“NightCrawlers” di Tim Curran, Dunwich edizioni. A cura di Micheli Alessandra

 

L’orrore fa bene. E’ salutare e oserei dire terapeutico. Sempre se non siete psicotici quanto me e vi decidiate di leggerlo di notte, in completa oscurità, salvo una piccola luce flebile accanto, con un gatto nevrotico che si decide, proprio in quella tetra notte, di fissarvi insistentemente con occhi fosforescenti. Ed è quel dettaglio (capirete solo leggendo il libro perché è terrorizzante) che costringe l’impavida blogger a rifugiarsi ululando nel bagno (mai nel ripostiglio delle scope) Mentre il micio fissandomi ancora con sguardo penoso sicuramente penserà” Volevo solo dei crocchi stupida umana!”

Il pregio di questa esilarante (per voi sicuramente non certo per me) episodio è che l’autore americano doc abbia avuto la necessaria maestria per creare in quelle pagine l’orrore. Un orrore che striscia, che trasuda dal libro come una melma soffocante, putrida e che non può non riempire il pensiero di pura adrenalina. Il terrore salva la mentre dai suoi demoni, perché riesce a esternarla sotto forma di entità da osservare in ogni dettaglio fino a sopportarne la vista e perché no affrontarle, accettarle o abbracciarle. Ogni horror ha questa funzione salvifica, vi fa sprofondare nel baratro vi sciocca e vi dona un nuovo schema mentale. Del resto come ci ripeteva un grande autore di racconti del terrore Gustav Meyrink, soltanto uno schiaffo in volto, forte e improvviso può farci calare il velo di Maya e vedere l’altro lato del reale o per essere più poetici l’altra faccia della luna.

Per questo amo l’horror. Non soltanto perché, come ognuno, ho bisogno di una sferzata di energia per non affogare nelle placide acque del quotidiano, del sempre uguale, ma anche perché i demoni vanno nominati, visti, altrimenti germogliano serafici nell’invisibilità. Ciò che non si identifica aumenta il suo potere, menzionare, invece, ci permette di comandare, di togliere quella patina di incomprensibilità che aumenta il potere spaventoso di emozioni, mostri e spiriti. La verità rende liberi, diceva la Bibbia.  La paura del nome non fa che accrescere la paura della cosa stessa, sentenzia l’Hermione della Rowling.

E Curran fa di più. Non nomina soltanto ma rimesta nel torbido, scopre segreti, mette in luce ciò che l’uomo pavido nasconde. Scava, identifica, spiega anche se la spiegazione può portare sull’orlo della pazzia. E in questo angoscioso viaggio, attraverso i tabù più sentiti della nostra come della passata epoca, (il vilipendio di cadaveri e il cannibalismo) ci troviamo a dover affrontare la prova più difficile: permettere alla nostra coscienza di cambiare finalmente prospettiva, di adattarsi, di morire, per poi rinascere. E alla fine, in fondo, non potrete che amare quel posto dall’aria mefitica, un luogo che rasenta la blasfemia, pieno di terribili crawler (esseri striscianti) che si impadroniscono della tua mente, fino a farti diventare uno di loro. Perché è quello il bello di un vero horror, alla fine non si sa in fondo, chi siano davvero i mostri, chi sia il vinto e il vincente. Le carte si rimescolano e si formano nuove idee. Ma attenzione. Un horror non è mai inno del male. Il male è quello che noi spesso sotterriamo, che non comprendiamo e che fa germogliare figure deformi. E non sono le figure siffatte a essere davvero crudeli, è la loro natura non possono non essere entità di un altro universo come in Lovencraft, esseri di un’altra genia, la follia come in Shining, fantasmi, ghoul, licantropi e vampiri. Loro sono ciò che sono. Vivono e agiscono secondo la loro prospettiva. Ma chi li genera, chi li produce, o chi li usa per propri fini, per ribellione, per ricerca di potere è il vero malvagio. Non sarà il libro Necronomicon a essere il vero protagonista malevolo, ma sarà sempre chi deciderà di usarlo scatenando, in un preciso contesto, la dissonanza che porterà a conseguenze disastrose. Gregory  Bateson lo diceva sempre, la finalità cosciente produce mostri.

