Questione di un attimo è un romanzo da leggere tutto d’un fiato, scorrendo le pagine una di seguito all’altra senza mai fermarsi, per far scorrere il flusso di pensieri a briglia sciolta.
Infatti, proprio come in un monologo interiore, attraverso i vari capitoli si snocciolano i pensieri e le confessioni di Roberto, il protagonista, alle prese con i suoi fantasmi e con la sua precaria situazione psicologica della quale non fa segreto con i lettori, anzi ci accoglie fin da subito dall’ufficio del suo psichiatra.
Ci accoglie, letteralmente, perché con un sapiente uso degli strumenti di narratologia l’autore ha reso Roberto un personaggio in grado di scavalcare a proprio piacimento la quarta parete e quindi di comunicare in modo quasi interattivo con i lettori, proiettandoli direttamente dentro la scena e dentro la mente del protagonista, in un immaginifico gioco di specchi.
Ma Roberto è, allo stesso tempo, un narratore inaffidabile, ci racconta solo la sua versione dei fatti, da un punto di vista interno, fornendoci quindi una prospettiva viziata e distorta che ci porta a credere a quello che dice, senza fornirci le prove della veridicità.
Questo è un romanzo di introspezione che però non sfiora nemmeno lontanamente il rischio di risultare lento o immobile; le immagini si susseguono in modo adrenalinico, creando un caos controllato e ordinato, che porta il lettore a soluzioni di volta in volta diverse, e sempre sbagliate, fino al gran finale, in cui quasi tutti i nodi vengono al pettine.
In realtà, però, ciò che conta sono le informazioni che vengono lasciate in sospeso, le sensazioni provate dal lettore, ma non confermate nero su bianco dall’autore, un finale degno della trottola di Inception.
Un finale che destabilizza e lascia con la voglia di leggere ancora, di saperne di più.