e la realtà brutale e oscena che le voleva docili pedine, sottomesse dalla stessa autorità che decideva non tanto il vivere quotidiano quanto anche l’interiorità.

Per essere accettate, viste, onorate e tollerate bisognava stringere il fatal patto con il bel mondo, con le convenzioni e con la schizofrenia di una società sempre in bilico tra innovazione e tradizione, senza trovare un giusto compromesso tra i due.

Però la nostra Anderson, pur tenendo fede allo schema sovraesposto aggiunge un tocco di modernità: la sua eroina.

Che noi chiameramo Cora togliendo ogni orpello di convenzione al personaggio, sogna di reagire alla naturale crudeltà di questo mondo, simboleggiato dai genitori con una scelta al rovescio.

Ossia lasciare si il comodo nido ma non per trovare protezione altrove, e comportarsi secondo il canone prestabilito, ma …lavorando.

E cercando di rendere una vita la sua vita e non la rappresentazione delle aspettative altrui.

Ecco che Cora diviene persona prima che eroina, che lancia un grande messaggio: importante in ogni cotesto che obbliga la prescelta a accettare ogni ruolo, ogni maschera, ogni regola a fregarsene per trovare, semplicemente se stessa nel lavoro, nelle passioni, nella ribellione, nell’amore, nella famiglia, nella politica, nell’ideale.

Poco importa come.

Importante è trovare il proprio posto a prescindere da cosa chi chiede l’altro, la società, i parenti, i sociale, o l’influencer di turno.

Siete voi stesse. Sempre.

Anche a costo di sentirvi sbagliate, di suscitare ribrezzo, clamore e sdegno.

L’alta società non è il mio mondo, e non voglio passare il resto della vita a tentare di essere qualcuna che non sono. Mi sento già fuori posto. Vedete, sono cresciuta nel lusso di cui gode l’alta società, con più vestiti di quanti qualsiasi giovane donna abbia bisogno, domestici e ancora domestici, una stanza delle dimensioni di una modesta casa di un contadino, e qualsiasi altra comodità che il denaro può acquistare. Invece di frequentare una scuola femminile come altre del mio rango, i miei genitori hanno assunto una istitutrice e dei precettori per prepararmi su tutto, dal latino al portamento. In altre parole, sono stata educata per essere un membro dell’alta società, eppure non sono una di loro.

Chi è Cora, lo scoprirà soltanto attraverso l’esperienza, attraverso la conoscenza del se, non certo ricevendo in dote un identità costruita a tavolino da altri.

Ecco cosa vorrei portaste con voi con la lettura di questo libro: sentirvi diverse e pertanto cercare in autonomia il vostro vero nome.

Cosi come ha fatto la nostra Cora.

“The Northcliff series. Il duca. Nessun speranza- Nessun difesa- Nessun condizione” di Emma Lee Bennett, presente nella raccolta “Signore e signori. Una raccolta di romanzi storici”. A cura di Francesca Raffaella Carretto

Una saga storica che affascina e attrae il lettore che sceglie questa storia.

Saranno le atmosfere Regency.

Saranno le peculiarità dei protagonisti.

Il fascino e l’avventura, che la fanno da padroni.

O i misteri e gli intrighi tessuti e raccontati in una storia che si dipana nel corso di decenni e racconta di vicende che riconducono a tempi ormai perduti, ma che vivono nella memoria storica.

Questa “series” accoglie in sé tre storie in sequenza, e leggerle insieme, come un unico libro rende più semplice non abbandonare la consecutio delle vicende, e dimenticarle.

I personaggi perfettamente caratterizzati, sia quelli in primo piano che tutti gli altri, sono inseriti in vicende così ben contestualizzate da consentire al lettore di gustarle appieno e immergersi in un viaggio che lo trasporta in tempi non suoi, vivendoli attraverso gli occhi degli stessi personaggi.

Il contesto storico è colto perfettamente e si evidenza durante la lettura in modo particolareggiato, con accenni anche a eventi reali.