Ed è la stessa cosa che accade nel tranquillo (si fa ovviamente per dire) misterioso sonnolento paese del Michigan, Clavitt Fields che iniziano a accadere misteriosi eventi che, emersi in un susseguirsi ossessivo, porteranno alla fine…No.  Non ve lo dico. Dovete leggerlo. Ma dovete proprio.

Clavitt Fields è un paese addormentato. Nato e prosperato sotto un orrendo segreto. Un segreto che, come spesso accade è spaventoso perché nascosto. Del resto il segreto è questo no? Segreto deriva dal latino secretum composto da se ossia separazione e cernere separare. Questo aumenta il suo significato di cosa appartata, riposta, occulta. In sostanza quello che nessuno trova conveniente far illuminare dalla luce della consapevolezza. Orribili scheletri nell’armadio che lì devono restare, crimini inconfessabili, vizi, aberrazioni, deliri di potere e persino follia, tutto deve restare arcano. Misterioso, disgiunto dalla buona società affinché non generi contagio. Vigliaccheria? Forse. Stupidità? È l’uomo che non ama mettere in mostra quel lato oscuro di se, ne rifugge, lo ignora, ma esso avanza con passo cadente, barcolla, zoppica ma alla fine emerge sempre. Perché il pozzo del peccato, della violazione del patto tra noi e un dio invisibile non si rompe. E se viene soltanto sfiorato, allora la divinità si scatena.

Il dio Ecologico non si può beffare

Gregory Bateson.

E il dio ecologico è quello che sorregge l’impalcatura della nostra umile, misera, strana e straordinaria vita umana:, nascita morte e rinascita, in un eterno ciclo, trasportati dalle emozioni che a loro volta nutrono questa terra da cui un giorno torneremo e da cui traiamo sostentamento. Cosa tirar fuori o coltivare in questa terra è la nostra responsabilità. Possiamo produrre o corrompere, dipende dalla volontà, dalle intenzioni.

In questo agglomerato urbano, rimasto sicuramente ancorato alla sua “nefasta” storia c’è una volontà di ribellione sotterranea. Da li nasce il segreto quando le persone, che facevano della repressione il loro fine ultimo, ( i puritani) trasmisero questo morbo infetto alla loro discendenza. Non vivevano tanto per onorare una vita proba, si costringevano a farlo. on sottovalutate questo sforzo di costrizione, che sfocia prima o poi alla ricerca di una modalità con cui alleggerire il peso delle convenzioni perché è alla base del libro, ne preserva la sua struttura e ne fa il significato predominante. E influenza la fine.

Quest’oscura atmosfera si avverte fin dall’inizio dei capitoli, che sono i più terrificanti. Concordo con Bauty in Ruins quando sostiene:

I capitoli d’apertura sono i più terrificanti che io abbia letto da molto tempo a questa parte.

Assolutamente d’accordo. Inizi il testo con quest’oppressione che aumenta pagina per pagina come se la scena l’ambientazione fosse sbagliata. Distorta, deviata. Qualcosa che è innaturale. E lo si scopre già dalle prime descrizioni di un modo che cade a pezzi corrotto da qualcosa al suo interno:

 La Bellac si diramava in una zona di campi abbandonati, valli densamente alberate, fattorie grigie e fatiscenti, e capanni che cadevano a pezzi. 

 

C’è qualcosa che divora un paesaggio che lo deforma ma che è cosi invisibile da essere percepito soltanto come un sussurro o un odore:

 

C’era un odore malsano nell’aria, come di foglie in putrefazione.

Cos’era? Leggende? Storie da bambini che influenzavano la percezione? E se le storie dell’uomo nero in realtà diventarono storie soltanto perché noi ci siamo costretti a farle tali? E se la putrefazione fosse reale e tangibile?

Era a causa di quelle storie da bambini tornate a tormentarlo. Sapeva che erano stronzate perché dovevano essere stronzate, eppure non riusciva a tenerle fuori dalla mente perché non aveva mai pensato di finire lì… specialmente non dopo il tramonto.

