“Nigeria”, Andrea Monticone, Buendia Books. A cura di Barbara Anderson

Avete presente il mal d’Africa?

Ne avrete sicuramente sentito parlare, e chi come me in Africa c’è stato potrà capire quanto quel territorio così bello e affascinante, ricco di tradizioni e di cultura; dai paesaggi mozzafiato, lasci un immenso segno nel cuore una volta che lo si è visitato.

Quando mi è stata proposta questa lettura non ho letto la sinossi del romanzo, ho preferito tuffarmi nel vuoto, senza aspettarmi nulla, l’unica cosa che ho fatto e che faccio per ogni romanzo che leggo è stato quello di andare su Google e di cercare i luoghi in cui il romanzo è ambientato.

Si parla di Italia e di Africa in questo contesto.

E, seppur io abbia visitato una bella fetta del territorio africano, in Nigeria non ci sono mai stata e quando digito “Nigeria” sul motore di ricerca del computer mi appare subito questa dicitura:

Riconsiderare i viaggi in Nigeria a causa di criminalità, terrorismo, disordini civili, rapimenti e bande armate”

Ecco qui, come da immagini di paesaggi mozzafiato, si giunge a un contrasto di delinquenza e di violenza assoluta.

Peccato.

Sapevate che la mafia nigeriana è la più potente organizzazione criminale africana che opera al di fuori del continente?

Espandendosi in Europa, Sud America, Brasile, Guayana francese…

La Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa, con oltre 180 milioni di abitanti, secondo delle ricerche effettuate vi operano più di cinquanta gruppi criminali organizzati. 

Si chiamano società segrete, confraternite.

Alcuni sono emersi come gruppi attivisti contro il razzismo nelle università.

Ad oggi sono clan, bande dedite al traffico di esseri umani, traffico della droga, di armi.

Sono spesso guidati da individui di alta classe, politici e importanti uomini d’affari della Nigeria.

Che differenza sussiste tra la mafia nigeriana e quella italiana? 

La mafia italiana differisce da quella nigeriana perché sia gli autori che le loro vittime provengono dall’estero e vivono al di fuori della società tradizionale.

Eiye, Black Axe, Vikings, Maphite, sono nomi di gruppi con i quali gli inquirenti italiani hanno sempre più familiarità.

Nati in Nigeria da confraternite universitarie, i clan sono oggi agguerriti sia in patria che all’estero: droga, prostituzione, traffico di esseri umani, i sodalizi criminali riescono a inserirsi in molti Paesi, in tutti e cinque i continenti.

Con queste premesse e informazioni importanti entriamo nel cuore di questo romanzo. Già dalle prime pagine ci ritroviamo davanti a un tavolo, in un locale notturno dove si suona musica jazz: 5 uomini bevono e ridono quasi fino a perdere il respiro, sono Gabriele Soldano, Natuzzi, Grosso, Bernie, il silenzioso e timido Stilo.

Sembrano solo 5 amici ma sono anche colleghi appartenenti alla DIA (Direzione Investigativa Antimafia) cosa hanno da ridere così tanto?

Beh, per la figuraccia che Sodano ha fatto entrando, senza essere stato di fatto invitato, nell’ufficio di uno dei magistrati trovandolo in una situazione diciamo piuttosto “scomoda”.

La narrazione è da subito avvincente, coinvolgente, ci si sente parte di un team che ha personalità, carattere ed esperienza, stanno cercando di rilassarsi prima del processo giudiziario in cui alcuni di loro son stati presi in causa.

Un criminale nigeriano chiamato Magic Ugbalo 35enne aspirante boss della mafia Nigeriana ha avuto l’audacia di passare da criminale a vittima dello Stato. 

Coinvolti tutti in una missione di polizia, a causa di una sparatoria i colpi di arma da fuoco di Soldano e Natuzzi hanno ridotto il potente uomo sulla sedia a rotelle.

La condizione di salute precaria gli ha persino escluso l’incarcerazione poiché la vita di penitenziario non era sostenibile con le sue condizioni di salute.

Magic ha fatto causa allo Stato e i nostri due eroi si trovano a dover rischiare il loro lavoro, la loro divisa e la loro vita solo per aver fatto il proprio dovere.

Magic Ugbalo ha perso l’uso delle gambe ma ciò non ha impedito la sua risalita nelle vette della malavita. 

Viene chiamato dai suoi uominiil risorto poiché era apparentemente deceduto. Evento che ha dato a quest’uomo un potere più forte della violenza che era abituato a elargire.

Magic, anche conosciuto come: l’uomo con l’ascia per il suo metodo di far “pulizia” di nemici attraverso una lama tagliente con cui decapitava le persone; ora aveva il potere della religione come se fosse un uomo dalle doti soprannaturali, un uomo di potere immenso religioso.

