Incontro con l’autore. Maikel Maryn ci racconta la sua letteratura. A cura di Alessandra Micheli

Che la letteratura sia una delle arti più complesse e al tempo stesso più amate non c’è nessun dubbio. I libri ancora resistono al logorio dei tempi, possiamo dibatterne la qualità, le motivazioni o la bellezza ma essi ci guardano ci osservano e a volte ci sfidano.

Il problema si pone quando si cerca di capire chi deve influire su cosa. In genere, in un mondo idilliaco e forse naif, chi decide l’andamento estetico, tecnico e motivazionale della scrittura sono due entità distinte ma interdipendenti. Lettore e scrittore. E’ il patto che si instaura tra questi due mondi, che si incontrano, si omaggiano e a vicenda si “Manipolano” che racconta l’evoluzione di quest’arte. E’ l’autore che decreta le regole tecniche e che al tempo stesso in un lampo di pura follia le distrugge, le ricrea le sorpassa e le dimentica. Ed è il lettore che lo richiede, che richiede la follia, la trasgressione, l’innovazione come risposta ai suoi mutevoli moti dell’animo.

Oggi però, si assiste a una strana rivoluzione, anzi forse per molti è un involuzione: non sono più protagonisti i reciproci detentori della chiave di volta della scrittura a decretarne limiti, pregi, difetti e perché no tecniche, ma sono i cosiddetti occulti lavoratori dietro le quinte che da figure non necessarie divengono prorompenti influencer. A decidere cosa si scrive, non è più l’ispirazione o il bisogno inconscio ma è il marketing, il business, la pubblicità impersonata da editori, editor, valutatori, promoter, il blogger e persino abili venditori di fumo vestiti a festa con gli abiti dei corsi di scrittura creativa.

Da demiurgo l’autore diviene quindi comparsa, spesso innecessaria nell’opera di produzione che è oramai, mera tecnica privata di anima, di talento e di volontà di ribellione. Prodotti omologati, pedissequamente seguaci di una rigida metodologia di lavoro che dell’arcana arte di far si che illusioni o chimera prendano vita hanno poco e niente.

Questa è la nuova sfida di questo millennio quasi scadente, un epoca di decadenza mascherata da fiera delle vanità, tanto che il buon Thackeray ne trarrebbe una nuova versione del suo romanzo che, però, perderebbe la sua carica ironica per tramutarsi in un dramma.

Ecco perché il blog ha deciso di dare voce al vero padrone di quest’arte, ossia lo scrittore, perché convinto che la sua sia una voce, non autorevole ma aggraziata e degna di essere accolta dalla nostre orecchie stanca di tanta, troppa cacofonica inutilità.

Buon viaggio.

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L’autore

Maikel Maryn nasce in una notte buia e tempestosa in cui il velo tra i mondi si assottigliava, forse perché era Samhain, più probabilmente per l’ultimo di una lunga serie di bicchieri riempiti e svuotati.
Di quello che c’era prima restano anni passati a scrivere, ad ascoltare pessima musica e accumulare conoscenze che fanno paura alla brava gente.

Scrivo quello che voglio leggere: narrativa fantastica dalle tinte scure, infarcita di sesso esplicito, violenza efferata ed ettolitri di sangue.

…perché la vita d’ogni carne è il sangue… (LEV. 17:14)

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Perché si scrive?

M. Iniziamo con le domande semplici eh? Da dove comincio? Immagino tu non mi stia chiedendo perché un anonimo magazziniere reale babilonese si sia messo a incidere una tavoletta di cera con un cuneo, quindi interpreto la tua domanda come “perché uno si mette a fare una cosa così maledettamente lunga e faticosa, ma potenzialmente poco redditizia, come scrivere narrativa?”