Eppure, diversamente come potrebbe apparire a chi non ama un riflesso delle realtà storiche talvolta troppo pesante e prepotente, durante la lettura non ci si perde anzi risulta piacevole la contestualizzazione storica.

E questo dà pregio al valore dell’autrice che ha saputo cogliere bene quelle atmosfere, riportarle nel suo libro, e renderle fruibili al suo pubblico.

Tutto perfettamente amalgamato, ben costruito, con dialoghi ritmati e incalzanti, che danno vita a scene della quotidianità dei personaggi, talvolta frizzanti e allegre, in altri momenti ricche di pathos e introspezione..

Una forte connotazione a carattere sociale spicca tra le pagine che raccontano una storia che si dipana nel tempo, decenni.

E i personaggi sono così ben caratterizzati che da qualunque angolazione li si guardi, mostrano una sfaccettatura diversa e nuova e distintiva.

Una storia che si sviluppa attraverso gli anni e le vite dei vari personaggi, legati tra loro nel bene e nel male.

Scene forti e violente, ma anche passione e dolcezza, rendono la storia accattivante, mai volgare. Forse talvolta troppo cruda, se si analizzano situazioni che, ahimè, si ripetono anche ai giorni nostri, reali e spaventose.

Atti di violenza contro la donna, sevizie, abusi, tradimenti e molto ancora..eppure tutte scene scritte in modo da essere dosate nel giusto modo, raccontate senza pruderie o ipocrisie e volgarità, ma tenendo alta la tensione e facendo perfettamente intendere l’essenza dei legami, forti, tra i personaggi .

Siamo nell’Inghilterra del 1800,e qui si svolge la storia del Duca e della sua casata. Tra intrighi, violenze e misteri, tra amori e tradimenti, e lotte di potere; spionaggio, omicidi, misteri, ma anche amori e ricatti.

Cosa ci si aspetta da un libro così?

Che dire? Io ho subìto quasi subito la fascinazione di Keiran , dell’uomo e del suo casato … tante volte mi sono trovate a ridere per scene quasi esilaranti, o a essere impossibilitata a staccarmi dalle pagine per l’apprensione di vicende raccontate con crudo realismo, e la curiosità di capire cosa potesse accadere, o come potesse risolversi la situazione.

È una storia che emoziona a ogni pagina, in positivo e negativo, anche se non nego il mio turbamento nei confronti di scene che lasciano poco all’immaginazione, e descrivono violenze fisiche e psicologiche.

Ma anche i momenti di divagazione, quando si vivono le scene di feste e i balli dell’epoca, e tutto ciò che li precede. Tutto è raccontato con grande dovizie di particolari dall’autrice, che ha saputo dar voce a quei tempi, lasciando emozioni vive e a pelle.

Non di meno i colpi di scena raccontati, e descritti.

Ma anche l’amore e tutti i sentimenti descritti nel libro e vissuti dai personaggi, che danno la sensazione di poter vivere la loro storia di persona… e poi misteri, intrighi che fanno da sfondo, lasciandoti spettatore di una forte suspense.

Posso affermare che è molto di più che un romanzo storico. Di fatto è introspettivo e molto dettagliato nella descrizione dei personaggi, dei quali quasi se ne riesce a percepire il profilo psicologico; tutto è ben descritto, e si osserva anche un interessante riscontro sui costumi dell’epoca, con un’attenta analisi delle regole sociali del periodo stesso.

Proprio in questo sta il valore dell’autrice, che ha saputo approfondire il periodo storico e darne una forte denotazione al racconto.

Naturalmente, alla lettura, emerge il carattere ribelle e anticonformista della protagonista femminile, che mostra di avere conoscenze fuori dalla norma per le donne di quegli anni (ebbene è estremamente moderno questo modo di esser donne, che rende forte il divario con le figure femminili dell’epoca)

Altresì ben caratterizzato il personaggio del Duca, che si mostra con molteplici caratteristiche, peculiari certo per l’epoca, e non meno interessanti.