Soldano si troverà a dover affrontare il ghigno di Magic in tribunale ma ci sarà una svolta importante, un pentito, nigeriano, ex compagno di università di Magic; disposto a parlare per rivelare le attività del nigeriano, Soldano si troverà a dover andare in Nigeria per prelevare questo testimone e riportarlo in Italia sano e salvo.

Magic ha collaboratori e amici fedeli ovunque ma quanto si rimane fedeli a uno spietato criminale quando la posta in gioco è la nostra stessa vita?

Soldano è in pericolo, la sua vita, la sua divisa, il suo onore è in pericolo e Magic è spietato, ha una rete malavitosa fittissima che ha radici ovunque, nessuno riuscirà ad avere scampo.

Con un ritmo adrenalinico continuo vi sentirete di vivere azione pura.

Arriverete in Nigeria dove incontrerete spie, e anche uomini di religione cattolica come Fra Cristoforo; imboscate, attentati, sparatorie, colpi di ascia e di armi da fuoco, ansia paura, terrore, odio, rabbia, vendetta, lotta al potere.

Conoscerete il lato oscuro della Nigeria ma anche il lato buono, quello umano attraverso la giovane Ayodele e la sua storia con Salimah.

Sfide corpo a corpo, battaglie faccia a faccia dove per dimostrare chi è il più forte bisogna attaccare il nemico maggiore sconfiggendolo davanti agli occhi dei suoi seguaci. 

Un prete, un criminale, un agente della polizia ferito e poi la sconfitta del male e il silenzio di chi fino a poco prima degli eventi disastrosi che sono accaduti non aveva ancora avuto il coraggio di pronunciare una frase composta da due parole.

Ti amo.

Le cose che non si dicono sono le cose che vanno dette quando si rischia di perdere l’opportunità di pronunciarle.

Romanzo assolutamente coinvolgente e avvincente.

Ringrazio l’autore e Buendia Books per avermi dato questa opportunità di lettura veramente interessante.

“La ragazza che non sapeva piangere” di Massimiliano Gizzi, Nero press. A cura di Alessandra Micheli

Cattivo.

Crudo politicamente scorretto.

Agghiacciante.

Disturbante.

Insomma anche stavolta Nero Press ha dato alla luce un capolavoro!

So che molti di voi inorridiranno a queste mie parole, ma un thriller anzi un hard boiled che si rispetti deve essere totalmente disdicevole.

Deve mostrarmi il lato più oscuro di ogni essere umano senza scusanti, senza redenzione senza fronzoli.

Semmai deve redimere noi, quella parte del nostro io che ancora pensa che a volte la violenza è una sorta di riparazione dei torti.

Alzi la mano chi tra voi non è mai stato sfiorato da questa idea.

Nessuno vero?

Perché di fronte a certi gesti a certe oscene situazioni un lato di noi, quello cattivo, quello che non sa piangere, si risveglia.

E ci fa essere delle vere e proprie macchine da guerra.

La ragazza che non sapeva piangere, quindi riesce a esplorare il disagio in ogni sua forma.

Da quella più complessa del serial killer, fino a un disagio non molto evidente che rende la protagonista Carotina davvero un personaggio indimenticabile.

Ma per nulla piacevole.

Una sorta di blocco emotivo la rende a tratti arida, come se la compassione non riuscisse a sopravvivere nel suo sistema Mente e ne venisse sciolta, come se in essa invece di uno spirito fatto di essenza vagasse libero un acido corrosivo.

E già dalle prime battute Carotina non fa affatto pena.

Anzi.

Provoca una sorta di disagio a noi che la leggiamo e una sorta di oscura ammirazione poco accettabile per noi esseri civili.

Ma anche gli altri protagonisti che ruotano attorno ai pilastri principali non sono da meno.

Un essere fatto di rabbia, che lungi da usare le tecniche marziali per contenerla, la rende uno strumento per lasciarla scorrere libera.

Un povero ragazzo che è vittima dei suoi vizi fino a diventarne ossessionato.

Fino a concedere a quei vizi troppo spazio lasciando che essi facciamo evaporare ogni sentimento positivo.

Ragazzi annoiati che combattono tale ozio con la violenza.

Insomma un mondo distopico che però, se osserviamo bene non è affatto cosi lontano da ciò che viviamo oggi: omicidi seriali, ferocia di gruppo, atti di rabbia inconsulti e una sorta di apatia di fronte al sangue e al terrore.