Le risposte sono tante. C’è chi ci si diverte, chi lo percepisce come un bisogno perché fissare sulla pagina delle storie libera la mente da idee fisse, chi lo usa come forma di autoterapia, c’è pure chi riesce a farci i big money. A mio avviso sono tutte risposte valide (e immagino ce ne siano molte altre), non sono tra quelli che ne considera “snob” alcune o “banali” altre. Certo credo che “per esorcizzare i propri demoni” sia una risposta stucchevole, ma al di là della forma, perché no?
Personalmente mi sono messo a scrivere “Luna Nuova” in un periodo particolarmente difficile ed è stato un modo per dimostrare a me stesso che potevo fare qualcosa di buono. Ne avevo bisogno ed è stato il mio modo per restare ancorato alle cose. È stato lungo, difficile e doloroso, perché quando la tua testa schizza da tutte le parti, costringerti a restare inchiodato al PC con le mani tremanti e il fiato corto per buttare giù almeno un’altra parola, poi un’altra ancora, è una forma di violenza autoinflitta che però è stata utile se sono qui a rispondere alle tue domande.

Con “Larvae” è stata più semplice, anche se faccio sempre molta fatica a restare focalizzato mentre i criceti corrono selvaggiamente nelle ruote scassate che ho in testa. Credo anche che si noti, visto che diverse persone mi hanno detto che “Larvae” è più fluido di “Luna Nuova”.

Cos’è un libro? Arte o svago?

M. Mettere questi due termini in contrapposizione è un vecchio vizio italiano, credo risalga a Benedetto Croce. Da una parte la cultura “alta” appannaggio delle élite, dall’altra quella “bassa” per la plebaglia. In anni recenti il rapporto si è invertito mantenendo però invariata la dinamica: una nuova nobiltà di yuppies invecchiati e arricchiti ha elevato il trash a cifra stilistica mentre una moltitudine impoverita ma istruita cerca di riscattarsi attraverso una dozzinale elevazione culturale.

Qualche tempo fa furoreggiava la diatriba tra scrittori-artisti e scrittori-artigiani, i primi impegnati a inneggiare all’arte pura, al sacro fuoco, all’ispirazione e balle varie (l’arte per l’arte non esiste, Michelangelo o Dante mica “creavano” gratis), i secondi tutti presi dal ribadire costantemente la dignità dello scrivere per puro intrattenimento e sbeffeggiando qualunque tentativo di sviluppare una narrativa secondo altre direttrici.

Ma io non sono un artista e nemmeno un artigiano, sono al massimo un sottoproletario, nella vita come nella scrittura e le due posizioni descritte sopra mi sembrano facce di una stessa medaglia fatta di latta e stupidità.

Arte o svago? Per quanto mi riguarda un libro dovrebbe avere entrambe le componenti, dovrebbe coinvolgerti, rapirti, ma anche metterti alla prova, sfidarti. Una persona molto più brava di me diceva che un libro, un film, un disco, un’esperienza, ti devono cambiare in qualche modo.

Non so se la penso proprio così, ma credo che se riesci a lasciare qualcosa a chi ti legge allora hai fatto un buon lavoro.

Quali doti deve avere un autore?

Capacità di osservazione, di ascolto ed empatia, prima di ogni altra cosa. Perchè diciamocelo, noi che scriviamo siamo dei ladri fottuti, deprediamo la nostra vita e quella di chi ci sta intorno, ruminiamo il tutto e lo vomitiamo sulla pagina in altra forma. Ma come fai a farlo se non sei capace di guardarti intorno, di stare zitto ad ascoltare o di entrare in risonanza con chi ti circonda? E sai credo che questo sia un grosso problema degli aspiranti scrittori, hanno la testa così profondamente ficcata nel culo che non riescono ad assimilare niente e quello che riversano sulla pagina è un mix di fantasie stereotipate.

Poi ci vuole determinazione, costanza, disciplina, metodo, tutte cose in cui io per altro sono carentissimo.

Quanto conta ancora il talento oggi?

Tantissimo e nulla. Credo che sia stato Stephen King (ma potrei sbagliarmi) ad aver detto che il duro lavoro vince sempre sul talento. Non basta essere portati per qualcosa, bisogna farsi un culo così. Il talento è quello che ti fa fare qualcosa due volte meglio degli altri con metà della fatica, ma devi comunque coltivarlo, allenarlo e lavorarci. Questo per fare qualcosa di buono, per vendere invece conta il marketing.