Come interessante, da parte dell’autrice, è aver trattato temi estremamente moderni, come quelli legati a dei disturbi che sono attualissimi e sdoganati. La dislessia è un disturbo che si conosce da fine 1800, ma che forse oggi non provoca quel pudore che invece, probabilmente, in altre epoche era manifesto, perché non si conosceva bene, e forse non si accettava. Per questo il protagonista, il Duca, mostra disagio e quasi vergogna per questo suo problema.

Ma non è l’unica cosa che lo caratterizza. Di fatto quest’uomo ha tante peculiarità. Caratterizzare il Duca forse non è stato semplice per l’autrice, perché lo ha arricchito di tante sfaccettature. Pregi e difetti. Ma ciò che lo rende speciale è il suo potere.

E, orbene qui si sfiora il fantasy, con poteri da guaritore posseduti dal Duca, e che lo rendono un personaggio unico e interessante.

Il libro è ben scritto, con personaggi dal carattere ben delineato , descrizioni minuziose ma mai scontate, avvincente, una storia ben strutturata, piacevole e interessante .

Si intrecciano varie vicende, che si sviluppano parallelamente alla storia principale, tutte collegate tra loro e che danno l’idea di tante facce della vita di una famiglia e di ciò, o chi le gira attorno.

Forse durante la lettura ci si può perdere nelle descrizioni, ma se pure in alcune parti un po’ prolisso, le vicende si snodano perfettamente rendendo realistica l’ambientazione storica .

Dialoghi, narrazione, descrizioni arrivano al lettore che riesce a far suo ogni momento, ogni parola, ogni emozione.

Fatti, eventi, avvenimenti coincidono tutti, e forse anche questo merito va all’autrice, che ha saputo creare una storia congruente che può soddisfare un lettore curioso e che ama anche alleggerire il proprio peso emotivo.

A chi sarà incuriosito e lo sceglierà, buona lettura!

“Un cucchiaino intagliato” di Jayne Davis, Vintage editore. A cura di Patrizia Baglioni

Ci sono tanti modi per dire “Ti Amo”: i poeti del dolce stil novo si rivolgevano all’amata con i propri versi, i cantanti invece lo esprimono in melodia.

I ragazzi di oggi lasciano le proprie iniziali su lucchetti agganciati su un ponte e quelli di un tempo le intagliavano sulle cortecce degli alberi.

A volte non è semplice dichiararsi, le parole non sono per tutti, e allora si regalano fiori, cioccolatini o cucchiai.

Cucchiai?

A quanto pare sì, è un’antica tradizione del Galles.

Un giovane per dimostrare il proprio impegno verso la ragazza che vuole sposare, le regala un cucchiaio di legno, dove con metodo e cura ha inciso le iniziali di entrambi e simboli unici che li riguardano da vicino.

Il risultato è una promessa d’amore condivisa.

Non conoscevo questa particolare consuetudine, e a quanto pare neanche Isolde detta Izzy, che cresciuta in Inghilterra si trova sbalzata nel selvaggio Galles, che seppur territorialmente vicino, appare per usi e linguaggio completamente estraneo alla giovane.

D’altronde un pò se lo è meritato, lei figlia della migliore aristocrazia inglese, a quasi 21 anni temporeggia sulla scelta di un marito.

Eppure la sua bellezza così come la sua dote, attirano corteggiatori ambiti, ricchi, di sangue blu e perennemente impegnati a non far nulla.

Ah no, una cosa la sanno fanno, la stessa che ogni santo giorno fa suo padre: le dicono cosa pensare e soprattutto si intromettono nelle sue scelte.

Qualcosa nell’educazione di Izzy non ha funzionato, perché una ragazza di inizio Ottocento ha deciso che sarà lei a stabilire chi sposare e sicuramente non sarà un uomo che le imporrà il suo volere.