Cosi assuefatti da scenari di disumanità da esserne diventati schiavi. Anestetizzati di fronte a questi pugni che dovrebbero risvegliare il rifiuto netto verso queste estreme forme di disagio.

Eppure..

Se è vero che in questo testo non ci sono ne buoni ne cattivi, ne eroi ne vittime qualcosa accade di profondamente poetico…

Una lacrima viene quasi stuzzicata dal dolore.

Il dolore per la perdita.

Un dolore che dona una sorta di adrenalina capace di spezzare in proprio favore la catena della sottomissione.

Non più e forse mai stata vittima.

Ma energia pura diventa la nostra Carotina.

Energia oscura sicuramente.

Energia da temere.

E da bambola in cerca di una sorta di risveglio dell’anima assetata e inaridita si trasforma in una vendicativa dea Kali, in cerca di sangue, in cerca di vendetta.

E tutto questo è reso ancora più potente dal contrasto tra il nome che evoca dolcezza indifesa e fragile e quegli occhi asciutti, che sprizzano scintille e che sono buchi neri di rabbia.

Alla fine, con l’ultima sofferta pagina, restiamo ammutiliti e profondamente indifesi.

Siamo noi a essere discesi nell’inferno.

A aver toccato l’estremo orrore di cui è capace un uomo.
Senza parole

avvinti dalla crudele magia di un autore che sapientemente sa usare la parola e le immagini che essa sa evocare.

E magari alcuni di noi decideranno di essere diversi.

Magari è solo la compassione a poterci allontanare da questo scenario cosi tenebroso eppure,,,cosi accattivante.

Perché in fondo, inutile nasconderlo, Carotina continuerà a infestare i nostri sogni e a tentare di sedurci.

“Carne mangia Carne” di Andrea Monticone, Buendia books editore. A cura di Alessandra Micheli

L’impatto del libro è quello di un documentario, la stessa forza distruttiva, la stessa angoscia che non può essere risolta dalla convinzione che, in fondo, si tratta di falsificazione del reale.

Scordatevi le teorie di Calvino, quelle sul romanzare le sensazioni che la vita di ogni giorno ci regala, sulla leggerezza.

Il massimo a cui potete aspirare è il concetto della rapidità degli eventi che, come lame di rasoio incidono la nostra coscienza.

E cosi carne mangia carne diviene risveglio brutale di chi in fondo era convinto che, il nostro bel paese fosse in fondo un paradiso idilliaco e che tutte le brutte notizie fossero solo una rara eccezione, incapace di sputtanare la regola basata sulla civiltà.

Un popolo di santi e navigatori, del tutto alieni alla brutalità della malavita che restano nel sottobosco, negli angoli di una periferia che si tende e dimenticare, a ignorare e rendere inesistente dalla pedissequa abitudine a voltare altrove lo sguardo.

E cosi nella Torino di oggi, elegante signora blindata per causa corona virus, l’orrore è libero di sfogarsi prospettando nel silenzio a cui la pandemia ha costretto i suoi cittadini.

E si manifesta in tutta la sua violenza, rendendo stavolta impossibile raccontarsi una storia diversa fatta di edulcorati sentimenti e di accusa di complottismo.

Il coronavirus non solo uccide il corpo ma si sbarazza anche della tendenza umana al quieto vivere. Infrange il muro della complice acquiescenza di valori dimostratisi fallaci, distrugge ogni convinzione di potenza e di invincibilità.

Porta allo scoperto quelle ombre che viaggiavano assieme a noi, abituata a non essere nominate e pertanto più forti.

Cosi non emerge solo un sistema politico debole con tutte le conseguenze del caso, non emerge solo l’incapacità ottusa di un economia che da troppo tempo causa danni.

Non emerge solo la vulnerabilità di un ecosistema che sembra vendicarsi mietendo vittime, ne di una sanità che mostrai l suo volto ferito da tanti, troppi tagli.

Si manifesta in tutta la sua potenza la parte marcia della società che viene quasi divorata da quest’abitudine alla scorciatoia.

E cosi la mafia nigeriana perde la sua fama di ribellione per rivelarsi un altra triste storia di denaro, di volontà di erigersi a superuomini burattinai di marionette spersonalizzate da ogni diritto a esistere. Emblematica è la prima frase di questo libro agghiacciante nella sua crudeltà e necessaria perché capace di sferrare pugni al nostro addormentato senso civico:

«Devi solo scopare o morire. Prima scopi e poi muori.»Joy Beauty gliel’aveva sentito ripetere tante volte. Anche in italiano, perché lui voleva parlare sempre in italiano.«Sei una donna. Servi solo a scopare. Finché muori. E scopi o muori.