Cosa pensi della moda di rivolgersi alla legge dei manuali di scrittura, servono o sono solo un impedimento?

M. Chuck Wending dice che “i consigli di scrittura sono merda, ma la merda fertilizza”. Mi trovo abbastanza d’accordo. Non che i manuali non servano a niente, ma sono delle cassette degli attrezzi in cui rovistare per trovare quello che ci serve. Manuali e corsi di scrittura possono essere utili come è utile andare a scuola guida, ma una volta acquisita la capacità di condurre una macchina non passi tutta la vita con le mani sul volante in posizione 23 e 10. I manuali non sono un impedimento, è un impedimento il modo in cui vengono letti, come un elenco di cosa da fare e da non fare in stile dieci comandamenti.

Oggi ognuno vuole dire la sua opinione sulla scrittura, ponendo l’attenzione sull’esistenza di regole fisse e precise sulla struttura di un romanzo. Cosa ne pensi?

Beh anche io in questo momento sto dicendo la mia, in maniera anche molto immodesta probabilmente, visto che sono un Signor Nessuno. In ogni caso credo che le regole inflessibili, in letteratura come nella vita, servano alle persone insicure e agli affabulatori per vendere corsi di formazione (o di scrittura creativa).

Inoltre se esistessero davvero le Regole Auree della scrittura o i Principi Assoluti della narrativa, chi li segue e li padroneggia dovrebbe quantomeno dare alla luce un capolavoro ogni volta che pubblica. Il che, per la mia esperienza, non è.

Non che in assoluto le regole non servano, soprattutto all’inizio aiutano tantissimo a regimentare il proprio lavoro, ad avere dei binari da seguire e restano sempre come linee guida con cui confrontarsi ma, appunto, una volta acquisite devono essere un termine di confronto, non qualcosa a cui arrendersi incondizionatamente.

La nuova frontiera dall’innovazione letteraria si concentra sull’eliminazione della ridondanza e della pomposità, limitando al minimo i dettagli e le descrizioni. Cosa ne pensi?

Non è una tendenza nuova, è una corrente di pensiero novecentesca con cui, per certi versi posso essere anche in parte d’accordo. Magari potrà sembrare strano visto che in quello che ho scritto il linguaggio è sovrabbondante, ma non è un caso. Giusto pochi giorni fa il responsabile editoriale di una piccola casa editrice ha definito il mio linguaggio “pretenzioso”. Questa osservazione mi ha fatto ridere perché, per me, quella è una scelta stilistica ben precisa e funzionale a uno scopo: rendere in chiave moderna l’atmosfera del romanzo gotico ottocentesco. Magari non sono capace e non mi riesce, ma non si tratta di masturbazione letteraria. Io concepisco la scrittura come la composizione: la lingua, le parole, sono le note. I Ramones usavano chitarra, basso e batteria, Wagner usava l’orchestra. Come tutte le cose il principio di cui parli va contestualizzato e adattato, asciugare la prosa fino all’osso può avere senso se vuoi scrivere come Lansdale o come Welsh ma non se vuoi rendere atmosfere come quelle di Tolkien. Dettagli e descrizioni (come tutto il resto d’altra parte) vanno calibrati in base alla resa che si vuole ottenere. Oltretutto il mantra che sento in giro sul togliere tutti i dettagli inutili o superflui (rispetto a cosa, poi, è molto ambiguo) contrasta in parte con l’altro caposaldo dei talebani delle regole: lo Show don’t Tell.