Isolde dimostra determinazione e il padre per punizione la invia dalla zia esule in Galles, per dimostrarle quanto può essere dura una vita di ristrettezze e solitudine.

Nonostante i presagi siano tutti negativi, Izzy trova nella casa della Zia Genie, un nido di felicità, un rifugio in cui curare la sua scontentezza e irascibilità.

Qui ha l’opportunità di mettersi alla prova, comprende il significato del lavoro, muove i primi passi nella conoscenza della politica e dell’economia del paese, ma soprattutto entra in contatto con persone che il suo rango le hanno sempre impedito di incontrare.

Chiacchierare con la servitù o i contadini della zona, le permettono di capire come va realmente il mondo, che fino a qualche tempo prima pensava fosse fatto solo di balli e mussolina e la curiosità prende il sopravvento, Izzy vuole saperne sempre di più.

Certo, nella sua rinascita personale c’entra Rhys, un commerciante di lana amico della famiglia di Zia Genie.

Ogni incontro tra i due piega l’altezzosità di Izzy con incidenti che puntualmente mettono a disagio lei e fanno sorridere lui.

E così nasce una storia contrastata dalla differenza sociale, dalle loro incertezze e dagli eventi esterni.

Una vicenda appassionante dove i protagonisti si muovono con leggerezza portando a galla tematiche importanti: la disparità di genere e la discriminazione sociale in base all”appartenenza di classe.

Tra le pieghe romantiche degli eventi, si scorge la dimensione politica dell’epoca e i differenti punti di vista che rendono la caratterizzazione del periodo ancora più convincente.

E il cucchiaio?

Do solo un’anticipazione per non rovinare la piacevole lettura, stavolta non è di legno!

Ho apprezzato molto questo romanzo che si distingue dai regency classici innanzitutto per l’ambientazione che si discosta da quella solita e poi per la portata delle tematiche trattate che non ne fanno una semplice storia d’amore, ma costruiscono una storia di vita.

E se anche voi in amore volete essere originali, disegnate, scolpite o semplicemente decorate un cucchiaio di legno e donatelo a chi amate con la premura di chi consegna il suo cuore.

***

Jayne Davis. Nata in Inghilterra, al confine con il Galles ha vissuto in diversi luoghi, incluso un breve periodo a Singapore e Malta. A Malta si appassiona di romanzi storici inclusa la collezione completa dei romanzi di Georgette Heyer. Da qui la decisione di scrivere romanzi simili a Jane Austen e Georgette Heyer.

“Indomita e ribelle” di Sabrina Boccia, O.D.E. edizioni. A cura di Raffaella Francesca Carretto

…è ammaliante l’idea che la felicità di qualcuno sia interamente nelle mani di una persona (Ragione e Sentimento – J. Austen)

Un animo indomito, una storia d’altri tempi. Eppure un quadro così moderno se analizziamo i personaggi in sé. Quanto può esser corretto attendere l’amore vero.

Ciascuno di noi crede fermamente nella propria indipendenza di individuo, uomo o donna che sia. E nella possibilità di scelta.

Eppure la storia ci dimostra quanto può essere ingiusta un’epoca, per chi anela all’amore.

La donna ha diritto di scegliere per amore chi avere al proprio fianco. E fermarsi alle apparenze non è mai una soluzione.

voleva trovare l’amore, come era stato per i suoi genitori e come aveva letto tante volte nei suoi amati romanzi

Ieri come oggi, la figura femminile ha ricevuto condizionamenti così forti dalla società, che ha dovuto indossare un’armatura e prendere in mano armi potenti per avere finalmente voce .

E non è stato semplice arrivare a questa indipendenza.

Eppure spesso scegliamo di vivere delle storie romanzate che ci trasportano in un’altro mondo, per vivere un amore da sogno, un’avventura, e immedesimarci in una protagonista così diversa da noi, eppure così simile a noi.

Una donna che vuole scegliere.

Una donna che vuole vivere. Senza preconcetti e condizionamenti, rispettando però quei confini che l’ambiente e il contesto dell’epoca consentono.

