“Witches Destiny” di Daniela Bellisano,La Sirena Edizioni. A cura di Alessandra Micheli

 

Perchè l’urban fantasy piace molto?

La spiegazione è a parer mio semplice e incredibile. Anche chi non ama il fantasy epico, quello che ci fa viaggiare in altre dimensioni e in altri mondi, avverte sempre e comunque una sorta di bisogno primordiale di sogno e di fantastico. Abbiamo bisogno di emozioni che siano meno terrene di quelle che viviamo ogni giorno. Abbiamo bisogno di fissare gli occhi sognanti fuori dalla finestra e vedere oltre oggetti, case e strada, oltre la banalità di gesti quotidiani. Abbiamo bisogno di credere alla passione, alle anime gemelle agli angeli e ai demoni. Abbiamo una terribile sete di infinito. Che le nuvole non siano solo nuvole ma gradini per arrivare in un mondo pieno di luce e di morbidezza. Abbiamo bisogno di credere che alla fine dell’arcobaleno ci sia un lepricano dispettoso intento a seppellire la sua pignatta d’oro. Il mistero è parte di noi, anche se lo rifiutiamo, se vogliamo credere che siamo oramai troppo maturi per credere alle fate. Credere che in un pomeriggio dorato il buon vecchio Puck torni a giocare con i nostri sentimenti facendoci vivere un’avventura.

L’urban fantasy, il nostro fantasy contemporaneo è quella porta che fa irrompere in una piatta vita monotona l’imprevedibile.

Ecco che tre noiose adolescenti, uguali a tante divengono tasselli di una lotta epica piena di colpi di scena, dove si lotta non solo è per la sopravvivenza ma per il bene comune.

Ed è quello che accade nel libro di Daniela Bellisano.

Un destino negato da un eccesso di amore, dalla paura della perdita che va davvero a scapito di un equilibrio più grande della nostra egoistica dimensione. Non ricordare non sapere chi si è davvero, ossia quali potenzialità si celano all’interno di noi stessi non solo ci rende come morti, ma danneggia l’intero ecosistema. Siamo scesi per un capriccio divino o per un suo grandioso sogno, in un realtà composita, dove ognuno è e resta mezzo indispensabile di crescita. Ed è quello che accade alle tre ragazze che da adolescenti devono divenire giovani donne consapevoli, piene di ricordi, anche quelli dolorosi, perché è spesso il dolore a dare senso e giustificazione agli eventi.

Il dolore rende le peggiori esperienze porte da cui entrare per abbracciare pienamente se stessi.

E come si può essere pieni e completi se ci si priva dell’esperienza educativa del dolore?

Come si può diventare donne se qualcuno, per troppo amore, ci toglie i ricordi, spezzando la nostra crescita?

I ricordi anche i dolorosi fanno parte di noi, fanno parte della nostra storia sono incisi nelle rughe di espressione, nei nostri ideali, nelle nostre scelte. Troppo spesso il passato è sottovalutato, come orpello inutile, come decorazione non necessaria in quella salda costruzione chiamata io. E invece è dalla storia personale di ognuno di noi, che si cela il segreto delle fondamenta, è dalla possibilità che esse vangano spazzate da terremoti emotivi che noi provvediamo a rinforzarle.

Le protagoniste del libro sono donne a metà. Non solo prive dell’amore che le spetta, ma delle loro capacità incredibili,  quelle che smettono di  ci renderci simili a tante altre caricature, trasformandoci in esseri globalizzati e indifferenziati, sperse nella massa delle comparse che aspettano sempre sul ciglio della strada.

E invece noi siamo i protagonisti, quelli che possono combattere contro il male e addirittura cambiare i finali delle storie.

Un libro che racconta non solo le fasi della crescita emotiva, ma, sopratutto,  l’importanza della magia, una magia che non è solo fatta di incantesimi e prodigi ma nel riconoscere il consueto, quello a cui siamo abituate, quello che non notiamo, come davvero straordinario

Brava Daniela

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