Faccio un esempio pratico: Cappuccetto Rosso attraverso il bosco, nella favola non ci sono elementi superflui, ci sta, è una fiaba, ma se lo devi rendere in un racconto lasciare la frase così è TELL puro. Per renderlo “show” devi immergere Cappuccetto Rosso nelle ombre del bosco e quindi, per esempio, puoi dire che è un bosco di pini, o magari di querce. Questo elemento è utile alla trama o al personaggio? No, è totalmente superfluo, tanto che lo si può omettere o cambiare e il senso del discorso non cambia, però serve a creare un’immagine mentale in chi legge. E questo diventa già un po’ più SHOW. L’errore sarebbe mettersi a disquisire per paragrafi e paragrafi di botanica. Il punto è fare le cose con il giusto equilibrio.

Cosa serve davvero per creare un buon libro?

Senza dubbio un bello stile, perché una buona scrittura può riscattare una brutta storia, ma non c’è trama che possa salvare una brutta scrittura.

Quanto conta la tecnica e quanto conta la creatività?

Penso che nella scrittura le due cose siano inestricabili, più che in altre forme artistiche. Nella pittura puoi non essere granché nella rappresentazione figurativa ma giocartela tantissimo con i colori, in musica puoi essere una pippa come musicista ma se hai un buon senso della melodia e una voce particolare, stando sui registri appropriati riesci a fare grandi cose. Nella scrittura devi fare tutto con le parole, non c’è nulla di sensoriale a cui ci si può appoggiare, bisogna far girare le rotelle nella testa del lettore nel verso giusto, illuderlo di star provando certe sensazioni.

È indispensabile l’editing o un libro può essere perfetto anche nell’imperfezione?

Dipende da cosa stiamo parlando, anche perché si fa molta confusione sull’editing in italia, confondendolo con la correzione di bozze. Qualche refuso non condanna un romanzo al rogo e l’autore ai campi di sterminio dei Grammar Nazi, però leggere un romanzo che ha diversi refusi o parole mancanti in ogni pagina diventa un’agonia. Ma qui appunto parlo di correzione di bozze. Se parliamo di editing vero e proprio, quindi di stile e contenuto, la cosa è più complessa, perché gli errori rischiano di avere un impatto veramente negativo sulla percezione del lettore.

In linea teorica potrei risponderti che è comunque possibile che a uno scrittore venga tutto bene al primo colpo, ma calando la cosa nella realtà, se parliamo di narrativa medio-lunga, chi riesce a scrivere decine e decine di pagine senza prendere qualche sfondone bello grosso?

Io edito pochissimo, ma perché io non scrivo di getto, gioco con le parole come si farebbe con il lego, montando e smontando periodi e paragrafi fino a che la loro costruzione non mi sembra funzionare a dovere. È un sistema molto laborioso ma comprende in esso una buona parte del lavoro stesso di editing. Nonostante questo sia “Luna Nuova” che “Larvae” sono passati per diverse mani per essere editati e corretti al meglio perché un confronto, occhi critici e menti fresche ci vogliono.

Cosa manca oggi alla letteratura?

Sangue, sperma e whiskey.

Frasi badassiche a parte, credo che davvero alla letteratura contemporanea manchi un po’ di sturm und drang. Non leggo nessun nuovo Bukowski, nessuno P. K. Dick o Michael Moorcock, giusto per citare i primi che mi vengono in mente. In compenso c’è un sacco di roba che vorrebbe avere certi mood ma non ce la fa. Magari vende, ma non ce la fa.

Hai sfogliato qualche trilogia pseudo erotica pubblicata negli ultimi anni? Roba per casalinghe insoddisfatte. Vogliamo parlare delle varie declinazioni vampiresche per adolescenti? E in campo fantasy non mi sembra che il grimdark riesca ad avere risultati significativamente migliori: mi sembra spesso un’accozzaglia di scene e battute “cazzute” prese più dai film di Bruce Willis che dalla vita, e si vede, anzi si legge.

Sembra che quello che finisce sulla pagina sia preso da ovunque, da altri libri, dal cinema, dalla TV, dalla musica, dai fumetti, tranne che dall’esperienza dello scrittore.

Il miglior consiglio di scrittura che abbia mai letto e che sottoscrivo in toto credo l’abbia scritto Walt Popester in un post per un mio vecchio blog e suonava più o meno così: posate il libro e uscite, sbronzatevi, fate a botte, scopate, vivete.