Ed ecco che l’indomita e ribelle, la nostra protagonista, una protagonista fuori dagli schemi, Lady Cristina ci fa vivere il suo mondo nell’Inghilterra di metà Ottocento, un mondo che si affaccia al progresso eppure è ancorato a retaggi del passato.

Cristina ha un animo ribelle, vuol esser libera dai condizionamenti che la società impone, e lo è.

Questa giovane lady è estremamente moderna nei modi e nelle idee . Vive secondo il suo pensiero, noncurante degli altri. Coraggiosa, impertinente e impetuosa, ha però un lato romantico che la rende donna dell’Ottocento.

Perché nel XXI secolo amiamo così tanto leggere storici?

Non è semplice immedesimarsi in una storia d’epoca, perché è di questo che parliamo quando intraprendiamo quel viaggio che è la lettura di uno storico. Far nostri i personaggi, provare le loro emozioni, vivere i loro struggimenti, piangere e ridere e sognare.

Viaggiare tra le pagine di un libro, non ha nulla di semplice. È sentire il momento, quasi con la stessa intensità con cui viene pervasa la vita dei protagonisti. Vivere le loro passioni, i loro dolori, le angosce e le ribellioni.

Eppure cerchiamo queste storie.

Forse è il gusto di un’epoca che abbiamo solo letto nei libri di storia. Non vorremmo viverci, ma ci piace immaginarci in quegli anni. Ricostruire dei momenti. Immedesimarsi in un protagonista, col quale abbiamo delle affinità.

Cristina è una dei protagonisti di Indomita e ribelle. E la sua vita e la storia che leggiamo tra le pagine del libro, si intrecciano con quelle di due uomini.

Jack e Philip. L’amato fratello di Cristina e il suo migliore amico.

Entrambi sono l’esempio del rampollo nobile Ottocentesco, libertino, scavezzacollo e sconsiderato.

Refrattari all’amore e alle convenzioni che il loro ruolo impone, questi due rampolli della nobiltà si dedicano al loro sollazzo, complici e spettatori ma soprattutto attori del loro destino.

Eppure le loro vite si intrecciano e vengono coinvolte in situazioni anche non semplici.

Persino avventurose e dal forte impatto emotivo.

È forte il senso di libertà che pervade le vite dei protagonisti, che vogliono essere liberi di scegliere il loro destino, scegliere come vivere e con chi. Soprattutto in questo sta la modernità del personaggio femminile, che ha un carattere impetuoso, fiero, che non si sottomette se pur accondiscende ad alcune richieste, ma lo fa per prender tempo e cercare la direzione che più si confà alla sua vita.

E questa direzione converge e al contempo si scontra con quella della vita di Philip, gentiluomo dell’alta società dalla personalità libertina e ribelle.

La storia si muove inizialmente tra le scaramucce dei protagonisti, e le forti emozioni dettate soprattutto dalle personalità forti degli stessi. Per poi continuare in una trama di circostanze avventurose che vedrà coinvolti i nostri personaggi.

L’autrice dà modo al lettore di vivere la storia in modo vivido, empatizzando coi personaggi, quasi a compiere un tuffo nel passato, attraverso descrizioni dettagliate che rendono percettibile il contesto e i personaggi.

La scrittura è scorrevole, elegante e mai volgare. Curata nei dettagli e ben costruita, la storia ci consente di prender parte alla vita dei personaggi osservandoli e forse vivendoli nelle loro molteplici sfaccettature.

L’autrice ha altresì saputo far rivivere le peculiarità dell’epoca, consentendo al lettore di immaginare, e forse rivivere, quei contesti e i paesaggi e gli scenari del tempo che fu.

È una storia che parla di legami, profondi e sinceri. E di libertà di scelta. Perché la vita non è una gabbia che il destino ci impone.

Lui un libertino impenitente (?)

Lei una lady fuori dai ranghi

A chi sarà incuriosito e lo sceglierà, buona lettura!