Ecco cosa si cela dietro alle mafie, la trasformazione di soggetti in prodotti commerciali utili alla soddisfazione di un bisogno primario o secondario, da gettare via una volta che l’uso continuato lo rende inservibile.

E’ il consumismo sfrenato che si nutra di trasgressione, che si alimenta dalla voglia di andare oltre il limite del consentito.

Che fa passare la brutalità per forza e la vigliaccheria per onore.

Ogni mafia, in fondo, si differenzia per il rituale di affiliazione, ma diventa identico nell’esaltare la povertà di valori, e banalizzare l’uomo, per abbruttirlo e renderlo sempre di più schiavo delle proprie pulsioni basse. E cosi potere, denaro, manifestazione di un superuomo che è in realtà piccolo di fronte alla natura che si ribella in preda a un virus che sembra vendicarsi di noi esseri tracotanti e arroganti, divengono gli estremi in mezzo a cui viaggia un solo elemento: la nostra povertà interiore.

E su questa alimentata da troppi tante serie televisive e film dove diventa quasi stridente il messaggio distorto che rende un uomo qualunque misero e fragile il mito da ammirare, il libro di Monticone diviene necessario nella sua cruda lucidità, nel suo devastante realismo, per far cadere i falsi miti che ci ancorano alla visione di una terra dove appunto carne mangia carne.

Dove la vendetta diventa il mezzo per risolvere i conflitti interiori e la sopraffazione sostituisce orribilmente la cooperazione.

E cosi chi porge l’altra guancia è lo stupido da biasimare, mentre chi strappa il cuore di chi osa ribellarsi diviene quasi il dio da venerare.

Non è cosi ragazzi.

E leggendo il libro forse, lo spero per voi, ve ne renderete conto.

Non esiste gloria né nella vendetta,ne bellezza e onore nelle scorciatoie.

“Delirium tremens” di Luigi Elia, Cavinato Editore. A cura di Francesca Giovannetti

dwelirium tremens

 

Allucinazioni e  psicosi:  delirio tremante

Ultima fatica del progetto “Giallo Sporco”.

Questa opera non lineare ha una sua deriva, comprensibile a chi va oltre il testo. Questo è necessario fare, come l’autore stesso ci invita, nelle sue aperture in prima persona, dalle pagine del diario di uno sconosciuto vagabondo.

Sebbene il delirio tremante possa essere riconosciuto in quello di un personaggio che lotta contro i demoni della dipendenza dall’alcol, in realtà il titolo si riferisce al delirio dell’intera umanità.

L’autore ce la presenta senza filtri, con poche e scarne descrizioni fisiche dei personaggi, tratteggiate con singole pennellate.

Elementi minimi, ridotti all’essenziale.

Ogni figura richiama un umano sentimento: ambizione, sconfitta, vergogna, riscatto, brutalità.

Poche luci, tanti ombre.

I temi trattati sono tanti, forse troppi, ma trovano la giustificazione della loro presenza nel voler rappresentare un quadro caotico, moralmente abbietto, il vortice oscuro della peggiore specie. Sete di denaro, noncuranza del valore della vita umana, il gioco di potere del forte al danno del debole.

C’è una via d’uscita?

Dovete scoprirlo leggendo, guardando dentro ogni personaggio e poi dentro voi stessi, facendovi le domande giuste.

Un giallo che ruota più sui personaggi che sull’indagine. Sui punti di vista, sulle emozioni e sulle reazioni. Il mondo va come noi permettiamo che vada. Ciò che è giusto può trionfare se noi lo permettiamo.

A quali patti siamo disposti a scendere?

Un’opera che lascia un senso profondo di inquietudine.

Un libro da comprendere con lentezza.

Dimenticate i commissari duri e puri o gli idealisti dannati, dimenticate ogni stereotipo del genere giallo.

Ci vuole abilità nel raccontare l’umanità attraverso una trama poliziesca, che sembra quasi l’espediente per un invito alla riflessione.

Questo non significa che vengano a mancare gli elementi base del genere: il lettore avrà una vittima, un investigatore privato, un poliziotto, un magistrato, avrà una trama di indagine, scoprirà la rete dietro al delitto, ma se si fermerà solo a questo, perderà il senso delle parole.

E poi c’è la protagonista indiscussa: Roma. Città bella e dannata, raccontata con cruda spietatezza. Roma è la cornice nella quale l’umanità viene dipinta. L’essenza di questa umanità è nel nostro potenziale.

Un giallo, sì, o meglio un giallo sporco. Da leggere componendo un mosaico della trama e di noi stessi, al medesimo tempo. E non è detto che il risultato sia quello che ci aspettiamo.

Un libro da leggere con occhi diversi, andando oltre.

Ne se siete capaci?