10 scrittori che un autore deve conoscere e perché

Questa è una domanda alla quale non mi sento assolutamente all’altezza di rispondere. Io ho dei problemi con i classici, quindi manco di tantissime basi, a mia discolpa ci ho provato, ma mi ci sono schiantato con l’effetto di un carpiato su una scogliera. Non potrei mai dire cosa un autore “deve” leggere, ma siccome sono un paraculo, giro la cosa su 10 autori che sono stati fondamentali per me. In ordine assolutamente sparso…

Robert E. Howard, in particolare il ciclo celta e quello di Kull di Valusia, perché riesce a rendere l’eroismo coperto di terra e sangue come tanti oggi provano a fare senza riuscirci.

Howard P. Lovecraft. I Miti di Cthulhu e il Ciclo del Sogno sono qualcosa di grandioso, senza contare la capacità di creare universi senza dire praticamente nulla, come sottolineava polemicamente Moorcock.

A proposito, Michael Moorcock: leggete Elric, certo, ma un po’ tutto. Sapete che è anche il nonno dello steampunk? Io amo la sua capacità di inserire certi temi sociali all’interno di alcune sue opere.

Charles Bukowski, è uno dei miei autori preferiti da sempre, capace come pochi di riversare la vita, in tutta la sua tenerezza e il suo squallore, sulla pagina. In fondo tutto il suo raccontare di bevute e scopate parla di un uomo profondamente bisognoso di amare e di essere amato.

George Orwell per “1984”, per “La Fattoria degli Animali”, ma forse ancor di più per “Omaggio alla Catalogna” che ti schiaffa di faccia nel fango delle trincee della guerra civile spagnola, con tutte le sue assurdità e contraddizioni.

George R. R. Martin de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, un po’ per la grandeur dell’opera ma soprattutto per la figura complessa e profonda del Folletto. Di solito Tyrion Lannister è noto per la sua scaltrezza ma la profondità data dal suo nanismo e da tutto quello che ne è conseguito è straziante. La scena dell’amplesso nella sala dei draghi con Shae o la prima notte di nozze mancata con Sansa sono emblematiche.

Stephen King, non per l’orrore, né per il bellissimo pastiche de “La Torre Nera”, ma per la sua capacità di rendere la complessità e anche l’incoerenza dell’animo umano, la cui follia è il vero grande orrore che permea le sue opere. Leggete “Cuori in Atlantide”.

Ursula K. Le Guin, “I Reietti dell’Altro Pianeta” ha una prosa di legno ma la capacità straordinaria di descrivere la possibilità di un altro mondo possibile con tutti i suoi chiaroscuri.

Valerio Evangelisti, per i suoi personaggi, il suo modo di costruire le storie, ma anche e soprattutto per la sua capacità di abbracciare moltitudini e storie collettive.

Alan Moore, perchè “V For Vendetta” andrebbe riletto ogni 5 novembre. E sì, lo so che è un fumetto. Leggetelo lo stesso.

Un consiglio ai nuovi emergenti, devono scrivere per…

Per lasciare un segno, qualcosa che resti dopo di voi, qualcosa che rimanga nelle viscere di chi vi legge.

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Ringrazio Maikel per essersi messo a disposizione della mia innata e fastidiosa curiosità (a proposito sappi che personalmente ti adoro, specie quando hai citato i miei autori preferiti da P.K. Dick a Michael Moorcock al Dio King) e spero che altri autori, abbiano la voglia e perché no un pizzico di coraggio, di dire la loro opinione.

Noi li aspettiamo a braccia aperte.

Autore: Alessandra Micheli

Saggista per passione, affronto nei miei saggi e articoli ogni argomento inerente a quella splendida e misteriosa creatura chiamata uomo, cosi amata dall'energia creatrice: "che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato" Salmo otto

2 pensieri riguardo “Incontro con l’autore. Maikel Maryn ci racconta la sua letteratura. A cura di Alessandra Micheli”

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