 I protagonisti del romanzo sono uomini duri, avvezzi a ogni tipo di depravazione umana, del resto:

Aveva fatto quotidianamente il pieno del lato oscuro dell’umanità e se ne poteva sopportare solo una data quantità prima che cambiasse una persona emotivamente e fisicamente. 

 

Ma quelle atrocità le potevano osservare, toccare con mano, inserire in uno schema preciso, dar loro una spiegazione. Ma cosa accade se una città, una comunità decide di tenere il marcio seppellito? Semplice prima o poi torna allo scoperto. Prima o poi qualcuno o qualcosa fa emergere un indizio, ci costringe ad aprire la porta segreta e ci tocca, ci tocca davvero, sopportarne la vista:

Era come se la pelle dell’universo conosciuto fosse stata lacerata e lui stesse osservando la lesione, pur sapendo che c’era qualcosa là fuori, in quell’oscurità senza fondo, che lo avrebbe fatto impazzire se lo avesse visto.

La chiave di tutto il libro è molto ovvia, Curran la indica più volte, ripetendo come un mantra ossessivo lo stesso concetto cardine:

il passato di Haymarket era corrotto. L’intera città era costruita su scheletri ingialliti chiusi negli armadi e ricoperti di segreti. Era così che le cose erano sempre state. Una grossa piaga purulenta che ora veniva stuzzicata dalla polizia. Stavano scavando nella proprietà degli Ezren e tutti sapevano che non si doveva scavare lì. 

 

E’ la solita storia. Certe porte non vanno mai aperte. Certi oscuri scheletri non devono essere visti. E’ la stessa ossessiva storia di Barbablu, la sposa non deve mai utilizzare la chiave, tutto resta immobile e nulla deve disturbare il sonno della verità. Si spera così, che inserire un tabù possa fermare il male, la violenza, o qualsiasi cosa cresce in ogni città, fantastico emblema della mente umana. Un germe sconosciuto che viene lasciato prosperare e cresce cosi tanto che prima o poi….deve poter emergere.

È il segreto, il tabù il vero male. È quel tentativo di negare l’accaduto nella strenua ricerca di non comprendere che fa degenerare le situazioni, che alimenta il virus, che crea le condizioni per la distruzione.

 

esistono cose che non dovrei conoscere. Misteri che dovrebbero rimanere tali.»

La violazione del segreto porta a una diversa prospettiva, che può oscillare tra rigenerazione o decadenza. Ma, forse, è solo distruggendo schemi, identità e consuetudini che qualcosa può affiorare. O forse basterebbe dare davvero un nome alle cose per combatterle, fissarle e decidere di urlare il proprio no. L’orrore è terapeutico. L’orrore serve per dare un nome ai propri demoni. L’orrore è l’unica strada per evitare la pecca del ‘uomo:

Da queste parti avete nascosto qualcosa per parecchio tempo, non è vero? Forse è tempo di far saltare il coperchio.»

Forse solo il folle, il coraggioso, il Prometeo che viola il tabù salva l’umanità. Dona loro il fuoco. Da visibilità alle cose nascoste. Certo paga un prezzo. Ma la conoscenza, in fondo, non è che questo: liberarsi dal fardello delle catene dell’inconsapevolezza per poter andare fieri incontro al destino. E se il destino ingloba, irrompe trascina, non importa. Ci sarà qualcuno che vedrà la realtà, darà un nome e sceglierà consapevole la strada da perseguire. Perché in questo libro non ci sono vittime. Ci sono persone che una volta capito abbracciano il vuoto.

 

Una piccola città e i suoi orrendi segreti. Nessuno avrebbe mai potuto conoscere, mai potuto sospettare, il genere di cose che strisciavano sotto la sua superficie. E la maggior parte delle città aveva dei segreti, Kenney lo sapeva, oscure e terribili verità sepolte in modo che i cittadini potessero dormire la notte.

E soltanto leggendo scoprirete il peccato di questo mondo simbolico, un peccato talmente sciocco ma perturbante, in grado di mettere l’uomo di fronte alla sua debolezza. E starà a voi scegliere se abbracciare il peccato o decidere, semplicemente, di vivere.

Perfetto, oscuro, aberrante e inquietante, non solo un horror ma una vera parabola simbolica su quell’essere strano, misterioso e cosi sconosciuto chiamato uomo.